23/03/2007

Let It Be… Naked

John Lennon fu il più ligio a rimettersi nell’identica posizione, ma anche gli altri tre Beatles prestarono molta attenzione ad affacciarsi nello stesso modo in cui apparivano sulla copertina di Please Please Me. Per la copertina del loro nuovo album, Get Back, i Fab4 tornarono ad affacciarsi dalla balaustra interna della sede della Emi, chiamarono il medesimo fotografo, Angus McBean, e aggiornarono al 1969 l’immagine che capeggiava sul loro disco d’esordio del 1963. Anche il titolo completo dell’album era speculare alla loro prima fatica discografica: Get Back With Let It Be And 11 Other Songs (calligrafico rispetto a Please Please Me With Love Me Do And 12 Other Songs). L’impatto iconografico doveva trasmettere l’idea base del nuovo disco dei Beatles: tornare alle origini. L’idea viene elaborata da Paul McCartney per cercare di dare una scossa di energia allo stato di torpore in cui erano caduti i Beatles dopo la pubblicazione del White Album. Per far germogliare nuovamente l’entusiasmo degli esordi, Paul è convinto che bisogna tornare a suonare come nei primi anni 60 e soprattutto bisogna riprendere a esibirsi dal vivo. Quindi, dopo le produzioni ricercate ed elaborate del periodo 1966/68, ora i Beatles tornano all’essenza della loro arte: due chitarre, basso e batteria che suonano insieme dal vivo in studio, senza la possibilità di ricorrere ad alcun tipo di sovraincisione.

“L’idea”, ha spiegato Paul McCartney nel libro The Beatles Anthology, dalla quale sono tratte anche la maggior parte delle successive citazioni, “era quella di vedere i Beatles mentre provavano, suonavano in libertà, mettevano insieme i loro pezzi e, infine, si esibivano in un grande concerto conclusivo. Avremmo mostrato come funzionava l’intero processo”.

“Penso che l’idea originale fosse di Paul”, ha affermato George Harrison, “provare qualche pezzo nuovo, trovare un’ambientazione e registrare l’album in un concerto. Avremmo imparato gli accordi e poi registrato senza troppi rifacimenti: un album dal vivo”. Di fatto un ritorno ai Beatles di Please Please Me, disco che fu registrato in una quindicina d’ore dal vivo negli studi di Abbey Road. Per questo motivo i Beatles decidono di ispirarsi alla copertina del loro primo album: la ruota aveva compiuto per intero il proprio giro (la foto rimase poi inutilizzata prima di essere recuperata nel 1973 per le copertina delle antologie The Beatles 1962/66 e 1967/70).

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Il caos delle Get Back Session

Oltre al disco, i Beatles decidono di realizzare anche un documentario sulla loro attività in sala di registrazione. Quindi il 2 gennaio 1969 si danno appuntamento negli studi Twickenham (dove avevano girato alcune scene dei film A Hard Day’s Night ed Help!) e iniziano, sotto lo sguardo attento della macchina da presa, a provare i nuovi pezzi (queste registrazioni sono state ribattezzate dai fan Get Back Session). Se l’idea era brillante, come ha confermato il loro produttore George Martin, “era molto valida e ho pensato che valesse la pena lavorarci su”, la realtà fu caratterizzata da tensioni, insofferenze, malumori. “Girare Let It Be”, ha dichiarato John Lennon, “è stato un inferno, è stata la session più insopportabile del mondo. È stata una sensazione orribile, tremenda, poi ci riprendevano sempre e io volevo solo che se ne andassero. Eravamo lì alle otto di mattina e non si può far musica alle otto, o alle dieci del mattino, o a qualsiasi ora fosse, in un posto che ti è estraneo, con la gente che ti filma e le luci colorate”. Sulla stessa lunghezza d’onda George Harrison: “Avevo passato gli ultimi mesi del 1968 producendo un album di Jackie Lomax e bighellonando per Woodstock con Bob Dylan e la Band. Per me tornare con i Beatles nell’inverno dello scontento a Twickenham è stato poco salutare e felice”.

In questo clima i Beatles iniziano a provare le loro nuove canzoni, oltre a improvvisarsi in una serie di cover di brani anni 50 e di Bob Dylan (amico di Harrison, che ne era un grande estimatore) ed estemporanee jam strumentali. Se la lista dei titoli eseguiti ha la capacità di far ingolosire qualsiasi appassionato di rock (solo per citarne alcuni: I Shall Be Released, All Shook Up, Ramblin’ Woman, Midnight Special, I Want You, Fools Like Me, Be-Bop-A-Lula, Stand By Me, House Of Rising Sun, Don’t Be Cruel, Johnny B. Goode) l’ascolto delle performance è una cocente disillusione: i Beatles suonano spesso svogliati, approssimativi e privi di entusiasmo, offrendo poco più che degli scarabocchi. Idem per le loro nuove canzoni, provate e riprovate, ma lontano dagli ottimi livelli precedenti toccati dal gruppo in sala d’incisione. Nel freddo dei Twickenham studio non riesce ad accendersi la magia che aveva animato i Beatles nei precedenti anni. Al contrario, inizia a spegnersi per sempre: “Quando siamo entrati a Twickenham”, ha spiegato McCartney, “si è visto come funzionava la rottura di un gruppo. Non ci rendevamo conto che ci stavamo sciogliendo ma stava già accadendo”.

“Paul”, ha affermato Harrison, “non voleva che nessuno suonasse le sue canzoni finché non aveva deciso come farle. E io mi chiedevo: ‘Ma che ci faccio qui? È penoso’. E poi su tutto questo c’era Yoko e, in quei momenti, c’erano vibrazioni negative. John e Yoko erano in un loro limbo. Non credo che lui avesse voglia di stare con noi e penso che Yoko lo stesse portando fuori dal gruppo, perché non voleva che lui stesse con noi”.

“Arrivati a Let It Be”, ha detto Lennon, “non riuscivamo più a reggere il gioco. Eravamo a disagio perché fino ad allora avevamo davvero creduto in ciò che facevamo. Poi non ci abbiamo più creduto, eravamo arrivati al punto in cui non si creava più la magia”.

“Paul”, racconta George Martin, “stava cercando di tenere insieme le cose comandando tutti a bacchetta, perché è piuttosto bravo a farlo, ma a John e George la cosa non piaceva affatto”. In questo clima Harrison e McCartney arrivano ai ferri corti (scena fedelmente documentata dal film Let It Be): George non accetta le lezioni di Paul su come suonare la chitarra, e, stanco della tetra atmosfera, lascia il gruppo. Alcuni giorni dopo, metabolizzato il rancore, tornerà al suo posto.

Durante le session a Twickenham non viene registrata nessuna canzone. Le prove dei Beatles sono testimoniate solo dalle immagini riprese dalla macchina da presa, mentre i registratori sono spenti. Tutti i bootleg in circolazione sono tratti dall’audio, in mono, delle bobine cinematografiche. Il fulcro del repertorio provato è quello composto dai brani che poi appariranno su Let It Be, ma vanno segnalati anche i primi abbozzi dei pezzi che saranno poi utilizzati per Abbey Road: Something, Oh! Darling, Carry That Weight, Octopus’s Garden, She Came In Through The Bathroom Window, Golden Slumbers, Mean Mr. Mustard, Her Majesty, I Want You (She’s So Heavy). Inoltre vengono suonate alcune canzoni che i Beatles non pubblicheranno mai come gruppo ma che saranno utilizzate nelle successive carriere soliste.

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Negli studi della Apple

A Twickenham i Beatles rimangono fino al 16 gennaio, poi dal 20 gennaio le operazioni si spostano nel palazzo della Apple dove era stato preparato uno studio di registrazione. I lavori erano stati affidati a tale Magic Alex, un eccentrico personaggio che aveva ipnotizzato i Fab4 con la promessa di uno studio a 72 piste! Questa la testimonianza di Dave Harries, membro dello staff dei Beatles: “Il banco di mixaggio era fatto di pezzi di legno e d’un vecchio oscilloscopio. Sembrava la plancia di comando di un bombardiere B-52. Ci provarono anche a registrare attraverso quel banco, provarono un nastro, ma quando poi decisero di risentirlo era tutto mugolii e fischi. Tremendo. I Beatles uscirono e fu la fine di tutto”. Quindi George Martin, con i nervi a fior di pelle, telefonò alla Emi per richiedere delle attrezzature all’altezza della situazione.

Il ruolo di George Martin nel progetto Get Back è ufficialmente quello di produttore, come recitano le note di Anthology 3 a proposito dei brani tratti dalle Get Back Session. Rimane l’ambiguità della presenza di Glyn Johns (che aveva “precedenti” con Who, Kinks, Small Faces, Traffic, Steve Miller Band), contattato verso la fine del 1968 da Paul McCartney che gli aveva caldeggiato la possibilità di produrre il nuovo disco dei Beatles. “Non so perché George Martin fosse stato lasciato fuori”, ha commentato al proposito George Harrison, “qualcuno aveva avuto l’idea di chiamare Glyn Johns, forse solo per cambiare. Non si è trattato di una questione personale”.

“Immagino che essenzialmente volessero un nuovo produttore”, ha affermato George Martin, “ma non me l’hanno mai detto, quindi ero ancora lì”. Così Johns sin dal 2 gennaio si affianca ai Beatles, oltre a partecipare in seguito ai lavori di mixaggio, anche se poi verrà citato solo nei ringraziamenti dell’album definitivo, mentre nelle note di Anthology 3 viene accreditato come ingegnere del suono.

Il 22 gennaio i Beatles si rinforzano con l’esuberante presenza dell’organista Billy Preston, coinvolto nel progetto da George Harrison sia per aggiungere un quinto elemento al gruppo (le sovraincisioni erano vietate) sia per stemperare la tensione: “Billy è arrivato e ho detto: ‘Vi ricordate di Billy? (i Beatles lo avevano conosciuto ad Amburgo nel 1962, ndr) Eccolo: può suonare il piano’. Lui è andato alla tastiera e, immediatamente, l’atmosfera è migliorata del cento per cento. Avere questa quinta persona era stato sufficiente per rompere il ghiaccio che si era formato tra noi. Billy non era al corrente di come andavano le cose e, nella sua innocenza, si è lasciato coinvolgere e ha dato una bella spinta al gruppo”. Non a caso la qualità delle performance dei Beatles registrano un netto miglioramento.

Negli studi della Apple iniziano le vere registrazioni, che durano dieci giorni, con i Fab4 che si soffermano in particolare sulle canzoni che andranno a comporre l’abortito disco Get Back, poi pubblicato con il titolo definitivo di Let It Be. Quindi lavori più mirati e meno frastagliati e dispersivi rispetto alle session di Twickenham. Se le registrazioni avevano soddisfatto l’idea base del ritorno alle origini con il divieto di effettuare delle sovraincisioni, rimaneva in sospeso l’idea del concerto. Dopo che Lennon e Harrison avevano scartato, inorriditi, l’idea di McCartney di intraprendere una tournée clandestina (spunto che poi Paul porterà a termine nel febbraio 1972 con i suoi neonati Wings), il gruppo stava pensando a un luogo adatto per una esibizione unica. Dopo alcune ipotesi, il 26 gennaio Paul trova l’idea vincente: “Provate a portare delle apparecchiature sul tetto, e vedete un po’ come funziona”. Così il 30 gennaio i Beatles, più Billy Preston, guadagnano il tetto della Apple, palazzo situato in pieno centro di Londra, e danno vita a un concerto di una quarantina di minuti. Queste le canzoni suonate: due versioni di Get Back, Don’t Let Me Down, I’ve Got A Feeling, One After 909, Dig A Pony, I’ve Got A Feeling, Don’t Let Me Down, Get Back. Il traffico nelle vie sottostanti impazzisce, la gente sente i Beatles ma non riesce a vederli, la polizia interviene prontamente per fermare un’esibizione che disturba la quiete pubblica: un caos perfettamente documentato dal finale del film Let It Be (stupenda l’espressione perplessa del giovane poliziotto che, arrivato sul tetto della Apple, deve interrompere malvolentieri i Beatles). Dopo un mese di prove svogliate e approssimative, sferzati dal freddo dell’inverno inglese i Beatles sfoderano grinta, entusiasmo e precisione dimostrando di essere ancora un gruppo vitale. Ringo Starr offre un’incalzante e vibrante prova di batteria tenendo in riga il gruppo; Harrison, molto defilato, tormenta la sua chitarra traendo suoni pungenti; McCartney fa pulsare efficacemente il basso; Lennon offre addirittura una valida prova come chitarra solista in Get Back, Billy Preston completa il quadro con un tocco di galoppante esuberanza. Infine Paul e John cantano con sanguigna passione, dimostrando come suonare dal vivo spazzi via tutte le tensioni che avevano infettato il loro rapporto. La sequenza del concerto sarà utilizzata, non integralmente, come entusiastica chiusura del film Let It Be.

Le Get Back Session si concludono il giorno seguente, il 31 gennaio, con l’incisione, per disco e film, di Let It Be, The Long And Winding Road e Two Of Us.

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Get Back: l’album perduto

A questo punto i Beatles iniziano a disinteressarsi al progetto e cominciano a provare le canzoni che poi incideranno l’estate successiva per Abbey Road. Il successivo 10 marzo Lennon e McCartney affidano alle cure di Glyn Johns le canzoni incise nei dieci giorni negli studi della Apple. Johns lavora sulle seguenti canzoni: Get Back, Teddy Boy, Two Of Us, Dig A Pony, I’ve Got A Feeling, The Long And Winding Road, Let It Be, Rocker, Save The Last Dance For Me, Don’t Let Me Down, For You Blue, Get Back, The Walk. I Beatles si occupano poco del disco anche per motivi personali: Paul si sposa il 12 marzo e parte con Linda per la luna di miele, John inizia a viaggiare con Yoko per l’Europa, George viene arrestato per possesso di droga.

Nel frattempo i Beatles hanno l’esigenza di pubblicare un singolo, così optano per Get Back e Don’t Let Me Down che arrivano nei negozi di dischi nell’aprile 1969. Per la prima volta sull’etichetta dei lati A e B viene citato un musicista esterno al gruppo: The Beatles With Billy Preston.

Il 30 aprile, violando la regola base delle Get Back Session, vengono effettuate delle sovraincisoni di chitarra solista su Let It Be (questa versione sarà poi pubblicata come 45 giri). Ulteriori lavori su Get Back vengono compiuti il 7 e 9 maggio da George Martin e Glyn Johns che si occupano di inserire le discussioni in studio dei Beatles tra un pezzo e l’altro per conferire la sensazione di un disco dal vivo. Infine il 28 maggio Get Back viene completato con questa scaletta: One After 909, Rocker, Save The Last Dance For Me, Don’t Let Me Down, Dig A Pony, I’ve Got A Feeling, Get Back, For You Blue, Teddy Boy, Two Of Us, Maggie Mae, Dig It, Let It Be, The Long And Winding Road, Get Back (reprise).

“Lo abbiamo fatto rimixare a Glyn Johns”, ha commentato John Lennon, “noi non ne volevamo sapere. Lo abbiamo lasciato fare a lui dicendo: ‘Eccolo, fai tu’. Era la prima volta, dal nostro album d’esordio, che non abbiamo avuto niente a che farci. Nessuno di noi voleva dedicarsi al disco”.

Get Back non viene pubblicato e, nel 1969, non riceve più nessuna attenzione dai Beatles, che invece si dedicano alle incisioni di Abbey Road, ritrovando per l’ultima volta serenità e armonia. Il risultato sarà uno dei loro dischi più belli (per molti “il” più bello).

Si arriva quindi al 1970, quando il 3 gennaio (a un anno dall’inizio delle Get Back Session) Harrison, McCartney e Starr si danno appuntamento ad Abbey Road per incidere I Me Mine. Il brano era diventato necessario dopo che nel film era stata inserita una sequenza in cui Harrison lo suona alla chitarra acustica. L’incisione viene portata a termine senza Lennon (che era all’estero per una vacanza). Il giorno seguente vengono effettuate nuove sovraincisioni su Let It Be: dei cori del duo McCartney/Harrison, delle aggiunte di ottoni, un assolo di George, una nuova parte di batteria di Ringo e dei violoncelli. Il 5 gennaio Glyn Johns prepara una versione aggiornata di Get Back: oltre a I Me Mine, include anche Across The Universe (diventa necessaria perché viene suonata in una scena del film), incisa dai Beatles nel febbraio del 1968 e pubblicata (in una versione diversa) sull’album benefico Nothing’s Gonna Change Our World. Johns, fedele all’idea originaria del disco, si rifiuta di includere la nuova versione di Let It Be per via delle sovraincisioni. Questa la versione aggiornata: One After 909, Rocker, Save The Last Dance For Me, Don’t Let Me Down, Dig A Pony, I’ve Got A Feeling, Get Back, Let It Be, For You Blue, Two Of Us, Maggie Mae, Dig It, The Long And Winding Road, I Me Mine, Across The Universe, Get Back (reprise). Il disco rimane, al pari del suo predecessore, inedito.

La session del 4 gennaio è l’ultima dei Beatles, peraltro privi di John Lennon. Da quel momento ognuno inizia a pensare alla propria carriera individuale: McCartney e Ringo lavorano ai rispettivi album solisti (McCartney e Sentimental Journey), Lennon è sempre più impegnato nella sua nuova vita con Yoko e con la Plastic Ono Band, Harrison produce gli album di Doris Troy e Billy Preston prima di volare negli Stati Uniti alla corte di Bob Dylan.

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Wall of sound:
Phil Spector

La svolta per l’album Get Back

prende il via proprio durante una delle attività soliste di un Beatle: Lennon chiede ad Harrison di suonare la chitarra nel suo nuovo singolo, Instant Karma!, e George si presenta alle session portando con sé Phil Spector. Lennon affida la produzione a Spector e rimane favorevolmente colpito dal suo lavoro, e decide, di comune accordo con Harrison, che lo statunitense è l’uomo giusto per mettere mano ai nastri di Get Back. McCartney non viene nemmeno consultato: “Questo mi ha fatto molto arrabbiare”, ha ricordato George Martin, “e ha fatto arrabbiare ancora di più Paul perché né io né lui ne abbiamo saputo niente fino a cose fatte. Quelli della Emi sono venuti da me dicendo: ‘Lei in origine ha realizzato questo disco, ma non possiamo metterci il suo nome perché non ha prodotto il risultato finale’. Io ho risposto: ‘Potete mettere una nota dicendo: Prodotto da George Martin, sovraprodotto da Phil Spector. Ma non l’hanno trovata una buona idea”.

Spector entra in gioco il 23 marzo quando inizia a rimixare i pezzi a sua disposizione. Da citare il ricordo di Peter Bown, uno dei tecnici di Abbey Road: “Voleva l’eco su tutto, prendeva una pillola diversa ogni mezz’ora e si faceva accompagnare da una guardia del corpo”. Bown ricorda anche che George Harrison fu spesso presente durante la lavorazione “solo a guardare”.

Spector per certi versi rispetta l’idea originaria, inserendo delle parti dialogate tra le canzoni, e riuscendo a far suonare assolutamente brillanti molte canzoni, ma per altri versi snatura completamente l’idea base operando delle poderose sovraincisioni. Tre i brani ai quali riserva il suo wall of sound: I Me Mine, Across The Universe e soprattutto The Long And Winding Road. Per l’occasione viene convocata un’orchestra composta da diciotto violini, quattro viole, quattro violoncelli, un’arpa, tre trombe, tre tromboni, una batteria (Ringo Starr in persona!), due chitarre e quattordici coristi. McCartney, ormai non più in grado di controllare la situazione, rimane sconvolto dal trattamento riservato da Spector alla sua ballata per pianoforte, e in genere all’album, che invece gli altri apprezzano. “Gli è stato dato il mucchio più merdoso di ignobile merda malamente registrata”, ha dichiarato Lennon, “e ne ha cavato qualcosa. Ha fatto un gran bel lavoro”.

“A me piaceva davvero il lavoro che ha fatto Phil”, ha affermato Ringo Starr. “Ha portato la musica in un’altra dimensione ed era il re del ‘muro del suono'”.

“Phil Spector, “ha affermato Harrison, “faceva il genere di dischi che mi piacciono: il suono che arriva ovunque. Ero un suo grande ammiratore, quindi ero assolutamente favorevole all’idea di coinvolgerlo”. Non a caso Lennon e Harrison nei primi anni 70 lavoreranno ancora con Spector, con il quale co-produrranno, riuscendo a imbrigliarne la verve, alcuni dei loro dischi migliori: Plastic Ono Band e Imagine per John, All Things Must Pass e The Concert For Bangla Desh per George. Di parere contrario McCartney: “Di recente ho risentito la versione di Spector ed era tremenda. Io preferisco il suono originale, quello che c’è sull”Anthology 3″.

“Se qualcuno ascoltasse la versione non autorizzata”, ha chiarito Lennon”, “quella precedente a Spector, e ascoltasse quella di Spector, se ne starebbe zitto. I nastri erano pieni di rumori e così pessimi che nessuno aveva voluto metterci mano. Erano in giro da sei mesi, nessuno di noi aveva il coraggio di rimixarli, erano terrificanti. Ma Spector ha fatto un lavoro fantastico”.

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Get Back e Let It Be

Il giudizio di Lennon è assolutamente condivisibile, infatti la prima versione di Let It Be, intitolata Get Back, non è all’altezza del livello qualitativo dei Beatles: un disco grezzo, senza che questo sia un valore aggiunto, e approssimativo. In particolare alcune canzoni suonano opache: Let It Be non possiede quell’impatto emotivo e quel pathos drammatico ma anche carico di speranza che avrà la versione definitiva; I’ve Got A Feeling e Dig A Pony sono spente e fiacche, Two Of Us non è particolarmente brillante e spensierata, Don’t Let Me Down è poco più che approssimativa (la versione pubblicata su singolo, comunque non prodotta da Spector, è di tutt’altro livello: disperata e palpitante). Il paragone tra le due versioni dell’album conferma quanto affermato da Lennon in merito al lavoro di Spector: “Ci sa davvero fare al mixer, lo suona. In pochi secondi è in grado di estrarre qualsiasi suono voglia. Phil lascia che tu gli faccia il quadro di quello che hai in mente, poi ne tira fuori sempre la versione migliore”. Infatti Spector, giocando con il mixer, perché le canzoni a sua disposizione quelle erano e quelle rimanevano, riesce a conferire al disco un suono più brillante e incisivo, portando in primo piano le chitarre e facendole suonare cristalline ma graffianti e incisive, e valorizzando la batteria di Ringo Starr (ascoltatela in Let It Be e rivedete tutte le malignità sulle sue capacità dietro i tamburi). Solo The Long And Winding Road è superiore nella versione originaria, scarna e dolente, rispetto alla pomposità che le conferisce Spector. Inoltre la prima versione conteneva un’approssimativa stesura di Teddy Boy (canzone che poi Paul reinciderà con maggiore fortuna per il suo esordio da solista), due brani poco più che improvvisati, Rocker (uno strumentale) e Save The Last Dance For Me (un successo dei Drifters dei primi anni 60), e una noiosa versione di oltre quattro minuti di Dig It (poi ridotta ad una manciata di secondi da Spector). Su questa prima incarnazione dell’album i giudizi dei Beatles sono piuttosto discordanti: “Io pensavo che sarebbe stato positivo farlo uscire nella versione merdosa”, ha affermato Lennon, “perché avrebbe mandato a pezzi i Beatles, avrebbe infranto il mito: ‘Eccoci in braghe di tela, senza quella bella patina lucida e senza speranza. Ecco come siamo con i pantaloni calati e adesso, per favore, smettiamola’”. Al contrario McCartney è più positivo: “Per me era solo perché Let It Be era il disco nudo e crudo così come lo aveva mixato Glyn Johns: senza sovraincisioni, senza orchestra, senza niente. Era molto, molto semplice. Forse era un po’ duro da digerire”.

Spector, come ha coloritamente precisato Lennon, è riuscito a trarre da delle registrazioni certamente non memorabili un album di tutto rispetto. Certo, non siamo al cospetto di uno dei capolavori del quartetto, ma è fuori discussione che Let It Be sia un disco affascinante e potente, con dell’ottimo rock (I Me Mine, I’ve Got A Feeling, Two Of Us, Get Back, Dig A Pony) e almeno tre brani di assoluto valore (Across The Universe, Let It Be, The Long And Winding Road).

Vale qui la pena soffermarsi sulle due diverse versioni di Let It Be in circolazione: quella del singolo (rintracciabile nella raccolta Past Masters volume 2) e quella dell’album, diverse per quanto riguarda l’assolo centrale di chitarra. La versione del 45 contiene l’assolo registrato il 30 aprile 1969 e ha i fiati e i violoncelli mixati piuttosto bassi. La versione dell’album contiene invece l’assolo di chitarra registrato il 4 gennaio 1970, ha fiati e violoncelli più in evidenza nel mixaggio ed è leggermente più lunga. A giudizio di chi scrive la versione dell’album è più affascinante: l’assolo di chitarra è più suggestivo e drammatico e l’atmosfera del pezzo è pregna di dolorosa speranza.

Anche di Get Back sono disponibili due diverse versioni: quella del singolo (reperibile su Past Masters volume 2) e quella dell’album. Si tratta di due registrazioni diverse ma praticamente identiche per esecuzione ed arrangiamento.

Let It Be viene, finalmente, pubblicato l’8 maggio 1970 quando ormai Paul McCartney ha annunciato al mondo lo scioglimento dei Beatles. Il disco esce in una lussuosa confezione, accompagnato da un libro ricco di splendide fotografie che documentano le Get Back Session.

Fa infine sorridere constatare come il disco che doveva segnare il ritorno dei Beatles alla semplicità delle origini sia invece nato dopo prolungati mixaggi e produzioni, e registri la presenza di un’orchestra di una cinquantina di elementi!

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