01/04/2010

LYLE LOVETT & JOHN HIATT

Milano, Conservatorio 2 febbraio 2010

L’avventura a due inizia, per amicizia e quasi per gioco, nel 2008. Poi a Lyle Lovett e John Hiatt si uniscono Joe Ely e Steve Young, quattro “campioni” di notevole spessore artistico che si sono esibiti talvolta acustici, altre volte accompagnati da una nutrita formazione. In Italia Lovett & Hiatt sono arrivati senza i due compagni e senza band, ma è stato comunque un concerto intenso, speciale, di rara bellezza: sul palco della Sala Verdi del Conservatorio di Milano (acustica perfetta) due microfoni, due sedie, due tavolini, tre chitarre acustiche (una per Lovett e due per Hiatt) e due voci fantastiche. I due artisti sono differenti, ma complementari. Hiatt ha una voce squillante, ruvida, da soulman, un songwriting incisivo e suona la chitarra in maniera brusca ma precisa. Lovett, per la prima volta in assoluto in Italia, sfoggia classe e ironia. Giacca nera con tanto di fazzoletto nel taschino e camicia bianca, è lui la vera sorpresa, usa la Martin con tocchi raffinati, ha swing e… una grande mascella. I due si divertono, maestri anche nelle pause e nei silenzi, suonano e cantano magistralmente i propri e rispettivi cavalli di battaglia. Il trasognato e simpaticissimo Lovett si cimenta con dialoghi buffi, quasi nonsense, come se dovesse intervistare Hiatt; quest’ultimo regge il gioco creando siparietti divertenti. Sono intensi i pezzi di Hiatt: Memphis In The Meantime, Perfectly Good Guitar, Crossing Muddy Waters, la romantica Feels Like Rain, la sempre splendida Walk On, Buffalo River Home, Drive South, Tennessee Plates, tutte in versioni fantastiche. Presentando Thing Called Love ironizza sul fatto che Bonnie Raitt l’ha cantata tralasciando una strofa, ma il successo della cover gli ha permesso di mandare le sue due figlie all’università. In chiusura, una insuperabile versione di Have A Little Faith In Me. Lovett unisce intensità e sense of humour in pezzi cantati in punta di piedi, con fascino sottile ma irresistibile. Si ascoltano One Eyed Fiona, ironico country su una ragazza con un occhio solo, If I Had A Boat, Nobody Know Me, Cowboy Man, Your Dad Did, My Baby Don’t Tolerate Me, She’s No Lady, il folk tradizionale Ain’t No More Cane On The Brazos e l’incantevole Step Inside This House composta da un altro texano illustre, Guy Clark. Due ore e 40 favolose.

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