16/05/2007

Mavis Staples

We’ll Never Turn Back – Anti / Self

Sono passati 43 anni e sette mesi da quel 28 agosto 1963 quando, su un palco di Washington, di fronte a mezzo milione di persone, Martin Luther King raccontava a tutti di “aver avuto un sogno”. Un sogno nel corso del quale il Dottor King aveva visto i suoi figlioli (neri) sedersi allo stesso tavolo dei figlioli (bianchi) del suo datore di lavoro. Quel discorso formidabile fece epoca e (tra gli altri) colpì anche il giovane Bob Dylan, presente a Washington insieme a Joan Baez, Mahalia Jackson e a tantissime altre celebrità della musica e dello spettacolo di quegli anni. Di lì a poco, Dylan avrebbe composto l’inno The Times They Are A-changin’. Purtroppo anche dopo così tanto tempo, da un certo punto di vista, i tempi non sono cambiati. È vero, le croci del KKK non bruciano più in Alabama; sugli autobus (thank you, Mrs. Rosa Parks) i neri possono sedersi anche sui sedili anteriori e, grazie a dio, non compaiono più cartelli “for colored only” su cessi pubblici, fontane o persino bar e locali del sud degli States. Ma avete presente cosa è successo a New Orleans nel post Katrina? I nomi di Rodney King o Amadou Diallo vi dicono qualcosa? E, secondo voi, la parola razzismo è stata eliminata dal dizionario degli esseri umani?
“Sono passati quasi 50 anni da allora / Per quanto tempo ancora dovrà durare? / Dobbiamo cambiare le cose subito / Perché ancora oggi siamo trattati così male?”. Così canta oggi, e a ragione, Mavis Staples, la più brava, dotata e credibile dei figli del grande Pops Staples. “Lo vedo con i miei occhi / E così capisco che è vero”, urla sempre Mavis in My Own Eyes, brano che ha scritto insieme a Ry Cooder, produttore, arrangiatore e musicista di We’ll Never Turn Back, straordinario tributo alle canzoni di libertà del popolo afroamericano di ieri e di oggi. Progetto di lucida consapevolezza sociale e politica che mostra, una volta in più, la nascita di una nuova coscienza americana che cerca rifugio nei vecchi principi rivoluzionari degli anni 60, l’album è innanzitutto una delizia assoluta per le orecchie dell’appassionato. Dodici i brani presenti, lanciati in apertura da un’emozionante, potentissima versione di Down In Mississippi di J.B. Lenoir che, in modo esemplare, dà il la a un progetto affascinante e coinvolgente. Arrangiato in modo scarno ma stilisticamente impeccabile da Ry Cooder e da tre dei suoi più fedeli accompagnatori (il figlio Joachim, Mike Elizondo e Jim Keltner), We’ll Never Turn Back presenta alle voci i superbi Ladysmith Black Mambazo più alcuni membri fondatori dei Freedom Singers, il coro che nei primi anni 60 faceva concerti per sovvenzionare lo Student Nonviolent Coordinating Committee.
Coinvolto anche come autore, Cooder pone il suo inconfondibile marchio di fabbrica sull’operazione. La già citata My Own Eyes (un gospel moderno con un testo di denuncia che taglia a fette l’America) è emblematica al proposito ma altrettanto lo sono, sia musicalmente che come messaggio politico, I’ll Be Rested (che nasce dalla penna dallo stesso chitarrista californiano) o la incalzante This Little Light Of Mine, un traditional con testo (esplicito) riscritto da Ry Cooder. “Don’t give up, don’t back down / Don’t let the liar turn you around” (“Non arrenderti, non fare retromarcia / Non lasciare che il bugiardo si prenda gioco di te”) canta la Staples su una base musicale che trasuda blues. Ancora meglio è 99 And A Half, altro traditional con testo riveduto e corretto. Trascinante, ipnotica, ossessiva, tutta basata sul “call and response” tipico della black music a ogni latitudine, la canzone sottolinea che ancora oggi “manca sempre qualcosa per fare 100” e che “se il tuo dio non ce la riesce a fare prova il dio della libertà”.
Tutta la mostruosa cultura musicale di Cooder emerge dalle dodici tracce del disco. In questo spettacolare almanacco black ci sono squarci afro e graffiate rock (la slide di Cooder è più tagliente di una sciabola) che diventano il terreno acustico ideale per accompagnare l’incredibile vocalità di Mavis Staples, la cui espressività tocca qui vertici assoluti. La si nota sia in grandi classici della tradizione (come We Shall Not Be Moved) che nella blueseggiante Turn Me Around (con incantevole intro di mandolino) così come pure nella black ballad che dà il titolo al lavoro, scritta da Berta Gober (Freedom Singers). Certo, quando in chiusura, i musicisti si lanciano in Jesus Is On The Mainline viene raggiunto l’apice: il brano, da solo, è in grado di dare i brividi persino a chi vive all’Equatore.
Da ascoltare sempre, comunque e dovunque: We’ll Never Turn Back è musica terapeutica, per il corpo e per la mente, per la carne e per lo spirito.
Ezio Guaitamacchi

Down In Mississippi
Eyes On The Prize
We Shall Not Be Moved
In The Mississippi River
On My Way
This Little Light
99 And A Half
My Own Eyes
Turn Me Around
We’ll Never Turn Back
I’ll Be Rested
Jesus Is On The Main Line

Prodotto da Ry Cooder

On demand

Iscriviti alla Newsletter

Vuoi rimanere sempre aggiornato su rock e dintorni? Iscriviti alla nostra newsletter
per ricevere tutte le settimane nuovi video, contenuti esclusivi, interviste e tanto altro!