17/11/2017

Morrissey

Un undicesimo album solista sublime e controverso allo stesso tempo, proprio come il suo carattere
Gli ultimi anni sono stati particolari per Morrissey, tra alti (l’autobiografia e il bel disco del 2014 World Peace Is None Of Your Business) e bassi (il romanzo List Of The Lost e i vari commenti su Brexit, UKIP e polizia di Roma). Tutto sommato, per un artista da sempre abituato ad essere controverso, sono stati semplicemente anni emblematici del suo carattere.
 
L’undicesimo album solista Low In High School rappresenta allo stesso modo la sua personalità, capace di sfoderare grandi canzoni e al tempo stesso alcune cadute di stile, in grado di scrivere testi indimenticabili e rilasciare commenti discutibili.
 
Si parte con l’inno glam di My Love, I’d Do Anything For You, una sorta di dichiarazione d’intenti come nel 1992 You’re Gonna Need Someone On Your Side apriva Your Arsenal. I Wish You Lonely, che affronta i classici temi di solitudine e infelicità cronica, prosegue con un bel mix di synth e basso tuonante, mentre Jacky’s Only Happy When She’s Up On The Stage ha un inconfondibile groove à la Morrissey che la rende subito familiare.
Home Is A Question Mark e Spent The Day In Bed portano il disco su atmosfere più leggere, soprattutto quest’ultima per via del riff di tastiere, che ci riporta a Girlfriend In A Coma degli Smiths, e di una melodia subito memorabile.
Gli oltre sette minuti di I Bury The Living dividono esattamente in due l’album e si tratta di uno dei brani migliori, composto da più sezioni e con un testo che critica con ironia la vita dei soldati.
 
La seconda metà di Low In High School mostra invece in maniera evidente le influenze latine nella musica di Morrissey degli ultimi anni, senz’altro grazie all’entrata di Mando Lopez e Gustavo Manzur nella band (che firmano sei brani sul totale).
Hanno andamenti latineggianti la ballata In Your Lap, la carnale When You Open Your Legs e soprattutto The Girl From Tel-Aviv Who Wouldn’t Kneel, che celebra il recente amore di Morrissey per Israele (nel 2012 è stato nominato “freeman” della città di Tel-Aviv).
Il disco contiene un’ulteriore dedica appassionata al Paese nella dolce ballata conclusiva Israel e in generale presenta diversi riferimenti politici; inviti a ignorare la propaganda dei media, smettere di seguire le notizie, continuare ad innamorarsi senza curarsi dei governi, richiami alla Primavera Araba, al Medio-Oriente e persino al Venezuela (in Who Will Protect Us From The Police?).
 
Ci sono, dunque, tutti gli elementi (musicali e testuali) caratteristici di Morrissey, sublime e controverso nello spazio di una sola strofa e sempre in cerca di polemiche, a partire dalla frase in copertina “axe the monarchy”. E si possono non condividere le sue posizioni, ma alla sua classe è difficile resistere.
 

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