23/03/2007

Neil Young & Crazy Horse

Greendale – Reprise/Wea

L’ascolto del nuovo album di Neil Young avviene, come ormai è triste consuetudine, in una situazione quasi top secret negli uffici della casa discografica, in un caldissimo pomeriggio di fine luglio. In un clima di gentilezza e relax possiamo così togliere il velo all’ultimo ‘segreto di Pulcinella’ che avvolge l’operazione Greendale, cioè la veste sonora delle canzoni di questo intrigante concept album. E mentre il Bisonte sta girando in lungo e in largo l’America con i Crazy Horse e numerose apparizioni di Lucinda Williams, noi possiamo ascoltare le canzoni che Neil ha presentato in versione acustica nella prima parte dello splendido show di Milano. Tirando un bel respiro di sollievo. L’emozione, infatti, affiora subito, cancellando quei patemi che si erano annidati nella nostra mente, insieme alla lunga attesa. Le atmosfere rilassate e asciutte di questi talking blues (pressoché senza ritornelli) ci riportano a quelle dei migliori album degli anni 70: On The Beach, Zuma e Tonight’s The Night. Sonorità elettriche scarne e presa diretta; la voce, bellissima e nitida, va e viene dal microfono; la Gibson alterna fraseggi ritmici ai consueti assoli di raccordo. Forse le canzoni sono un po’ troppo lunghe, ma indiscutibilmente belle; un paio perfino bellissime. È un Neil Young classico ma nel contempo ‘nuovo’ e questo ci fa molto piacere, rafforzando l’impressione che Greendale finirà per diventare un capitolo importante della infinita discografia del loner, uno che, anche dopo quarant’anni di musica, ha ancora voglia di sperimentare, di trovare nuove forme narrative piuttosto che concentrarsi nelle operazioni di recupero degli archivi.

Della vicenda che ruota attorno a Greendale ormai si sa già tutto ed è quasi inutile ritornarci sopra: racconta le oscure vicende di una cittadina della costa dall’aria rispettabile, attorno alle quali si scatenano i mass media. Format che permette all’artista, solitamente ritroso, di raccontarsi, utilizzando i vari personaggi per rivelare il suo pensiero su come va il mondo. Unitamente all’album uscirà il dvd del film, un musical atipico girato dallo stesso Young con attori improvvisati (più che altro amici e persone del suo entourage), la cui colonna sonora è appunto l’album stesso e che ha già suscitato i commenti positivi del noto regista indipendente Jim Jarmush, che ha affermato trattarsi di una delle opere cinematografiche più innovative degli ultimi anni.

Si accennava alla lunghezza delle canzoni, aspetto che forse più di tutti, insieme a una certa uniformità di songwriting, richiede all’ascoltatore un po’ di dedizione alla causa. Se l’iniziale Falling From Above (7’30”) ci lascia ‘solamente’ il piacere di ritrovare sonorità amiche, già con la successiva Double E si comprende che con le canzoni e con gli arrangiamenti ‘ci siamo’: il brano richiama alla mente la vecchia Vampire Blues. L’andamento pacato si addice a Devil’s Sidewalk, il cui incedere ritmico ripetitivo è contrastato da un call and response in cui appaiono dei coretti femminili (circa la struttura, pensate a una For The Turnstiles più ritmata). Riservato all’armonica è l’incipit di Leave The Driving, curiosamente simile a quella appena ascoltata, dalla quali si differenzia per una chitarra elettrica più secca e per assoli di armonica decisamente blues. Carmichael, brano di dieci minuti aperto da un’intro di chitarra elettrica solista che sembra non risolversi, mostra qualche fragilità rispetto alla versione acustica: l’arrangiamento, infatti, attenua la tensione dei bei cambi di ritmo ascoltati dal vivo. La chitarra acustica appare però alla grande in Bandit, brano stupendo alla Ambulance Blues, nel quale Neil fa un uso sapiente della corda bassa, molle e distorta, creando un grande pathos rafforzato dalla sua magica voce sussurrata. Quasi tredici minuti se li prende Grandpa’s Interview, tra assoli e fraseggi elettrici, con un’intro che pare tolta da Don’t Cry No Tears. Solo tre minuti invece per Grandma Brings Dinner, l’unica suonata al pump organ. Il finale è da brivido e ci regala le canzoni più belle: Sun Green, elettrica con aperture psichedeliche e punteggiature alla Canned Heat; Be The Rain, stupendo call and response col megafono, con tanto di harmonies, melodia cantabile e assoli disseminati qua e là. Un brano che si candida a entrare di diritto nel repertorio delle canzoni ‘universali’ (anche per la tematica), fra Like A Hurricane e Rockin’ In The Free World. Forse occorre un po’ di amore e di passione, ma stavolta Neil Young ci ripaga con moneta preziosa.

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Voto: 8

Perché: è un’operazione complessa e importante, che ci riporta alla struttura classica del Neil Young anni 70.

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