02/03/2009

Oasis

Assago (MI), Forum, 2 febbraio 2009
All’esterno del Forum d’Assago nevica come se ci trovassimo nella vecchia canzone Fifteen Feet Of Pure White Snow di Nick Cave, mentre all’interno una folla degna delle grandi occasioni è già lì in fremente attesa del primo concerto italiano degli Oasis di supporto al loro ultimo disco Dig Out Your Soul. Già, gli Oasis: quattordici anni fa Damon Albarn dei Blur li sfotteva velenosamente ribattezzandoli Quoasis e loro, per ironia della sorte, forse un po’ cloni degli Status Quo lo sono diventati davvero in tutto questo tempo. Nel senso che un live dei Gallagher, al giorno d’oggi, è “classico”. I ruoli guida sono sempre rigorosamente cementati attorno a Liam, che arringa i presenti semplicemente sfilandosi gli occhiali da sole o lustrandosi il cappottino alla marinara, e a suo fratello Noel, che sciorina la scaletta con i suoi semplicissimi lick di chitarra e i suoi assoli ultramelodici. Tutto il resto fa parte della cosiddetta sfera dei gregari (nell’ordine: il chitarrista-ombra Gem Archer, il bassista Andy Bell, il tastierista Jay Darlington e i supporter Twisted Wheel che paiono una brutta copia degli Arctic Monkeys). E pazienza se il nuovo portentoso batterista Chris Sharrock (un passato alla corte di Robbie Williams) sia il miglior pesta-pelli che gli Oasis abbiano avuto dai tempi del primo Alan White o che l’opening dj di stasera bersagli il pubblico meneghino con un’ottima selezione di 45 giri northern soul e freakbeat. Gli 11 mila del Forum, difatti, sono qui solamente per i fratelli e loro, colpiti da tanto affetto, li ripagano con uno show in cui la voce di Liam – perlomeno nella prima parte del concerto – fa pienamente il suo dovere e i molti classici del periodo d’oro ‘94/95 si sprecano uno dietro l’altro. Il nuovo, egregio album Dig Out Your Soul viene adeguatamente promozionato con l’esecuzione dei singoli The Shock Of The Lightning, I’m Outta Time (gran bella canzone ma, eseguita live, forse perde qualcosa in pathos) e una Falling Down interpretata da Noel con il suo solito vocione lamentoso. Per il resto, invece, si cazzeggia allegramente tra presente e passato prossimo con una To Be Where There’s Life dilatata dai nostri alla maniera dei migliori Verve, un mezzo plagio degli Stones (siamo onesti: The Meaning Of Soul è praticamente Jumpin’ Jack Flash) e una Lyla che aziona alla grande il karaoke collettivo di Assago. Per i bis, infine, si ritorna in alta quota con una Don’t Look Back In Anger in chiave elettro-acustica e due maestose versioni di Champagne Supernova e ovviamente I’m The Walrus di chi sapete voi.
Ok, parliamoci chiaro: è stata solamente nostalgia da brit pop? Forse sì ma come giustificare allora l’esclusione clamorosa di Live Forever, l’assenza grave di Go Let It Out o il totale boicottaggio di due dischi pazzeschi come Be Here Now e Standing On The Shoulder Of Giants, veri e propri “luce ed ombra” della band mancuniana? No, forse gli Oasis più belli, coraggiosi, imprevedibili e selvaggi sono “morti” nove anni fa. Vale a dire durante una notte del luglio 2000, alla fine del loro secondo concerto londinese nel vecchio stadio di Wembley, immortalata poi sull’album dal vivo Familiar To Millions. Quelli odierni, infatti, ci sembrano una versione troppo professional e da terzo millennio di quei vecchi casinisti from Burnage ma, diamine, almeno stasera ci siamo divertiti come fornicatori nei cespugli.

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