10/06/2015

Paolo Tocco e il suo modo di ballare

Il folk-rock del cantautore abruzzese, che lancia il nuovo video su Jam
A volte è utile conoscere personalmente un artista. Se non avessi avuto modo di incontrare Paolo Tocco, non avrei colto in profondità il suo mondo, interiore e artistico. Quello che mi colpisce di più della sua scrittura e del suo modo di interpretare la canzone d’autore è il senso di fanciullezza, il candore dovuto probabilmente alla vita in provincia. Vita defilata, a Chieti e in quell’Abruzzo che rimanda alle immagini di un Ivan Graziani, figura presente nella musica di Tocco insieme all’amatissimo De Gregori. Il mio modo di ballare (Protosound) è il suo nuovo disco, dal quale è tratto il singolo Luna Nera, con video lanciato in anteprima proprio qui su Jam:
https://www.youtube.com/watch?v=snIaV1yitQ8
 
Il nuovo video di Luna Nera, in anteprima su Jam. Ce lo presenti?
Dopo il lancio di Aveva Vent’anni, con cui ho avuto ottimi riscontri per la scelta di un video bizzarro da associare ad una canzone d’autore seriosa e – in un certo modo – impegnata, mi ero riproposto di ripetere l’esperienza… ed eccomi qua. Questa volta non si balla ma ci si mette in mostra. Siamo negli studi della 35mm Creative Lab e volevo rappresentare in qualche modo la doppia faccia delle persone, in modo metaforico per alcuni e in modo assolutamente inaspettato per altri. Volevo rappresentare il bello che spesso celiamo dietro le maschere di un perbenismo declinato dalle regole, l’istinto che siamo abituati a nascondere per pudore e per costume popolare, il gusto e la voglia di un certo modo di stare al mondo che ci fa sembrare strani agli occhi dei più… in un certo senso è anche la denuncia o la provocazione contro l’omologazione e la formattazione che questa società impone, ormai non più in modo velato e sottinteso… per molti è anche un certo modo di restare bambini. Luna Nera è un po’ tutte le facce di cui spesso ci vergognamo…
 
Il mio modo di ballare è il tuo ritorno dopo cinque anni dal debutto Anime sotto il cappello. Che differenze ci sono tra questi due lavori?
Spero tantissime. Perchè significherebbe in qualche modo cambiamento, anni in cui non sono stato fermo come uomo prima e come artista (se possiamo usare questa parola) poi. Quando mi capita di sentire di qualcuno un disco uguale ai precedenti credo che ci sia qualcosa di marcio e di “malato” dietro la sua genesi. Da Anime Sotto il Cappello di sicuro è cambiato l’approccio, il gusto, la cultura e i dischi consumati all’ascolto. Sono cambiate le persone attorno a me e i professionisti che ho incontrato e che hanno dato ampio respiro alle mie nuove piccole canzoni. Non avrei mai inciso un nuovo disco se non avessi sentito tutto questo cambiamento in me. Ora spero che cambiamento sia anche sinonimo di evoluzione positiva e gustosa. Incrocio le dita!!!
 
Presenti Il mio modo di ballare come un concept: qual è l’elemento narrativo che lega i pezzi?
L’ipocrisia. Questo è il tema portante. Credo che in questi anni abbia fatto incetta di ipocrisia in tutte le salse. Credo tra l’altro che sia storia comune di molti, se non di tutti. L’ipocrisia in tutte le sue forme, dall’amore tradito al voler sognare qualcosa, dal genitore che si finge tranquillo mentre sente di morire di preoccupazione piuttosto che l’etica che leghiamo al sesso. Anche una malattia mette in campo dosi di ipocrisia nel suo accettarla piuttosto che nel conviverci attorno. Con una malattia ci si convive attorno, non si convive assieme… credo…
 
Aveva vent’anni e Luna nera si avvicinano molto al mondo del folk-rock all’americana, che però è solo una delle tue influenze…
Beatles, Jackson Browne come se non esistesse un domani. Ma anche James Taylor, ma anche Ray Lamontagne, Damien Rice, Dylan, Pete Seeger e Townes Van Zandt… gli ultimi dischi comprati? Paul Simon e Jean Michel Jarre. Poi torniamo in Italia e dobbiamo citare De Gregori, Gianmaria Testa, De André e tutto quel filone che li lega un po’ assieme. Confido di aver rubato molto da Rimmel e da Creuza de mä. Ma questo solo per la scrittura perché poi gli arrangiamenti ed il gusto che ha guidato e sagomato i pezzi sono da ricondurre a Domenico Pulsinelli, produttore artistico ed esecutivo del disco. Mi piace pensare che sia stato un silenzioso e mutuo contaminarsi, forse ci siamo cercati a vicenda in tutto questo lavoro. Io l’ho incontrato… spero che anche lui mi abbia trovato. Poi glielo chiederò…
 
Mestiere difficile quello del cantautore, al quale negli anni ’60 e ’70 si chiedeva molto, forse troppo: e oggi?
Bellissima domanda. In quegli anni era il movimento sociale e il fermento di una certa sinistra giovanile affamata di rivoluzione a dar voce e attenzione a quel mondo della canzone d’autore che oggi celebriamo in lungo e in largo. A quel tempo, quella canzone non era solo arte ma anche messaggio. Purtroppo l’abbiamo troppo politicizzata ma di sicuro quello era il vero motore. Credo che ogni periodo abbia il suo canale di comunicazione a trainare senza sosta un qualche tipo di moda, di musica, un certo tipo di abitudine. Questa non è l’era dei cantautori secondo me. Una nicchia – anche se numerosa – ascolta musica d’autore, moltissimi lo fanno ma mi danno forte l’impressione di voler sembrare o apparire in un certo modo. Forse molti attraverso la musica d’autore si sentono di somigliare ad un certo modello che un tempo era assai affascinante, bohémien di barbe lunghe, canne, rivoluzioni nel sangue e libri sotto braccio, magari stampe censurate dai nemici del partito. Pochissimi la amano per quella che realmente sa essere. Oggi la musica d’autore è come fosse una vecchia macchinetta fotografica, buona e genuina, ma per niente competitiva contro il mercato degli smartphone mille volte più veloci e potenti. Per fortuna ci sono sempre gli amanti della fotografia.
 
Ad un’idea “rigorosa” di canzone tu rispondi con un approccio più versatile, dovuto probabilmente anche alla tua attività di ingegnere del suono e produttore. Quanto conta questa tua estrazione? 
Tantissimo. Io da oltre 20 anni sto formando la mia educazione – parlo in generale – seguendo della sana contaminazione senza chiudere porte a prescindere e senza focalizzarmi in un’unica direzione. Devo molto agli studi di arte magica che mi porto dall’infanzia. La visione di insieme ti permette di parlare diverse lingue, arginare e prevenire errori prodotti anche da altri e sicuramente ti regala la possibilità di sapere cosa sta provando chi occupa un ruolo adiacente al tuo. Nel quotidiano io lavoro come promoter discografico. Ma ora so benissimo cosa prova un artista nel vedere le classifiche piuttosto che i contatori inutili del web.
 
A proposito di produttori, accanto a te nel disco c’è stato Domenico Pulsinelli, al quale hai affidato la direzione artistica.
Esattamente. Un mutuo cercarsi, un continuo trovare assieme un equilibrio. Devo a lui la forza e il privilegio di aver potuto fare un’esperienza importantissima. Portare i brani in studio disegnati a matita, chitarra e voce e poco più per poi lasciare che un professionista del suo livello potesse leggerci del suo e che, attraverso il suo modo di ballare (il suo modo di pensare alla musica, i suoi ascolti, il suo carattere), venisse incontro al mio animo e alle mie emozioni per raccontarle. Lo scopo era raccontare le mie canzoni e non il suo modo di fare musica. Mi ha insegnato che questo è il vero significato di produrre un disco. Lui ha cercato me come persona prima, attraverso ogni nota ed ogni arrangiamento. Io ho scoperto, grazie a lui, nuovi angoli di me che non conoscevo. Chissà lui cosa avrà preso da me.
Di sicuro con la Protosound, con Giulio Berghella, Domenico Pulsinelli e Claudio Esposito, ci siamo permessi il lusso di realizzare un disco veramente come volevamo e al massimo di ogni possibilità acquisita in questi anni. Questo è Il nostro modo di ballare
 
Non hai mai negato un forte amore per De Gregori: in che modo questa “venerazione” entra nella tua canzone?
Stimo fortemente il personaggio e l’uomo che è. Amo quel suo modo di stare al mondo (lavorativamente parlando) e sento moltissimi punti in comune se parliamo di logiche e di modi di costruire un pensiero. Questo mi fa somigliare a lui nelle canzoni. Perchè una canzone d’autore è lo specchio caratteriale di chi la scrive. Non stiamo facendo POP o altre forme di musica più commerciali, che quindi si sagomano secondo regole precise ed oggettive… per quanto possibile. Qui siamo di fronte a vere e proprie fotografie dell’anima di una persona, il suo modo di parlare e di costruire pensieri e fantasie. La barba, il cappello, quel certo modo di fare e ascoltare musica, di suonare una chitarra o di stare in mezzo alla gente. Tutto è nelle mie canzoni. Facile che ci siano molte persone a cui somiglio. De Gregori è una di queste. La differenza è che lui è un personaggio ormai globale e tutti ci riferiamo a lui. Ma posso farti nomi di perfetti sconosciuti, amici miei, che pur non avendo niente a che fare con la musica, potrebbero di diritto essere dei perfetti cloni.
 
Stai seguendo in prima persona la promozione del disco, un lavoro minuzioso, oserei dire artigianale…
Certamente. Io, Giulio Berghella che segue la promozione radiofonica e per tranci di strada assieme anche Fabio Gallo dell’Altoparlante. Ma in fondo questo disco nasce per la carriera di promoter discografico e meno per quella di Artista. Non mi sento all’altezza di questa parola e non faccio il cantante né il cantautore di mestiere. Forse ho solo tra le mani la sensibilità di scattare fotografie più o meno interessanti. Di base sono una persona schiva e riservata, molto goliardica in gruppo. Ridere diverte e le battute distraggono l’attenzione. Un modo come un altro per evitare di parlare di me. Questo disco cerca invece di farlo. E oggi sono sicuro di essere arrivato a quelle poche persone che mi sono attorno con la giusta importanza, con il dovuto stupore e con incredibile meraviglia. Tutto il resto per me è un gioco divertente che spero di poter condividere con quante più persone possibili. E per questo non posso che ringraziarti di cuore per questa intervista. Fate un lavoro speciale. Per noi che siamo da questa parte del mare (citando G. Testa), ne abbiamo davvero tanto bisogno.
 
 

 

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