15/05/2007

Prince

The Rainbow Children – Npg/Audioglobe

With the accurate understanding of God and His law they went about the work of building a new nation: The Rainbow Children.” Esordisce così il principino di Minneapolis nel suo ultimo lavoro, uscito negli Stati Uniti l’anno scorso e da noi reperibile soltanto ora (tranne per quelli che se l’erano già procurato tramite il suo sito ufficiale). Roger Nelson abbandona sempre di più il suo personale idioma fatto di sesso e amore per spingersi verso vette più spirituali, dove la sua conversione ai Testimoni di Geova lo porta a condensare liriche criptiche e vagamente esoteriche. The Rainbow Children è la nuova visione di Prince, che si allontana dai meandri carnali di Lovesexy per addentrarsi in tematiche da nuovo adepto, colme di richiami biblici e moniti pontificanti. Sinceramente lo si preferiva quando parlava di “hot thing” e “provocanti sorelline”, quando lo slancio mistico si nutriva della musica senza cadere nella predicazione e nella retorica. Se quindi il Nostro a 44 anni compiuti è diventato un po’ noiosetto (sarà la perdita del figlio e la fine del suo matrimonio con Mayte che si trova attualmente nell’alcova del testosteronico Tommy Lee ad avergli causato qualche problema?) e un filino paranoico (anche in questo disco si scaglia contro “hellavision, scagazines and whosepapers”), lo stesso non si può dire per la sua musica.

Quasi per contrasto alla sua rigida maniacalità, Sua Maestà nell’arte diventa un totale genio anarchico, capace continuamente di superare se stesso e di spingere la sua stessa storia verso nuovi confini. Il primo brano Rainbow Children dipinge subito i tratti di un album sofisticato e raffinatissimo, imbevuto di atmosfere jazzy e patinate, mai scoordinate dalle compulsioni funky che da sempre animano i territori princiani. Eclettico e colmo di richiami che vanno dalla eccentricità sovversiva di Frank Zappa ai sincretismi concettuali di Miles Davis, The Rainbow Children è una concept opera dove l’antico binomio peccato-redenzione viene continuamente scavalcato da una fusion fatta di nu soul (Muse 2 The Pharaoh suona come D’Angelo o Maxwell), citazioni latineggianti alla Santana (Digital Garden), fraseggi chitarristici che portano all’Hendrix di Electric Ladyland e passaggi di un funk talmente bollente da far impallidire James Brown (The Work Pt.1). E mentre la sua voce, a volte baritonale a volte stirata nell’inconfondibile falsetto, vaneggia su mondi ‘akashici’ e punizioni bibliche, la sua musica resta di una sensualità primitiva, vibrante, insuperabile.

Meno ampolloso e autoreferenziale rispetto ai suoi ultimi lavori, Prince è diventato un elegante signore che ha sostituito le mossette da meretrice con uno swing angelicato, tenuto a terra da manipolazioni digitali e assoli chitarristici di esilarante elettricità. Satiro irrefrenabile di una sintesi personalissima che passa da lunghe e classiche sinfonie a ballate pop, dal rock al gospel, dall’R&B alla psichedelia, Roger Nelson, dopo più di vent’anni di carriera, resta un talento a suo modo ancora unico e inafferrabile, ironico e irraggiungibile, che sa citarsi (come nella dance vagamente anni Ottanta di 1+1+1 Is 3) o piuttosto nascondersi dietro a composizioni così minimali da essere costruite intorno a una pulsazione e un gemito. Caos e ordine, sacro e profano, gioco e realtà, bianco e nero si mischiano nel mondo del principe in un caleidoscopio dove la forma si definisce soltanto per contrasto, dove ogni impulso viene inghiottito, riconvertito e trasformato, dove la continua decostruzione dei periodi crea la sintassi di un nuovo linguaggio sempre in movimento.

Se c’è una coerenza nella storia di questo grande musicista meticcio, essa sta proprio nel saper afferrare, al di là del continuo gioco di maschere, la quintessenza dell’arte pura, quella che scaturisce da un rapporto privilegiato con un canale superiore. E se questo è il caso, per il Mozart della black music (così come è stato definito) The Rainbow Children non può che essere una conferma.

——————————————————————————–

Voto: 8
Perché: la trasformazione della semantica musicale del Principe continua ad essere originale e inarrestabile e perché egli resta uno dei più grandi e dotati musicisti nati negli ultimi cinquant’anni.

On demand

Iscriviti alla Newsletter

Vuoi rimanere sempre aggiornato su rock e dintorni? Iscriviti alla nostra newsletter
per ricevere tutte le settimane nuovi video, contenuti esclusivi, interviste e tanto altro!