28/01/2008

RCA

La culla della canzone italiana

Ennio Morricone ricorda i litigi con Franco Migliacci e Lilli Greco perché voleva che le canzoni non fossero banali. Litigi che però, sottolinea il premio Oscar, “finivano sempre all’osteria a mangiare pasta e fagioli”. Questo è quello che poteva succedere alla Rca situata al chilometro 12 di Via Tiburtina a Roma, un luogo in cui è nata e cresciuta buona parte della musica italiana, da Lucio Dalla a Paolo Conte, da Renato Zero ad Antonello Venditti, da Francesco De Gregori a Patty Pravo, passando per Domenico Modugno, Gino Paoli, Rita Pavone e Gianni Morandi. A ripercorrere la storia di questa grande avventura artistica, nata 50 anni fa per volere di Papa Pio XII, è il bellissimo libro di Maurizio Becker C’era una volta la Rca. Conversazioni con Lilli Greco (Coniglio Editore, 352 pagine, 48,00 euro). Un’opera monumentale, ricca di aneddoti, interviste agli artisti e ai protagonisti della casa discografica, oltre a bellissime foto che completano l’opera da un punto di vista visivo. A fare da trait d’union con i suoi ricordi è appunto il produttore Lilli Greco, che mise per la prima volta piede in Rca nell’autunno del 1958 come assistente musicale, quando gli studi si trovavano ancora in Viale Pola. L’etichetta statunitense viveva un momento particolare. Era arrivata nel dopoguerra per volere di Pio XII, che chiese all’allora presidente della Rca Victor, Frank Folsom, di costruire una fabbrica a Roma nel quartiere San Lorenzo, colpito dalle bombe della guerra. Questi, grazie al piano Marshall, aprì prima una sede di rappresentanza e poi nel 1951 il famoso stabilimento di Via Tiburtina. Dapprima la casa discografica si limitava a stampare e distribuire i dischi che arrivavano direttamente da oltreoceano. Successivamente, iniziò a dedicarsi agli artisti italiani, con la direzione affidata al conte Enrico Pietro Galeazzi. Le vendite però non davano i risultati sperati e così, nel 1954, qualcuno pensò anche di chiudere. Fu ancora Papa Pacelli a imporre una sorta di nuova gestione, facendo nominare direttore il suo allora giovane segretario Ennio Melis, figura che diventerà fondamentale. La Rca è stata la prima compagine estera a investire anche sul prodotto locale, cosa che qualche anno più tardi verrà imitata anche dalle varie Emi, Wea e Cbs. Se il compianto Ennio Melis è stato per la Rca il direttore illuminato, cui tra l’altro si deve la parola “cantautore”, Lilli Greco invece è stato il fautore di quel suono che per tanti anni avrebbe contraddistinto i dischi usciti da Via Tiburtina, un po’ come quando negli anni 60 la Motown e la sua divisione soul furono così famosi da creare il Motown Sound. Prima di questo libro di lui si sapeva poco, se non altro che da molti artisti era piuttosto temuto. Eppure nonostante la sua formazione al Conservatorio di Santa Cecilia, e una promettente carriera da pianista classico, Lilli Greco ancora oggi osserva che “c’è differenza tra una musica di Mozart e Buonanotte fiorellino di De Gregori”. Alla Rca si cercava di raggiungere la qualità sonora dei dischi americani. “Nel 1959-1960” ricorda Greco “quando il mercato iniziò a tirare e noi a pubblicare i primi dischi, ci chiedemmo come adeguarci agli standard americani. Alla fine capimmo che il nodo cruciale stava nella fase del missaggio: è li che nasce il sound”. I primi dischi venivano registrati in presa diretta ma “con l’avvento delle macchine a tre piste, iniziammo a intervenire sul suono. I mixer di vecchia generazione avevano solo tre bottoni: alte, medie, basse. I nuovi filtri offrivano invece la possibilità di abbracciare tutto lo spettro delle frequenze udibili dall’orecchio umano, da 60 a 12 mila periodi”. Ma è solo con la creazione nel 1962 degli studi di Via Tiburtina che vennero allestite sale dotate di mixer particolari. Ad affascinare in quel periodo erano anche le “invenzioni sonore” di Phil Spector. “Era senza dubbio un caso curioso” prosegue Lilli Greco. “Il primo a parlarmene fu Jimmy Fontana. Ascoltando You’ve Lost That Lovin’ Feeling dei Righteous Brothers, Jimmy notò che i suoni erano rallentati e mi chiese: perché non facciamo una cosa del genere anche noi? Stavamo lavorando a Il mondo, una canzone che per i suoni contenuti si poteva benissimo prestare all’esperimento. Così andammo da Ennio Morricone, che era il maestro incaricato di curare l’arrangiamento, e gli facemmo ascoltare il pezzo dei Righteous Brothers. Inizialmente non era d’accordo. Diceva: ma perché dobbiamo seguire gli americani? Alla fine però l’esperimento lo incuriosì, perché si rese conto che in effetti un sound di quel tipo in Italia non si era mai sentito”. Leggendo il libro dalle frasi degli artisti arrivano anche rivelazioni inedite. “Con Lilli non era facile lavorare” spiega Morricone (cui tra le altre cose si deve l’arrangiamento di Sapore di sale di Gino Paoli) “ma quella della Rca era una famiglia. Bacalov, io ed altri, pochi altri, ci trovavamo di fronte a bellissime canzoni, come Io che amo solo te, ma anche ad altre con i giri di Do, Re, Sol. Con l’arrangiamento volevamo riscattare la banalità di certi pezzi. La Rca andava bene perché si osava. Ora non c’è più perché non è più tempo di osare”. Il paroliere e produttore Franco Migliacci, che si definisce “un abusivo della musica leggera”, ricorda che i successi scritti per Gianni Morandi e Rita Pavone erano dovuti al fatto che “io scrivevo per la gente. Lilli era una specie di medico dei pazzi. Una volta mi chiese ‘perché non canti?’. Io lo feci, ma di nascosto. Ricordate la sigla del cartone animato Mazinga? Beh, ero io a dire Mazinga!”.

I grandi protagonisti della musica italiana degli anni 60 ci sono tutti. Quello con Patty Pravo per Greco è stato “senz’altro un rapporto difficile. In fondo le scintille fra me e Nicoletta ci sono state da subito e la storia de La bambola lo dimostra”. La stessa Patty Pravo conferma gli attriti ma spiega anche che “senza quelli non ci sarebbero stati neppure i punti di incontro” e su La bambola afferma che “sapevo sarebbe stata la mia condanna. Nel senso buono, ovviamente. La registrai forse un po’ controvoglia”. E poi i grandi sforzi per imporre al pubblico Paolo Conte. Greco ricorda che, nella seconda delle tre serate organizzate per farlo conoscere, al Teatro Centrale, dietro il Teatro Argentina, c’era solo “qualche volontario” e il suo dentista con la moglie. E si scopre anche che quando scoppiò il fenomeno Rita Pavone, negli anni 60, alla Rca qualcuno pensò di far arrivare alla Fiat delle lettere in cui si suggeriva il lancio di un’automobile dedicata a lei, la Pavoncella. E che Lucio Dalla viveva sempre all’interno degli stabilimenti e che ogni volta che suonava finiva in mutande perché, come racconta il fonico Giovanni Fornari “si divincolava come un gatto”. Più che una casa discografica la Rca era un laboratorio, e dove persino il mitico bar degli studi era un crocevia di incontri che si tramutavano in collaborazioni artistiche. “La Rca era una casa discografica-editoriale che scovava e acquisiva talenti, li curava, li allevava e ne pubblicava i dischi” commenta Lilli Greco. “Oggi si vuole solo far uscire questa cosa nera (il cd) che intrappoli l’attenzione della gente. In discoteca chissà quanti piccoli Mozart muoiono, dobbiamo prenderli e insegnare loro un mestiere autentico. Paolo Conte è nel mondo intero perché è una persona colta, non è un impiegato della musica”. Triste la conclusione di Lilli Greco per il quale i dischi oggi “sono un po’ come stampare dei biglietti da visita. Invece di usare il disco per tramandare il lavoro di un artista, si fanno dischi per tentare di vendere”. Oggi passando sul grande raccordo anulare all’altezza di Via di Sant’Alessandro si può scorgere ancora quella che era la Rca: lo storico marchio campeggia ancora in alto, in bella evidenza, ma al posto delle sale di registrazione ci sono magazzini per abiti e scarpe.

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