31/05/2007

Roberto Ciotti

Una vita “unplugged”

Letteralmente significa “senza spina elettrica” ma nella musica diventa un marchio quando, nei primi anni 90, Mtv decide di lanciare un programma in cui le più grandi rockstar propongono i loro grandi classici in chiave rigorosamente acustica (o unplugged, appunto). Da allora, quel neologismo è sinonimo di “acustico” anche se, ampliandone ulteriormente il concetto, può anche voler dire “nudo, essenziale, puro, alternativo”. Aggettivi che si adattano benissimo alla musica (ma anche all’esistenza) di Roberto Ciotti, uno dei grandi padri del blues made in Italy. Che, non a caso, rispolvera proprio il termine Unplugged per titolare un libro autobiografico (con cd accluso, edito da Castelvecchi Editore) che raccoglie più di 50 anni di ricordi di “una vita senza fili”. Perché, come scrive Renzo Arbore nella sua appassionata prefazione del volume, “Roberto racconta la sua vita, anticonformista e transgenerazionale con episodi legati ad anni in cui la società stava cambiando. La storia subiva un’evoluzione veloce e tutto finiva col rivoluzionarsi: tutto meno la sua passione per il blues che lo ha guidato fino a qui e molto oltre”. Come dice Arbore, Unplugged sembra un film, eppure è tutto vero.
Vera, ad esempio, è la passione del giovane Ciotti per il calcio, quando nel quartiere romano della Garbatella gli viene offerta la chance di fare di quel suo hobby giovanile una professione. “Purtroppo l’ambiente era molto rigoroso, disciplinato e questi aspetti non mi piacevano”, scrive Roberto nel primo capitolo, “adoravo il pallone, ero veramente fissato e credevo anche di avere talento ma non ero sicuro di intraprendere una strada così impegnativa”.
Vera è anche la folgorazione per la musica: accade nella seconda metà degli anni 60, periodo di creatività straordinaria. Ma la musica che strega Ciotti non è quella italiana. “In un primo tempo rimasi completamente affascinato dal rock inglese e americano: Rolling Stones, Jimi Hendrix e Led Zeppelin”. Così, quando suo padre gli regala la prima chitarra (una Ariston comprata a rate), cerca di riprodurre la musica dei suoi idoli. Conosce amici (“strani come me”, dice) che si chiamano Paolo Caringi, Lally Stott, Maurizio Bonini. Proprio Bonini accende la passione di Roberto per Hendrix fino al “giorno dei giorni”: il 25 maggio 1968, al Teatro Brancaccio per il  concerto della Jimi Hendrix Experience. Roberto è lì. “Il concerto fu violento e sconvolgente. Hendrix dal vivo era davvero prodigioso”. Quello show cambia la vita di Roberto: “Ho deciso che la scuola o il futuro alla Romana Gas (l’azienda in cui lavorava mio padre) non mi interessavano più. Volevo solo fare musica”.
Vero, verissimo è l’amore di Ciotti per il blues che scopre prima attraverso il rock blues inglese per poi andare a conoscere le radici della musica afro-americana. “Mi sono innamorato della filosofia che sta dietro al blues”, spiega nel libro, “immaginavo questi neri che dopo la schiavitù si erano trovati a vivere in una società che non era la loro, che non accettavano l’inserimento borghese, che erano considerati dei ribelli. Sentivo cosa provavano e condividevo la ricerca di contenuti di verità e soprattutto il recupero di valori primitivi che la società andava perdendo”.
Veri sono i personaggi che Ciotti incontra sul suo percorso: da quelli artistici (Gianni Marcucci, Maurizio Giammarco, Maurizio Bonini, ecc) a quelli che hanno segnato momenti di vita privata e professionale. Come Mary Afi, pittoresca cantante e ballerina nigeriana che Roberto accompagna alla chitarra e che gli consente di guadagnare i primi soldi da musicista. “Era una nera fantastica, decisamente sexy, fortemente erotica. Il suo spettacolo era una danza scatenata afro su canzoni rock di Janis Joplin e Jimi Hendrix”.
Veri, verissimi sono i viaggi di Ciotti in luoghi magnifici come l’isola greca di Patmos (“Era un paradiso. Vivevo sulla spiaggia con il sacco a pelo e la mattina, appena sveglio, partivo con un pescatore locale di nome Panaiotis per guadagnarmi la giornata”), la leggendaria Ketama (“Dove avevano casa i Rolling Stones”) in Marocco o la magica Camargue (“Il luogo dove si ritrovavano le tribù nomadi di tutta Europa con i giovani hippie dell’epoca”).
Vera, verissima è la carriera di Roberto: dall’incontro con Maria Laura Giulietti e i dischi con Edoardo Bennato all’apertura dei concerti italiani di Bob Marley, dalle tournée internazionali con Ginger Baker alla colonna sonora di Marrakesh Express di Gabriele Salvatores. Sino alle performance nei più prestigiosi blues festival internazionali, alle centinaia di serate nei locali italiani ed europei, ai tanti album (tutti belli) della sua carriera.
Il libro ha un’interessante appendice sulle chitarre di Roberto (anche se un’amatissima Gibson acustica l’ha dovuta vendere a Francesco De Gregori che ancora oggi lo prende in giro per la fesseria fatta) e un cd nel quale Ciotti suona i classici della sua carriera in chiave “unplugged” e che funge da deliziosa colonna sonora alla lettura. È sufficiente la cover di Hey Joe per farvi capire (come sottolinea Renzo Arbore) che “Ciotti è un artista fuori dal coro. Come quelli che piacciono a noi”.
“Nessun compromesso, nessun interesse, solo amore, solo passione”, scrive Roberto Ciotti in apertura. “Mi sento baciato dalla fortuna”, chiosa invece sul finale, “E sento che il meglio non è ancora arrivato. Come Jimi Hendrix quando affermava di fare una musica che picchia talmente forte sull’anima da riuscire ad aprirla, continuerò a picchiare forte, ogni giorno che suono”.

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