17/05/2007

Roxy Music

Milano, FilaForum di Assago, 24 settembre 2001

La data di Milano è l’unica sul suolo italiano per i neoriformati Roxy Music, tuttavia l’accoglienza è alquanto tiepida. L’operazione è all’insegna della nostalgia, ma chi ha preferito disertare ha commesso un grossolano errore di valutazione. La voce di Bryan Ferry è calda e suadente, vellutata come un guanto, e l’immagine di ‘dandy per sempre’ ben si sposa alle qualità di crooner che ne hanno fatto una bandiera; la Gibson Firebird rosso fuoco di Phil Manzanera spadroneggia senza mai cedere ad effetti speciali e trucchi da palco per attirare l’attenzione della platea, puntando su pochi ma preziosi interventi solistici. Il sax di McKay infine è forse l’elemento che fa la differenza, ora in battuta su Ferry, ora in duetto con Manzanera, mentre le bacchette di Thompson sono il vero motore sonoro dello show.

La scaletta attinge a piene mani dai primi due album della band inglese, un vero saccheggio, ma era prevedibile. E auspicabile, dato che lì si deve cercare la vera forza e la creatività del sound Roxy Music. Un repertorio legato anagraficamente al movimento glam dei primi 70, ma oggi risorto grazie anche ad una robusta iniezione di suoni rock da terzo millennio. Così Remake-Remodel It e Streetlife sono autentici pezzi di bravura, una sferzata di energia, mentre l’ipnotica Ladytron vede l’istrionico Ferry salire in cattedra. Sax, archi e un organo anni 60 sottolineano l’esecuzione di A Song For Europe, doppiati subito dopo dai violini in Tara, uno dei brani più suggestivi. I riff trascinanti di Dance Away precedono l’intensa Jealous Guy, omaggio al miglior Lennon, e la trascinante Editions Of You. Non possono mancare le ballerine tanto care a Ferry, che compaiono quasi di sorpresa in Both Ends Burning, mentre ci si avvicina alla fine. I bis sono affidati a Love Is The Drug e a una trascinante Do The Strand, ma prima che cali defi-nitivamente il sipario i nostri si concedono ancora per una For Your Pleasure cantata in coro. Per il nostro piacere, come gorgheggia Bryan, peccato siano pochi a goderne.

 

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INTERVISTA A PHIL MANZANERA

 

Negli ultimi anni ho pensato spesso ai Roxy Music, e al fatto che per radio non si sentissero molto, se non per alcuni brani legati all’ultimo periodo di vita del gruppo come Avalon e Dance Away. Dunque, l’eredità della band si riduceva ad una manciata di semplici canzoni pop. Un’ingiustizia, soprattutto verso le nuove generazioni che non hanno avuto modo di vivere quegli anni.”

Phil Manzanera sorride, ma il discorso è tutt’altro che faceto. “Così ho contattato un paio di promoter e telefonato a Bryan (Ferry) e Andy (McKay), i quali si sono detti disponibili ad una rentrée della band”, continua. “Agli organizzatori abbiamo dato disposizioni semplici e chiare: una cinquantina di date, un tour e poi liberi tutti. Rimaneva un’unica incognita: come avrebbe reagito il pubblico? In effetti però, il responso della platea non era la cosa più importante: ciò che realmente desideravamo era di tornare a fare musica. A cantare e suonare quelle canzoni, nel miglior modo possibile.”

Si bruciano le tappe e a gennaio, nel corso di un’affollatissima conferenza stampa, i neoriformati Roxy Music annunciano una tournée. Liberi da legami contrattuali e obblighi da ottemperare, i nostri passano alla fase due. “Avevamo destinato solo pochi giorni alle prove perché non volevamo perdere tempo. E poi, è come andare in bicicletta: una volta imparato puoi stare anni senza montare in sella, ma non appena lo fai tutto diventa automatico.”

Si creò subito l’atmosfera di un tempo, quella magica alchimia che furono i Roxy all’alba dei 70? Come ovviaste alla mancanza di una tessera importante del mosaico come Brian Eno?
Dopotutto gli ingredienti sono semplici e ben conosciuti. Bastò poco per ritrovarci: un po’ invecchiati forse, ma con lo stesso entusiasmo. L’idea era di coinvolgere anche Eno naturalmente, e lo mettemmo a parte della nostra idea. Proprio di recente ha collaborato con Bryan Ferry nella stesura del suo nuovo lavoro, e in prima istanza fu d’accordo: l’ostacolo, destinato a rivelarsi insormontabile, era il concerto. Eno infatti si è ripromesso di non salire più su un palco, quale che sia l’occasione, perciò oppose un gentile ma fermo rifiuto. Ma la sua presenza è palpabile, infatti l’intro dello show è affidato a Music For Airports.

A me risulta che in un primo tempo nessuno l’avesse avvertito.
Tutto si è svolto così velocemente che ognuno credeva l’avesse fatto l’altro, parlo di noi tre. Così quando Bryan mi chiese cosa avesse risposto io lo guardai sorpreso e dissi “Ma non dovevi chiamarlo tu?”. Andy pensava scherzassimo. E per non sbagliarsi giocò d’anticipo: “Non guardate me, nessuno mi aveva chiesto nulla!”. Comunque sia, Eno vive da tempo in un mondo suo, non ha contatti con il pubblico e non ama esibirsi. Neanche per gli amici.

L’ultima sua apparizione è stata se non erro proprio con te, in occasione del tour degli 801.
Verissimo. Cantava anche oltre che suonare, e quella fu un’esperienza esaltante per tutti. Gli 801 Live erano un progetto nato come libera espressione musicale e quella tournée, era il 1976, nata quasi in sordina si rivelò un successo eclatante, al punto che fummo ‘costretti’ a fare uscire un album live. Successivamente ho mantenuto il nome, variando la formazione e il tipo di musica. Proprio poche settimane fa è uscito l’album 801 Latino, con musicisti di Cuba, disponibile attraverso il mio sito www.manzanera.com.

In pratica, escludendo Eno, ci siete tutti. Compreso il batterista Paul Thompson. Avete progetti di studio?
Non per il momento. Ma questi erano i patti, sin dall’inizio. Vorrei ricordare la presenza sul palco del chitarrista Chris Spedding, un amico di vecchia data nonché musicista doc.

Però avete registrato tutti gli show.
Faremo infatti uscire un album dal vivo e relativo dvd, all’inizio del prossimo anno.

(p.b.)

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