27/06/2007

2001: odissea nella musica

Nel momento in cui sto scrivendo (19 luglio, ore 12.45), mancano esattamente 165 giorni, 10 ore e 15 minuti al 2000. Tutti, anche quelli di noi che con un po’ di snobismo non lo vogliono ammettere, ci stiamo preparando a sbarcare nel nuovo millennio pieni di speranze. E, una volta superata la famigerata crisi del doppio zero, il temutissimo millennium bug che rischia di impantanare milioni di computer incapaci di passare dal 1999 al 2000, siamo convinti di esser lì pronti a vivere un’esperienza da film di fantascienza.

Ma cambierà davvero la nostra vita?

In realtà, la nostra vita è già cambiata e di molto. Solo che non sempre ce ne siamo accorti (o abbiamo voluto farlo).

Il 1900 è stato sicuramente il secolo che ha apportato, nel bene e nel male, i più significativi mutamenti nell’umanità. Elencarli o analizzarli tutti non è nostro compito. Ma è sufficiente che ognuno di noi pensi ai tempi della propria fanciullezza e faccia un piccolo sforzo di memoria.

Io, ad esempio, ricordo che sotto casa mia a Milano (primi anni ’60) passava uno spazzino che raccoglieva i rifiuti con un carro trainato da cavalli: roba da far west… Oppure, e questo è sì nostro compito, sarebbe sufficiente riflettere sul panorama musicale. Ovvio che non è facile dire come e quanto cambierà la musica nel nuovo millennio. Ma qualche considerazione (e un pallido tentativo di previsione) ci sembra quasi doveroso farlo.

Tra l’altro, parlare di musica di questi tempi equivale sempre più spesso a disquisire di nuove tecnologie. Un bell’equivoco, non vi pare?

MP3, DVD, CD-ROM o altre sigle hanno sostituito termini prettamente musicali. E sembra quasi che se non conosci il significato di “dub” o “download” ti senti tagliato fuori. In realtà, la tecnologia non è né buona né cattiva: è soltanto un mezzo e come tale è neutro. Assume una connotazione positiva o negativa a seconda dell’uso che se ne fa. Ma l’arte, quella è un’altra cosa. La sua commercializzazione, pure.

Il ’900 è stato il secolo in cui, per la prima volta con la nascita del rock’n’roll, la musica è diventata una modalità espressiva tipica dei giovani che successivamente si è trasformata in un’industria.

Oggi, il controllo della musica (in seguito alle concentrazioni delle multinazionali) è in mano a cinque grandi realtà. Che a loro volta possiedono altri rami d’azienda e molteplici interessi. Questo dato di fatto, da molti giudicato in modo negativo, secondo me potrebbe invece essere letto positivamente almeno da coloro che vivono la musica come forma artistica prima che come prodotto commerciale. Le cinque ‘potenze’ del disco (Emi, Warner, Bmg, Sony, Universal) dovranno forzatamente sfoltire i loro repertori. Così facendo apriranno nuovi spazi e daranno impulso a realtà minori in grado di curare meglio i propri prodotti. Abbiamo già degli esempi in tal senso come l’ultimo album di Tom Waits che è stato pubblicato dalla Epitaph e, guarda caso, ha pure ottenuto buoni risultati. Certo, il disco era molto bello però, forse, nel calderone di qualche multinazionale sarebbe stato, in qualche modo, dimenticato. La signorina Ani DiFranco da sempre si fa i dischi per conto suo. Non cede alla corte delle major e vende lo stesso milioni di copie.

Artisticamente il discorso si fa più complesso. Il progresso tecnologico, infatti, viaggia spesso a velocità superiori rispetto alla qualità delle produzioni. E nella musica questo mi sembra, oggi più che mai, un dato inconfutabile. Se ci pensiamo bene, nonostante la enorme mole produttiva dell’ultimo decennio (in America si parla di 35.000 nuovi titoli all’anno…) e gli innumerevoli tentativi di rimescolamento all’interno dei vari generi musicali, nulla di veramente rivoluzionario è emerso nel pur variegatissimo panorama internazionale.

L’ultimo, vero terremoto artistico lo ha causato il rap. Per il resto si è trattato di scosse di assestamento che hanno sì ravvivato il panorama ma non hanno di fatto portato a mutamenti significativi dello scenario globale.

Tutto quello che si muove attualmente nell’arcipelago rock non sembra infatti avere requisiti di portata epocale specie se paragonato all’epoca d’oro di questa musica.

Anzi, al contrario, pare quasi che si cerchi sempre più di ritornare al passato.

Accade infatti un fenomeno strano. Nel rock, se qualcosa risale a dieci anni prima viene considerata vecchia; se ha più di venticinque anni, diventa immediatamente un classico. Tanto che nasce il sospetto che, come il jazz, il blues o addirittura la musica classica, anche il rock sembra essere destinato ad assumere quell’aurea di sacralità riservata alle musiche colte. Pur essendo in netto contrasto con le motivazioni artistiche e sociologiche che ne hanno causato la nascita e decretato il successo, questa tendenza sembrerebbe far assurgere la musica di Stones, Beatles, Hendrix, Dylan, Doors, Led Zeppelin e di altre leggendarie rockstar a materia da conservatorio, con partiture e quant’altro per essere ripresa nota per nota e riprodotta con interpretazioni diverse (a seconda degli esecutori) esattamente come accade per le opere di Bach, Beethoven, Mozart, ecc.

Certo, finché gli ‘originali’ sono in vita il problema non si pone ma può spiegare i motivi dell’imperituro successo dei grandi vecchi. Fenomeno, questo, non più solo confinato agli Stati Uniti, ma che si sta diffondendo anche in tutta Europa, Italia compresa. E che dovrebbe portare tutti noi a una bella meditazione. Perché, una volta di più, ci fa capire che il rock come espressione artistica e culturale ha esaurito la sua funzione. Pensate che, tra meno di sei mesi, questa sarà musica che faremo risalire non solo al secolo scorso ma addirittura al millennio precedente… Nel frattempo, nei prossimi anni, ritengo che l’Odissea della musica proseguirà tra alti e bassi alla costante ricerca di un un nuovo ‘pianeta’ da scoprire. Per farlo dovrà riappropriarsi di quella leadership culturale che le ha consentito nella storia di anticipare le tendenze, influenzare il costume, farsi portavoce dei movimenti d’opinone. Ma al tempo stesso di saper produrre suoni, melodie, ritmi e atmosfere frutto della propria epoca perché se il rock è stata la colonna sonora dell’era industriale prima o poi arriverà una nuova musica che accompagnerà gli anni che ci apprestiamo a vivere: quelli dell’informazione globale.

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