Il prossimo ottobre Jam compirà 5 anni. È una tappa importante così come l’uscita di questo numero, il cinquantesimo, che ci permette di festeggiare in anticipo il nostro compleanno. Oltre ad essere una bella soddisfazione, per noi il raggiungimento di questo risultato ha lo stesso valore della conquista dello scudetto per una squadra di provincia: rappresenta non solo il coronamento di anni di lavoro, sforzi e sacrifici. Sfiora, addirittura, il miracolo.
Non vorrei che queste mie affermazioni suonassero epiche o che, peggio, sfociassero nella retorica della lamentela così diffusa nell’ambiente della musica. Certo è che fare in Italia un mensile specializzato (come da me già spiegato nel numero 26) è davvero una specie di ‘missione impossibile’.
La storia di Jam, così come più o meno quella di tutte le altre riviste musicali indipendenti, è stata piuttosto travagliata. Vorrei brevemente riassumerla (o semplicemente ricordarla) perché ritengo che in un modo o nell’altro possa aiutare a meglio comprendere scelte e indirizzi del giornale.
Dopo circa dieci anni di pubblicazione del bimestrale Hi, Folks! (do you remember?), mi venne la bella idea di fare un mensile di musica che potesse colmare l’unico vuoto editoriale allora presente in questo settore. Un mensile, cioè, realizzato sulla falsariga delle più prestigiose testate anglo-americane, con un approccio competente ma con un’ottica meno ‘di parte’ rispetto alle riviste concorrenti. Un giornale che selezionasse le cose qualitativamente migliori presenti sul mercato italiano ed internazionale indipendentemente dai generi musicali e le presentasse in modo autorevole (ma non spocchioso), meglio se in forma gradevole.
Marialina Marcucci, allora proprietaria di Videomusic, decise di sposare la mia iniziativa, cosa di cui tutt’ora le sono grato. Con lei si stabilì una sorta di joint-venture che sarebbe poi dovuta sfociare in una società vera e propria.
Realizzammo quindi la prima versione di Jam, quella che, da un certo punto di vista, mi ha reso maggiormente orgoglioso. Si trattava infatti di un giornale davvero diverso rispetto al resto delle testate presenti sul mercato italiano. Interamente stampato su carta riciclata, aveva un formato anomalo (tipo Max) che permetteva una grafica divertente, colorata e raffinata al tempo stesso. Conteneva diverse rubriche (con firme prestigiose come Riccardo Bertoncelli, Roberto Gatti, Guido Harari, ecc.), interviste sul rock a personaggi del cinema e della televisione, inchieste e servizi oltre a un ragionevole numero di recensioni discografiche.
Purtroppo però accaddero due fatti importanti. Primo, l’uscita (circa tre mesi dopo il varo di Jam) di Musica!, l’allegato di Repubblica che più o meno mirava allo stesso obiettivo editoriale con la differenza che aveva mezzi finanziari di gran lunga superiori e soprattutto il vantaggio di uscire gratuitamente in allegato ad uno dei due maggiori quotidiani italiani.
Secondo, dopo circa 9 numeri, la signora Marcucci si privò di Videomusic, vendendola come è noto al gruppo Cecchi Gori.
Fu la fine di un piccolo sogno ma, soprattutto, un grosso peccato anche perché gli incoraggianti risultati di vendita e il presumibile maggiore appoggio nell’anno successivo della rete televisiva ci avrebbero sicuramente consentito (ne sono convinto) di ottenere quel risultato ambizioso a cui miravamo.
Poco tempo dopo, per nostra fortuna, riuscimmo a trovare un nuovo partner nell’Arcana Editrice. A quel punto, però, il progetto editoriale doveva trovare un nuovo tipo di assestamento. Se, infatti, l’abbinamento rivista musicale-televisione tematica poteva consentire in tempi brevi il raggiungimento di un pubblico nuovo e vasto, quello con una casa editrice specializzata in editoria rock (seppur più pertinente dal punto di vista concettuale) doveva prevalentemente rivolgersi ad un pubblico di appassionati.
Per questo motivo, Jam è stato ridisegnato per poter trovare una nuova collocazione di mercato, senza però rinunciare drasticamente ad una impostazione di fondo che è tuttora insita nel DNA di chi fa questo giornale.
Ridotto il formato a dimensioni più normali, la rivista ha puntato tutto sull’informazione e l’approfondimento concentrandosi in modo particolare su quello che nel mondo anglosassone viene chiamato Classic Rock pur non trascurando altri fenomeni di tendenza e la musica italiana.
Aumentando di molto il numero delle recensioni (da sempre richieste dai nostri lettori), la mole di informazioni e di notizie (a volte maniacali) presenti nei servizi, si è addirittura enfatizzato il volume delle cover story (approfondite e dettagliatissime, in genere di 10/12 pagine) che forse rappresentano il punto più distintivo dell’attuale impostazione del giornale.
Pur mantenendo attiva la propria collaborazione con l’Arcana Editrice (per conto della quale la nostra redazione si occupa della direzione editoriale), Jam da pochi mesi è tornata ad essere una pubblicazione indipendente.
La credibilità della testata, il costante apprezzamento del mondo della musica e il crescente consenso dei lettori ci fanno ben sperare per il nuovo millennio tanto che in cantiere, per l’anno venturo, abbiamo diverse ed interessanti novità.
Che Dio ce la mandi buona.