31/10/2013

Addio vecchio guerriero

È scomparso a 89 anni Doc Watson, leggenda della chitarra. Era uno dei grandi padri della musica americana

Nel cuore delle Blue Ridge Mountains, al confine tra Virginia e North Carolina, quasi all’incrocio tra la US 421 e la BR Parkway, c’è un avvallamento naturale. L’hanno chiamato Deep Gap. Attorno s’è creata una piccola comunità che ancora oggi mantiene la caratteristica ruralità di quei luoghi isolati e impervi come quando (nel 1700) ci viveva l’esploratore Daniel Boone, lo “scopritore” del Kentucky, uno dei primi folk hero d’America. A Deep Gap, North Carolina, è nato un altro grande eroe popolare: Arthel Lane “Doc” Watson, uno dei padri della musica americana. Che lì ci ha vissuto sino allo scorso 24 maggio quando, dopo una caduta, ha dovuto essere ricoverato d’urgenza al Wake Forest Medical Center di Winston-Salem.
«Non aveva ossa rotte», ha dichiarato la figlia Nancy Ellen, «ma era messo malissimo». Dopo essere stato operato al colon, il mattino del 29 maggio, il vecchio Doc è morto. Aveva 89 anni.
Solo un mese prima, era sul palco del Merle Fest, la manifestazione dedicata all’amato figlio Merle Watson (chitarrista slide sbalorditivo, per anni al fianco del padre) morto prematuramente in uno stupido incidente, schiacciato dal suo trattore. L’edizione del 2012 era la venticinquesima e Doc aveva assolutamente voluto esserci. Si era esibito con il nipote Richard, il figlio di Merle (che somiglia moltissimo al papà). Accolto come si accoglie un papa, Doc ha suonato la sua Gallagher stupendo, come sempre, gli astanti. Poi, è tornato a casa, dall’amata Rosa Lee Carlton – sposata nel 1947, quando lui aveva 24 anni e lei solamente 14 – che aveva avuto un infarto poco tempo prima ed era ancora convalescente. Sin dall’inizio, avevano deciso di passare la loro vita a Deep Gap anche se, in verità, Doc era in giro mediamente 270/300 giorni l’anno.
Cieco da piccolissimo (per un’infezione) Arthel Watson inizialmente impara a suonare il banjo. Anche perché il padre sostiene che «se riesci a cavartela con questo, te la caverai nella vita». In realtà, Watson se la cava meglio con la sua prima chitarra, una Stella pagata 12 dollari e acquistata per corrispondenza. Quando conosce Gaither Carlton (il papà di Rosa) impara da lui centinaia di fiddle tune che traspone su chitarra con una tecnica flatpicking sensazionale. «Il suo suono è talmente fluido che mi ricorda l’acqua corrente», ha detto di lui Bob Dylan.
Il suo soprannome nasce a fine anni ’40, quando suona nella band che anima gli show della radio di Lenoir, North Carolina. «Arthel non è un nome da musicista…», dice un giorno il presentatore del programma. «Voi come lo chiamereste?». «Che ne dici di Doc?», interviene una persona del pubblico, forse pensando al celebre Doctor Watson, inseparabile compagno d’avventure di Sherlock Holmes.
Da quel momento nasce la leggenda di Doc Watson.
Io ho avuto la fortuna di assistere a una dozzina di suoi concerti, ma l’ho incontrato solo una volta, per caso, nell’estate del 1988. Aveva appena finito il suo set al Folk Festival di Philadelphia. Era sotto una tenda riservata agli artisti e alla stampa. Se ne stava in disparte, da solo, seduto su una sedia.
Ricordo che l’ho avvicinato, mi sono presentato e gli ho chiesto se gli andava di fare quattro chiacchiere. «Certo, mi piace fare interviste…», ha detto. Poi, prima di cominciare mi ha chiesto un favore: «Non è che mi porteresti una tazza di tè con dei biscotti?».
Allora, Doc aveva 55 anni, la mia stessa età di oggi.
A me sembrava vecchissimo… e stanco.
«Sai, non so fino a quando andrò avanti a fare concerti…», mi ha confessato mentre si gustava tè e biscotti che, nel frattempo, gli avevo rimediato. Tra me e me pensavo: «Ma possibile che un gigante della musica venga abbandonato così? È cieco e anziano, insomma, un po’ di comprensione…».
Mi sbagliavo. Doc Watson sapeva cavarsela. Sempre. Era, come ha detto Ricky Skaggs quando ha saputo della sua morte, un «vecchio guerriero».
E io, anche per questo lo (rim)piango.

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