Eye 2 Eye Live In Madrid è il primo disco dal vivo di Alan Parsons, disponibile anche su dvd. Accompagnato da una band di cinque elementi (P.J. Olsson, voce e chitarra acustica; Godfrey Townsend, chitarra e voce; Steve Murphy, batteria e voce; Manny Focarazzo, tastiere e voce; John Montagna, basso e voce), il tastierista, chitarrista e cantante regala ai fan un’accurata sintesi della sua carriera, focalizzandosi soprattutto sulla fruttifera parentesi Alan Parsons Project, nome sotto il quale furono pubblicati dieci album fra il 1976 e il 1987.
Come mai il tuo primo disco e dvd dal vivo esce solo oggi, a quasi sei anni dalle registrazioni?
«Lo vendevamo già, con artwork differenti, on line e ai concerti, ma il contratto con un’etichetta, la Frontiers, è arrivato solo alla fine dello scorso anno».
La tua live band attuale è la stessa del dvd?
«La band attuale ha tre nuovi elementi: Alastair Greene alla chitarra, Danny Thompson alla batteria e Guy Erez al basso. Focarazzo sarà rimpiazzato da Tom Brooks per gli show estivi».
Si dice che, durante gli anni di maggior successo dell’Alan Parsons Project, Eric Woolfson avrebbe voluto andare in tour, ma tu preferivi concentrarti maggiormente nel lavoro di ricerca in studio. È vero?
«Fu una decisione condivisa quella di non andare in tour. La tecnologia migliorò tantissimo tra la fine degli anni 80 e l’inizio dei 90, ma Eric ed io avevamo smesso di lavorare insieme nel 1990. L’idea di suonare dal vivo fu uno sforzo del gruppo di collaboratori precedenti come Ian Bairnson, Stuart Elliott, Andrew Powell e ovviamente io. Il primo tour fu nel 1994, per promuovere l’album Try Anything Once».
In anni recenti, infatti, vai regolarmente in tour. Cosa ti ha fatto cambiare idea?
«Si vendono più biglietti di concerti che dischi. La gente pagherà sempre per ascoltare musica dal vivo, mentre lo scaricamento da Internet ha reso la musica troppo a buon mercato, se non completamente gratuita. E se a un consumatore dai la possibilità, è ovvio che sceglierà di averla gratis».
I tuoi album non hanno mai un unico vocalist, ma vari ospiti. Persino questo concerto vede tutti i membri della band alternarsi al canto…
«Ho sempre pensato che gli artisti che usano un solo cantante possono alla lunga annoiare l’ascoltatore».
Alan Parsons Project nacque come una collaborazione fra te e Woolfson. La relazione fra voi non è sempre stata idilliaca, ma c’era grande rispetto reciproco. Oggi che purtroppo Eric non è più fra noi, qual è il tuo ricordo personale di lui?
«Era un compositore molto talentoso e un ottimo uomo d’affari. Formavamo un eccellente team. È davvero un peccato che ci siamo divisi artisticamente, ma negli ultimi anni era diventato difficile andare d’accordo sugli aspetti creativi ed era ormai evidente che i nostri obiettivi e gusti musicali erano differenti: Eric voleva andare nella direzione del musical teatrale, mentre io volevo continuare a fare album rock».
Come descriveresti la vostra alchimia? Hai detto una volta che Eric era il principale compositore, ma che eri tu a definire il suono della band.
«Ho sempre riconosciuto che Eric ha composto la maggior parte delle canzoni. Io collaboravo con lui qua e là, generalmente proponendo una hook line, un riff o una sequenza di accordi che avremmo poi fatto confluire insieme nella forma finale della canzone. Ero più coinvolto con i brani strumentali. Ovviamente, essendo il fonico e il produttore, il suono era cosa mia, ma le canzoni stesse contribuivano a formare la nostra identità».
Gli album dell’Alan Parsons Project hanno una forte idea concettuale. Ti stava bene questo, o avresti preferito più semplicemente mettere insieme canzoni individuali?
«Negli anni 70 e 80 era alla moda fare album concettuali. A volte sono stato criticato per questo, ma mi sono sempre sentito a mio agio nell’avere un soggetto da cui partire, rende la composizione più facile».
La musica dell’Alan Parsons Project è stata spesso descritta come fredda, soprattutto per l’uso di suoni sintetizzati, eppure il pubblico vi apprezza molto sul palco…
«Il fatto è che molti dei suoni che possono sembrare sintetizzati sono in realtà strumenti veri e propri. Purtroppo le nuove generazioni di ascoltatori non sanno come suona un’orchestra. Ho sempre pensato che eravamo più intensi a livello di chitarra che di sintetizzatore».
In anni recenti gli album dell’Alan Parsons Project sono stati ristampati in versioni espanse. Col senno di poi, quale disco rimane il migliore, secondo te?
«Il primo album Tales Of Mystery And Imagination sarà sempre il mio preferito. Fu come quando diventi padre per la prima volta. Un disco che rompeva le regole, il primo album di un produttore. Ho avuto anche la possibilità di remixarlo nel 1987 e penso che il miglioramento sia evidente».
È vero che The Raven, tratta da quel disco, è stata la prima canzone con un vocoder?
«Sì, su The Raven il vocoder digitale della Emi trovò uno dei suoi primi utilizzi commerciali. Ma Herbie Hancock non era poi molto dietro di noi».
Percepisci la fine dell’Alan Parsons Project e l’inizio della tua carriera solista come una linea divisoria o pensi che faccia tutto parte della tua evoluzione personale come artista?
«Fu ovviamente differente senza Eric, ma io sono sempre andato alla ricerca degli stessi ideali e ho applicato le medesime filosofie anche ai miei lavori successivi».
Dopo la fine del Project, hai pubblicato quattro album solisti, l’ultimo, A Valid Path, è del 2004. Hai composto nuova musica che intendi pubblicare in un futuro prossimo?
«Ho registrato una nuova canzone di recente, specificamente per un progetto al quale ho dedicato gran parte del mio tempo nell’ultimo anno e mezzo. Questa serie, che si chiama The Art And Science Of Sound Recording, copre tutto il processo della registrazione in 24 sezioni. Metà delle puntate sono già scaricabili all’indirizzo www.artandscienceofsound.com. La serie è narrata dall’attore americano Billy Bob Thornton e proprio per l’etichetta di Billy viene pubblicata in questi giorni la canzone nuova, che s’intitola All Our Yesterdays. Spero di lavorare a un album più avanti, quest’anno, per una pubblicazione in autunno o all’inizio del 2011».
Avrai risposto migliaia di volte a domande su Dark Side Of The Moon, ma volevamo chiederti se lavorasti fianco a fianco con i membri dei Pink Floyd e se avvertisti tensione fra Rick Wright e gli altri, dato che anche Gilmour e Waters suonarono il sintetizzatore su quel disco.
«Naturalmente! Un ingegnere lavora sempre in congiunzione con i membri di una band. Il sintetizzatore era una tecnologia ancora nuova a quel tempo, e Rick era meno aperto alla tecnologia rispetto a David o Roger. È un vero peccato che abbiamo fatto insieme un solo album».
È vero che creasti tu tutti gli effetti sonori su Money?
«Sì».
C’è un episodio particolare che ricordi di quelle session che non sia ancora conosciuto?
«Dopo quasi 40 anni di interviste?».
01/04/2010
ALAN PARSONS
Live Project