11/05/2007

Bad Boy Lou

Cronaca di un’intervista possibile

Gode di pessima fama.

Temutissimo da manager, promoter, roadie e uffici stampa, Lou Reed è anche il terrore di parecchi giornalisti musicali. Qualche anno fa (giuro) ho visto piangere una navigata collega della Rai, una volta terminata l’intervista con lui. Sempre alcuni anni or sono, ho assistito a un’altra scena incredibile. Conclusa la conferenza stampa in modo alquanto burrascoso (qualcuno aveva sfacciatamente provato a indagare sulla, allora, non ufficiale relazione sentimentale tra Lou Reed e Laurie Anderson e lui si era, per così dire, innervosito.), un malcapitato giornalista del TG5 inizia la sua intervista televisiva chiedendogli un parere sull’arresto per atti osceni di George Michael (???) avvenuto qualche ora prima. Vestito perfettamente “alla Lou Reed” (giacca di pelle nera, maglietta nera, jeans neri) Lou Reed himself solleva sulla fronte gli immancabili occhiali da sole (neri, of course.) e guarda fisso negli occhi il suo interlocutore.

Per un minuto, in silenzio.
Poi, si gira e se ne va, lasciando tutti di stucco.

Il povero cronista, con il microfono in mano e il faretto della telecamera ancora acceso, si rivolge ai discografici dell’artista (che avevano le mani nei capelli.) e balbetta un “cazzo, ma non mi ha risposto.”.

Sono convinto che le mie piccole testimonianze siano nulla in confronto ai casini che Mr. Reed deve aver combinato in oltre 40 anni di onorata carriera da rock’n’roll animal.

Pur non essendo un suo fan (o forse proprio per questo.) devo dire che Lou, con me, è sempre stato gentile e disponibile. Anche se tosto e implacabile. Ricordo, infatti, di avergli posto un paio di domande (del cavolo.) alle quali non ha risposto. Anzi, ha rivoltato la frittata. Incalzandomi. E mettendomi in difficoltà. Però, credo, mi ha sempre preso in simpatia. Sarà perché non ho mai avuto paura di lui ma solo rispetto e ammirazione autentica per un artista che, come pochi, ha saputo percorrere con poesia il “lato selvaggio” del rock. Sarà anche perché, con lui, ho sempre avuto modo di parlare di chitarre e ammennicoli vari che appassionano entrambi. Sarà, infine, perché conosco Laurie Anderson dal 1990 e ho sempre avuto con lei un rapporto privilegiato. E questo, mi rendo conto, nei confronti di Lou è oggi un bel lasciapassare.

Così, quando ho spiegato all’amica Laura Moja (ufficio stampa del promoter italiano di Lou Reed) che mi sarebbe piaciuto fare un’intervista a Lou, per inserirla come chicca finale di uno speciale che avrebbe aperto una notte televisiva a lui dedicata su Jimmy (Sky 140) in occasione del suo compleanno (2 marzo), lei mi ha detto: “Ok, ci proviamo”.

Il nuovo manager (poco collaborativo) e alcune disavventure occorse a Lou nel corso della prima parte del tour non hanno agevolato le cose. E così, sino all’ultimo, non sapevamo se saremmo riusciti a fare l’intervista o meno. Ho visto in difficoltà persino la Moja, di solito lucida e professionale, che ha fatto di tutto per accondiscendere le richieste del management dell’artista: domande fatte avere una settimana prima, truccatrice in loco per ogni evenienza, luci soft, set appartato nella pomposa hall dell’hotel Principe di Savoia di Milano, promessa di non disturbarlo per più di 15 minuti.

Lou si presenta un’ora dopo rispetto all’appuntamento stabilito ma sembra di buon umore. L’amico Guido Harari, celebre fotografo, è con lui e lo rassicura. Gli chiedo se si ricorda che qualche anno prima avevamo fatto una lunga conversazione di fronte alle telecamere.

“Certo che mi ricordo. ti chiami? Ezio. già come Ezio Pinza”.

Per la cronaca, Ezio Pinza è stato un cantante lirico (un basso) che ha avuto una certa fama negli Stati Uniti negli anni 30 e 40. Ho imparato a conoscerlo perché in America ogni volta che il mio nome viene pronunciato in modo corretto è associato a quello di questo soggetto.

“Non fa finta, si ricorda veramente di te” mi dice Daniele Federici (ideatore di loureed.it, puntualissimo sito italiano approvato dallo stesso Lou), “lui ha una memoria di ferro. Si ricorda tutto”.

E così iniziamo un’altra conversazione, piacevole e a ritmi ferratissimi. Lou si mette anche a cantare. Ma non ti dà scampo se sbagli una domanda. Io mi avventuro inopinatamente nel tai chi e lui mi fotte. Perché Lou Reed è fatto così. Tosto e implacabile. Ma se lo sai prendere, e lui lo capisce, ti parla di tutto, anche di Laurie Anderson

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