Tornare dopo anni nella casa in cui si è nati e cresciuti fa sempre un certo effetto. Riaffiorano alla mente ricordi e sensazioni che ti hanno segnato e che, per quanti giri intorno al mondo tu possa fare, sono sempre lì, e non ti abbandonano mai. Ad un certo punto ritorni, ed è come se il tempo si fosse fermato. Sembra che non sia cambiato nulla. Se poi, il fatto che sia ancora tutto uguale, è un bene o un male, questo è tutto da vedere.
Ben Harper è tornato a casa. Allo stile di allora, ai suoni di allora, agli amici di allora. Dopo qualche avventura come solista, collaborazioni varie e una parentesi con i Relentless 7, l’estate scorsa il chitarrista californiano ha richiamato all’attenti i suoi Innocent Criminals per un tour-reunion ormai da troppo tempo atteso dai fan, e forse anche da loro stessi. I Criminals hanno scoperto che Ben aveva messo da parte del materiale per un nuovo disco, Call It What It Is, e le prime sessioni di registrazione sono state programmate addirittura prima che iniziassero le prove per le trionfali serate sold out della reunion. Un po’ di rodaggio, doveroso dopo anni, con i pezzi storici del loro repertorio, e poi via in studio con gli amici di sempre.
Insomma i Criminali Innocenti e il loro guru sono tornati. Ed è tutto come allora. Chi si aspettava qualcosa di diverso pecca di ipocrisia, perché da Ben Harper, che di per sé è un marchio di fabbrica, non ci si può aspettare che questo, soprattutto se è affiancato dalla sua band storica, Leon Mobley alle percussioni, Juan Nelson al basso, Oliver Charles alla batteria e in più Jason Yates alle tastiere e Michael Ward alla chitarra.
Un ritorno alle origini per il sound e per le tematiche; ritroviamo il solito misto di generi che nella musica di Ben Harper si sposano perfettamente, rendendo tutto naturale e spontaneo. Il disco si apre con When Sex Was Dirty, un rock dal sapore Seventies, per cambiare subito mood e passare a Deeper And Deeper, una ballad quasi sussurrata, vulnerabile. Call It What It Is, la title track dell’album, parte con la slide di Ben, il suono giusto a sostegno di un testo impegnato “Chiamalo per quello che è: omicidio”, con espliciti riferimenti agli abusi della polizia americana. E poi avanti con il folk e i ritmi tribali di How Dark Is Gone, la leggerezza e la spensieratezza di Shine e la dolcezza di All That Has Grown, un pezzo meraviglioso che sembra riprendere il discorso lasciato a metà da I Shall Not Walk Alone, l’ultima traccia di The Will To Live, del 1997. Il singolo Pink Ballon ha un bel groove, ma c’è anche spazio per i profumi reggae di Finding Our Way, e via verso la chiusura dai toni che si smorzano progressivamente con Bones, Dance Like Fire e l’ultima Goodbye To You.
Niente di inaspettato, dunque, niente di diverso o di stravagante; in fondo quella storia per cui, se sei uno di quelli bravi, alla fine rischi di entrare in competizione con te stesso, forse è vera.
E Ben Harper è molto bravo. Ma a noi va decisamente bene così.
Ben Harper è tornato a casa. Allo stile di allora, ai suoni di allora, agli amici di allora. Dopo qualche avventura come solista, collaborazioni varie e una parentesi con i Relentless 7, l’estate scorsa il chitarrista californiano ha richiamato all’attenti i suoi Innocent Criminals per un tour-reunion ormai da troppo tempo atteso dai fan, e forse anche da loro stessi. I Criminals hanno scoperto che Ben aveva messo da parte del materiale per un nuovo disco, Call It What It Is, e le prime sessioni di registrazione sono state programmate addirittura prima che iniziassero le prove per le trionfali serate sold out della reunion. Un po’ di rodaggio, doveroso dopo anni, con i pezzi storici del loro repertorio, e poi via in studio con gli amici di sempre.
Insomma i Criminali Innocenti e il loro guru sono tornati. Ed è tutto come allora. Chi si aspettava qualcosa di diverso pecca di ipocrisia, perché da Ben Harper, che di per sé è un marchio di fabbrica, non ci si può aspettare che questo, soprattutto se è affiancato dalla sua band storica, Leon Mobley alle percussioni, Juan Nelson al basso, Oliver Charles alla batteria e in più Jason Yates alle tastiere e Michael Ward alla chitarra.
Un ritorno alle origini per il sound e per le tematiche; ritroviamo il solito misto di generi che nella musica di Ben Harper si sposano perfettamente, rendendo tutto naturale e spontaneo. Il disco si apre con When Sex Was Dirty, un rock dal sapore Seventies, per cambiare subito mood e passare a Deeper And Deeper, una ballad quasi sussurrata, vulnerabile. Call It What It Is, la title track dell’album, parte con la slide di Ben, il suono giusto a sostegno di un testo impegnato “Chiamalo per quello che è: omicidio”, con espliciti riferimenti agli abusi della polizia americana. E poi avanti con il folk e i ritmi tribali di How Dark Is Gone, la leggerezza e la spensieratezza di Shine e la dolcezza di All That Has Grown, un pezzo meraviglioso che sembra riprendere il discorso lasciato a metà da I Shall Not Walk Alone, l’ultima traccia di The Will To Live, del 1997. Il singolo Pink Ballon ha un bel groove, ma c’è anche spazio per i profumi reggae di Finding Our Way, e via verso la chiusura dai toni che si smorzano progressivamente con Bones, Dance Like Fire e l’ultima Goodbye To You.
Niente di inaspettato, dunque, niente di diverso o di stravagante; in fondo quella storia per cui, se sei uno di quelli bravi, alla fine rischi di entrare in competizione con te stesso, forse è vera.
E Ben Harper è molto bravo. Ma a noi va decisamente bene così.