27/03/2007

Benvenuti nell’era del grottesco

Intervista a Marilyn Manson

Grotesque Burlesque non è soltanto il nuovo spettacolo che il figlio reietto della società americana, che ne incarna nel bene e nel male i miti, i vizi e le virtù (Marilyn come l’icona candida Monroe e Manson come il tenebroso Charlie), ha intenzione di regalarci in occasione dell’uscita del suo nuovo album The Golden Age Of The Grotesque; esso è anche la rappresentazione teatrale e spettacolare della parodia dei nostri tempi, in cui Brian Warner è la grande maschera, la caricatura principe che si assurge a capro simbolico ed espiatorio del male e della paura.

Ad incontrarlo dal vivo Mr. Warner non è così truculento e spaventevole come lo si immagina. È invece un gentile e colto signore, che sa parlare con la stessa cognizione di causa dell’arte espressionistica della Repubblica di Weimar e della storia europea, di mass-mediologia e musica, di Fellini, Pasolini e di politica. Iconoclasta del perbenismo americano e nel contempo icona ombrosa dell’inconscio collettivo che lo stesso perbenismo rifiuta, Marilyn Manson è il paradigma del moderno teatro dell’assurdo, l’attore principiale del vaudeville contemporaneo che vede dei parallelismi con gli anni Trenta, cui lo stesso artista si è ispirato.

“Credo che in questo periodo storico esistano delle analogie con il periodo di decadenza che aveva preceduto la Seconda guerra mondiale. Allora la gente viveva con lo stessa sensazione che qualcosa di terribile potesse succedere e quindi assaporava la vita momento per momento, senza pensare al domani e con l’intento di sublimare nell’arte e nello spettacolo il senso di precarietà. Il cabaret, il teatro del grottesco, il glamour hollywoodiano, il dadaismo e l’arte degenerata sono state manifestazioni emblematiche di quell’attitudine, atta a consumare l’esistenza con urgenza istintiva, ma anche atta, in attesa della catastrofe, a porsi domande profonde sul perché delle cose. Quella è stata l’epoca in cui si è sviluppata la psicanalisi, in cui si sono imposte nuove scuole di pensiero che hanno fissato nuovi parametri per definire il bene e il male, il giusto e lo sbagliato. A Hollywood si viveva come in un film e, paradossalmente, mentre al di là dell’Atlantico si combattevano i fascismi, in patria si stabilivano nuovi must, standard e censure. Ogni movimento che nasce con il fervore ideale della libertà finisce poi per venir fossilizzato nel suo valore eversivo o distrutto, perché tutto ciò che sfugge al controllo provoca panico. Esiste una grande analogia con il presente. La storia si ripete sempre e per questo i simboli di quelle avanguardie possono benissimo avere la stessa valenza ora. Così le mie performance, piene di richiami allegorici, diventano politiche mio malgrado, anche se il mio vero scopo è l’intrattenimento.”

L’entertainment nella visione di Manson è l’obbiettivo finale dell’opera d’arte, perché la connette al suo valore semantico; soltanto mediante la comunicazione e la ricezione da parte dell’audience l’espressione acquista il suo senso compiuto. “L’America mi odia ma ha bisogno di me perché ogni entità per essere compiuta ha bisogno di esorcizzare i propri fantasmi. La mia guerra personale è quella di scioccare, provocare, apportando una reazione nelle coscienze in modo da far riflettere sulla necessità di liberarsi dalle strumentalizzazioni, dalle omologazioni che ingabbiano e sopprimono. Io combatto perché l’immaginazione, che è il vero motore dell’essere umano, sia libera e per questo spavento e vengo continuamente censurato. In un sistema che instilla il senso di vulnerabilità e paura in modo funzionale al controllo e al consumo, la mia arte diventa terroristica.”

Anche nella composizione dell’ultimo album Marilyn ha subito interventi castranti da parte della casa discografica e degli organi mediatici, per cui gran parte del suo concetto idiomatico verrà proposto durante il tour e condensato in un dvd che uscirà in edizione limitata. “Considero la mia arte suscettibile a vari strumenti mediatici, soprattutto perché è molto visuale. Il dvd mi ha aiutato a uscire dalla depressione che la censura sul mio materiale mi aveva causato; con esso cerco di far comprendere che la creatività deve poter aprire le menti e non chiuderle. Con i precedenti tre dischi ho esaurito un capitolo della mia vita in cui distinguevo la mia arte dalla politica e dalla religione, mentre ora sono la stessa cosa; The Golden Age Of The Grotesque vuole essere un nuovo inizio in cui invito le persone all’interno del mio mondo immaginario. Esso è la mia Disneyworld in cui io mi sento Mickey Mouse. Nel mio mondo esiste un’estetica in un certo senso dandy e caricaturale ma basata sull’innocenza e mai voyeuristica come quella televisiva.”

Intelligente, lucido, ironico e amante delle contraddizioni che spingono a pensare, Brian Warner usa molto, in contrapposizione alla sua immagine turpe e depravata, la parola “innocenza”. “Questo lavoro possiede il candore e l’onestà di un neonato perché per comporlo mi sono molto rifatto alla totale assenza di regole dell’infanzia, che è in sé una forma di saggezza. Soltanto quando incominciamo a dire a un bambino di non cadere egli sperimenta la paura e cade. Ho voluto che la musica potesse partire da un processo di totale spontaneità e semplicità, in modo che potesse toccare il pubblico ad un livello subliminale.”

Marilyn tutto compunto nel suo cerone non ha paura di venire frainteso e non si scompone a chiarificare i suoi concetti in quanto crede che possa essere il suo lavoro a parlare per lui. “Con il mio atteggiamento cerco di sfidare il comune senso di percezione delle cose, prendendo anche da chi nel rock è considerato un mio predecessore, come Alice Cooper, e cercando di fare persino meglio. Il mio desiderio è quello di lottare per la democrazia nell’arte. Per questo considero Fellini e Pasolini dei grandi ispiratori. Guardando i loro film colmi di evocazioni e per di più sottotitolati ho capito come la comunicazione emotiva avvenisse ad un altro livello, poco connesso con la lingua in sé. Ho compreso che il valore dei suoni, e quindi della musica, deve agire nell’emisfero destro del cervello, per cui per i testi dei brani ho coniato un mio linguaggio che potesse venir recepito a un livello inconscio e suggerire immagini mentali. In questo modo l’idioma musicale diventa molto più potente.”

Manson confida pure di trarre spesso ispirazione dai propri sogni perché lo connettono con il bambino che fu. “Non ho mai accettato che Halloween dovesse essere soltanto una volta all’anno e fin da piccolo ho sempre desiderato che quella potesse diventare la mia vita vera. Così il mio look non è un travestimento, ma un vero modo di essere, un modo per vivere nel regno della libertà e dell’immaginazione. Nel contempo vengo considerato un’icona sovversiva perché, come ho detto nel film di Michael Moore Bowling A Columbine, io divento ciò che tutti temono poiché dico e faccio ciò che voglio.” Eppure in alcune interviste Manson ha dichiarato di non aver condiviso del tutto i contenuti del documentario di Moore. “Non ho condiviso in pieno il punto di vista del regista, ma ho apprezzato la grande forza antagonista di quel film che fa vedere l’altro lato dell’America. Personalmente ho un approccio più ludico con l’arte visuale perché è mio interesse far star meglio le persone donando loro anche momenti di evasione. La mia musica però, soprattutto in quest’ultimo lavoro, può avere davvero un impatto violento e traumatico, ma non dimenticate mai, se volete valutarmi correttamente, che io tendo a essere sempre molto sarcastico e ironico.”

Ritenendosi ispirato da Edgar Allan Poe e da David Bowie, dall’espressionismo e da Iggy Pop, dal vaudeville e dai Beatles, Marilyn Manson non soltanto sancisce il suo eclettismo e il suo essere controverso, ma anche la sua eterna metamorfosi e capacità di trasformazione. “Io sono come una farfalla e il cambiamento fa parte della mia immagine e del mio modo di essere, per cui il mio pubblico mi segue anche se sposto continuamente i punti di riferimento. La trasformazione stabilisce continuamente nuove relazioni con gli oggetti, i soggetti, il mondo, se stessi e tali relazioni sono il tema principale dell’album. Quando smetterò di cambiare, smetterò di esistere poiché il divenire è vita mentre l’immobilità è morte.” Come a voler sancire tale motto, anche la line-up della band si è modificata. “Twiggy ha seguito la sua strada e io la mia senza alcun rancore. Mi sento davvero ad un nuovo inizio e pieno di rinnovato entusiasmo.”

La registrazione dell’album è avvenuta perseguendo la filosofia della massima immediatezza, semplicità e non convenzionalità. “Mi sono improvvisato anche tecnico del suono e, come un bambino nella stanza dei giochi, mi sono dato alla totale improvvisazione. Ho soltanto cercato di fermare in ogni pezzo l’energia di ciascun momento senza rielaborare il tutto dopo, così l’album è arrivato a possedere la freschezza dei miei primi lavori e la possenza dell’estemporaneità. Nel mentre ho cercato di costruire delle immagini con le parole usando molto la diversificazione ritmica, nella voce, nelle chitarre, nella batteria, e utilizzando molti elementi swing. In effetti The Golden Age Of The Grotesque è un disco molto ritmico ma anche politico perché, come nel rap, il ritmo definisce qui la modalità di comunicazione tra simili nella vita di tutti i giorni. Nel cd non ci sono cover come Tainted Love, concepita con Tim Skold, ma saranno sicuramente inserite come possibili prossime b-side.”

Il guazzabuglio ritmico di cui Marilyn parla viene ben evidenziato in un brano dal titolo quasi impronunciabile, appartenente al nuovo linguaggio di Manson, intitolato Doll-Dagga Buzz-Buzz Zigget-Zag. “Mi è venuto in mente osservando della gente non più giovane lanciata in sfrenati balli swing. Mi ha fatto pensare ai balli degli anni Trenta, dove era importante stordirsi per non pensare e con il pezzo ho voluto catturare quell’attitudine.” Il momento della danza, del gioco, dell’esibizione vengono quindi anche visti come gli istanti della fuga, della creazione di realtà fittizie riflettenti un malessere decadente troppo difficile da metabolizzare in toto. “Esiste sempre una certa positività nel grottesco, anche se nel tempo esso ha assunto una connotazione negativa. In verità il grottesco rappresenta l’abnorme, la parte dell’immaginario che non esiste in natura e che quindi provoca negli altri una reazione, qualsiasi essa sia. Anche il mio show si impegnerà a raggiungere lo stesso scopo e fornirà una serie di stimoli che le persone non avranno mai visto prima. Bisogna colpire la fantasia e l’inconscio delle persone se si vuole far braccia in loro e non venir dimenticati e consumati in fretta, bisogna lasciare una traccia tangibile nella psiche.”

Abnorme, anormale, nella sua uniforme da b-movie del terrore, il caro Brian appare di sicuro come una sorta di freak post moderno che si ostina a voler vivere nel suo Halloween mediatico. Se non fosse per quell’arguzia, quella perspicacia e stupefacente consapevolezza che mostra ad ogni passaggio della sua conversazione, sembrerebbe il perfetto sotto-prodotto da carrozzone del gran circo del rock’n’roll. “Io appaio strano soltanto perché vivo esattamente nel modo in cui mi va, mentre gli altri si adattano a modelli imposti. Ma lo scopo dell’artista è anche quello di creare dibattito e controversia e, nel mio caso specifico, di diventare nel contempo l’artista e l’opera d’arte, l’attore e lo spettacolo, l’idioma espressivo e l’entertainer. Non mi interessa il successo in se stesso, vendere milioni di dischi e fare un sacco di soldi; io voglio sovvertire la sintassi del pop tradizionale, far girare la testa della gente e far capire loro che non si deve aver paura della propria ombra. Soltanto coloro che hanno il coraggio di guardare in faccia i propri scheletri possono confrontarsi con la grande meravigliosa vertigine della libertà.”

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