Cadere nello stesso tranello che ha fregato Jack Massarik dell’Evening Standard sarebbe fin troppo facile. Affermare che il concerto dell’ex Stone e dei suoi Re del Ritmo sia stato tenuto in vita dai vari friends rappresenta, in effetti, un’antipatica semplificazione. Certo, mettere assieme in un colpo solo Ronnie Wood, Eddie Floyd e Martin Taylor non è cosa da tutte le sere, ma non basta per sostenere che, in loro assenza, alla Royal Festival Hall non ci sarebbe stata storia.
Non è sufficiente anche perché, prima di parlare di lorsignori, bisogna fare i conti con l’élite in cui militano alcuni musicisti alla corte di zio Bill (il calendario, lo scorso mese, ha segnato per lui sessantotto primavere, di cui quasi cinquanta passate su un palco). Vogliamo discutere, per esempio, di Albert Lee, nome già uscito sulla ruota dei Grammy Awards e pronto a dimostrare cosa sia un fraseggio poderoso (vedi Six Days On The Road)? Oppure di Beverley Skeete, voce da pelle d’oca su I Put A Spell On You, storico evergreen di Nina Simone?
Inoltre, non si può chiudere il conto prima di aver raccontato dell’istrionico pianista Mike Sanchez, capace di trasformare la compassata Hall nel floor di una sala da ballo, per Tell You A Secret, e del dinamismo assicurato dai fiati di Frank Mead e Nick Payn. Nel racconto, prima di arrivare agli ospiti, deve poi trovare posto anche Mr. Wyman, che – già dallo scorso tour – ha trovato in You Can Never Tell un valido rifugio dalla tradizionale idiosincrasia nei confronti del microfono. Ciliegina sulla torta, l’organista Chris Stainton. Per lunghi anni nella live band di Eric Clapton, ha fatto dimenticare in un batter d’occhi il bolso Georgie Fame, all’Hammond nei precedenti tour dei Rhythm Kings.
A questo punto, ma soltanto ora, entrano in gioco i friends. Che Eddie Floyd canti Knock On Wood, o Raise Your Hand, il pubblico accorre spontaneo sotto il palco e lui ci mette l’anima. Quanto a Ronnie Wood, a chi scrive non è piaciuta la volontà di divertire ad ogni costo con facce buffe e siparietti di vario genere. Sarebbe stato più saggio concentrarsi sulla performance chitarristica, risultata più convincente nei recenti show a fianco di Rod ‘The Mod’ Stewart. Decisamente ispirato, invece, Martin Taylor, al punto da proporre, sotto gli occhi vigili di Bill, una versione per sola chitarra di una ballad di Norah Jones. Messo tutto ciò sulla bilancia, una volta tolto l’ago, il piatto più pesante non sembra quello degli ospiti. In fondo, senza Bill e soci, non avrebbero avuto ragione di essere là.