28/01/2015

Björk

Il folletto islandese torna a incantare con un lavoro arricchito da sontuose orchestrazioni e da un sapiente uso dell’elettronica
Vulnicura. Un titolo eloquente quello del nono lavoro in studio del folletto islandese Björk. In latino, infatti, “vulnus” è “ferita” e “cura” significa “guarigione delle ferite”. Il che rappresenta, senza mezzi termini, la fine della lunga relazione della cantante con l’artista “multimediale” Matthew Barney, suo compagno per oltre dieci anni. Un distacco doloroso, manifestato nei testi più diretti ed espliciti che Björk abbia probabilmente mai concepito, come lei stessa ha dichiarato: “Non ho mai cantato testi così diretti, semplici. Quasi da teenager”.
 
L’album è uscito un po’ a sorpresa, quasi due mesi prima della data di uscita ufficiale fissata in concomitanza con la mostra in onore alla sua carriera al Museum Of Modern Art (MoMa) di New York. Contromossa presa dalla stessa artista a causa di un leak pirata con cui è stato divulgato l’album illegalmente prima del tempo. Da qui la decisione di Björk di rendere disponibile in digitale e su iTunes Vulnicura fin da subito (in formato fisico uscirà, come programmato, a marzo). A tre anni di distanza dall’intricatissimo, seppur affascinante, concept tra natura e tecnologia di Biophilia (Warner, 2011) e da una serie di spettacoli in giro per il mondo, Björk torna finalmente con un lavoro in studio decisamente ispirato, forse il migliore dai tempi di Homogenic (One Little Indian, 1997).
  
Nove tracce piuttosto lunghe – fatta eccezione per History Of Outches e Quicksand – che sfiorano i dieci minuti di durata. Sonorità e strutture ricordano certe opere di musica contemporanea e minimalista, lontane anni luce dalle convenzioni e dagli stilemi del “pop”. A impreziosire i sontuosi arrangiamenti d’archi curati personalmente da Björk –  da brividi Stonemilker e Black Lacke – c’è il contributo alla produzione di due giovani e rampanti genietti dell’elettronica quali Arca (soprattutto) e The Haxan Cloak. Il primo ha collaborato con Kanye West nell’ultimo Yeezus, mentre il secondo è autore di tre album celebrati e osannati dalla stampa internazionale. Elettronica impiegata nella giusta misura e senza convogliare in arrangiamenti straripanti, come era successo in passato. Più che aggiungere, qui si toglie. Scelta intelligente, come nell’affresco ambient di Family o nei beat scomposti e complessi di Lionsong. Interessante anche il duetto con un’altra grandissima voce del panorama musicale internazionale, ossia quella di Antony Hegarty di Antony and the Johnsons nell’apocalittica Atom Dance. 
  
Vulnicura è un disco minimalista nel senso più positivo del termine, concepito da un’artista che propone una musica colta assimilabile – non senza difficoltà – anche da un pubblico più vasto. Un album che, con la dovuta pazienza, riesce persino a incantare. Immergervi nei suoni celesti di questo album non potrà che aiutarvi a curare qualsiasi ferita.
 

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