Non è la prima volta di Boz Scaggs a Memphis. Ci era già stato quarantaquattro anni fa di ritorno dall’Europa e da un acerbo debutto discografico svedese e, subito dopo, da un paio di album di rock-blues psichedelico con Steve Miller. Quella volta, nel 1969, Scaggs era un giovane bluesman alla ricerca della propria voce, e i riverberi dei Muscle Shoals Studio (e la chitarra di Duane Allman) sembrarono allora la cornice più appropriata e definitiva. Tutto racchiuso in Boz Scaggs, oggi un classico del country blue eyed soul. Il tempo ha poi dimostrato che quella non era affatto la cornice definitiva per Scaggs, la cui affermazione avverrà nella seconda metà dei ’70 con album di raffinato A.O.R.
Memphis ha la fisionomia di un ritorno a casa, soprattutto dopo le due raccolte di standard jazz che lo precedono. Registrato ai Royal Studios, tempio dello scomparso Willie Mitchell, con session men di eccezione come Willie Weeks (basso), Steve Jordan (batteria), Spooner Oldham (tastiere), i Memphis Horns e Ray Parker Jr. (chitarra), l’album restituisce un cantante rilassato e ispirato, perfettamente a suo agio nell’alveo di un suono rotondo e confortevole, anche quando il soul diventa blues e i volumi si fanno più spigolosi. Nella continuità di un eclettismo che, solo per restare nel recente passato, lo ha visto mescolare Gino Paoli con Kurt Weill, Scaggs sceglie qui alcune cover ben meditate quanto (apparentemente) disparate. Come l’elegante rilettura di So Good To Be Here (Al Green) e quella caraibica di Mixed Up Shook Up Girl (Willy DeVille), il blues polveroso di Cadillac Walk (ancora da DeVille) e l’indifesa arrendevolezza del tradizionale Corrina Corrina. E ancora, la soffusa elegia di un classico country-soul come Rainy Night In Georgia (Tony Joe White) e il raffinato pop-soul anni ’70 di Love On A Two Way Street (The Moments), Pearl Of The Quarter (Steely Dan), Can I Change My Mind (Tyrone Davis).
A riportare a unitarietà una scaletta così variegata, l’approccio e la sensibilità di Scaggs, crooner e rocker, popster e soulman. Un cantante all american, ma non un semplice intrattenitore. Queste canzoni le ha vissute sulla propria pelle d’artista, come gli hit rhythm & blues che mezzo secolo fa cantava, con il cappello ai piedi, agli angoli delle strade delle capitali europee.
Leggi l’intervista sul numero di aprile di JAM