Basterebbe quella resa formidabile, così ricca di travolgente esuberanza, di un classico di un gruppo ormai dimenticato sugli scaffali della storia del rock, per chiarire perché Bruce Springsteen è sempre il performer numero uno. Accelerato fino a renderlo quasi una travolgente cavalcata rock, dilatato con aperture corali che ne accentuano aspetti musicali che a un comune mortale potevano essere rimasti nascosti, interpretato con la fiera consapevolezza di star maneggiando una pagina “sacra” della musica, Rag Mama Rag di The Band diventa per forza di cose l’highlight della nuova serie di concerti della Seeger Sessions Band. Dimostrando che lo Springsteen di oggi ha davvero in mano le chiavi di accesso all’America, la sua storia, le sue tradizioni e il suo spirito tanto da sapersi impadronire di qualunque linguaggio essa abbia partorito negli ultimi cento anni. Accade così nell’ardita rilettura di The River, un pezzo pensato fino ad oggi intoccabile, ma che si “allarga” in una visione più ampia, oppure nella “negritudine” di una Atlantic City da juke joint, e ancora nella potenza corale (solo voci, basso e qualche percussione) di una quasi rappata Samson And Delilah che mette insieme gospel e hip-hop.
È uno Springsteen che nella cornice magica della sempre bellissima Arena di Verona, impreziosita da una luna piena che si gode anch’essa il concerto sopra gli antichi spalti romani, si trova in autentico stato di grazia. E allora, oltre alle consuete ma sempre formidabili rese del repertorio tratto dal disco We Shall Overcome, decide di improvvisare e tira fuori dal cilindro una rarissima Fire (scelta, ovviamente, per il verso in cui cita Romeo e Giulietta) in cui sembra quasi che voglia lasciare l’acustica per riprendere in mano l’amata Stratocaster, una Bobby Jean che parte come se fosse I Want You di Bob Dylan per poi, visto che deve interrompere la tournée per “tornare a casa dai ragazzi che hanno bisogno della loro mamma”, lasciare – mai accaduto prima – il palco a Patti Scialfa in una bellissima resa di Valerie, dal suo primo disco solista.
Manca My City Of Ruins ma non importa, perché la nuova American Land – sembra una irish tune dei Pogues – è bellissima, così come lo spiritual devastante di This Little Light Of Mine.
Potrebbe continuare così per il resto della sua carriera, Bruce, e sarebbe perfetto.