15/05/2007

Bruce Springsteen & The Street Band

Parigi-Barcellona-Bologna-Londra, ottobre 2002

Il tour europeo inizia a Parigi, il 14 ottobre: The Rising e Lonesome Day in apertura, Empty Sky e You’re Missing in un’emozionante versione acustica, Mary’s Place impreziosita dal falsetto di Bruce e dal controcanto del pubblico, una intensa versione di Into The Fire. Ramrod è uno show nello show, con mattatori Bruce e Steven a fare le facce più buffe e ridicole mai viste. Sul taccuino di Parigi ci sono anche la rara Further On (Up The Road), la prima e finora unica My Hometown al piano, Elliott Murphy ospite imbarazzato ed imbarazzante su Born To Run di cui non conosceva gli accordi. Il pubblico parigino si conferma il più tiepido tra quelli europei.

Due giorni dopo a Barcellona Springsteen e la band sono al massimo, elettrizzati dallo straordinario pubblico spagnolo e dalla diretta su Mtv. Uno spettacolo superiore al disco Live In New York City, più naturale e fluido: She’s The One non ha nulla da invidiare alle incendiarie versioni del ’78.

A Bologna il 18 ottobre Something In The Night è tanto bella quanto inaspettata. Stupenda Waitin’ On A Sunny Day: il pubblico non smette di cantare il ritornello, premiato da una ripresa della canzone fuori programma. Springsteen asseconda il singalong con You Can Look e No Surrender. Più avanti un’emozionante For You al piano. Una pausa e l’ennesima sorpresa quando rientra sul palco il solo Roy Bittan per due minuti di boogie woogie: siparietto con Bruce che fatica a fermarlo per poi lanciarsi in una rara Stand On It. Ancora Elliott Murphy in Born To Run, questa volta con gli accordi giusti. My City Of Ruins è sempre tra i momenti più intensi dello show. L’invito a risollevarsi rivolto da Springsteen alla sua città in rovina, a se stesso e a chi soffre, sembra alla fine fondersi con una preghiera a Dio affinché risorga. Il pubblico si unisce a Bruce fino a coprirne la voce nella coralità gospel dell’invocazione “Come on, rise up”: un incredibile momento di comunione artistica e spirituale tra Springsteen e il suo pubblico. Born In The Usa è introdotta come “una canzone scritta per il Vietnam. Voglio cantarla questa sera come una preghiera per la pace”. Chiaro auspicio contro la guerra in Iraq, si affianca al giudizio positivo di Springsteen sull’operato dell’amministrazione americana in Afghanistan. Due opinioni che nell’insieme mostrano l’indipendenza e l’equilibrio di un artista attento alle questioni politiche e sociali, ma non riducibile in schemi semplicistici. Soprattutto è l’occasione di riascoltare dopo anni di splendide versioni acustiche un pezzo bellissimo e devastante nella sua originale versione elettrica, a dispetto dei mille fraintendimenti patriottici. Land Of Hope And Dreams torna col suo treno di vincenti e perdenti, santi e peccatori, destinazione il destino misterioso ma buono che il cuore ci ha promesso. Sulla coda un accenno a People Get Ready, ma il pubblico dei concerti di Springsteen è già salito a bordo qualche concerto fa. La conclusiva Thunder Road, come prima Born To Run, sembra il pedaggio pagato a una canzone troppo bella per essere dimenticata. Forse non emoziona come un tempo, ma il pubblico fa la differenza: la band è già uscita e tutti continuano a cantarla. Bruce torna sul palco per accompagnare al piano il canto, ultimo omaggio al pubblico italiano prima di inchinarsi e uscire. Due ore e cinquanta minuti di concerto, assieme a Barcellona e Philadelphia il migliore del tour.

Infine Londra: l’acustica The River suona stanca finché non entra Soozie Tyrell al violino a renderla nuova. Sono nuove anche l’introduzione acustica per Countin’ On A Miracle di Nils Lofgren e i vocalizzi di Patti Scialfa che ha finalmente un ruolo non ornamentale. Max Weinberg resta la colonna portante del suono, ma Garry Tallent, Danny Federici e Roy Bittan non sono da meno. Steven Van Zandt è “l’unico uomo al mondo che si presenta in pubblico in pigiama” e Clarence Clemons, che pure nel Reunion Tour aveva perso qualche colpo, è adesso impeccabile. Impressiona Jackson Cage, sorprende Does This Bus Stop. Le uniche che non convincono in pieno sono forse The Fuse e Worlds Apart. Si ride col fan che dal 1996 perseguita Springsteen a Londra urlando l’immancabile “We fookin luv ya!”. Bruce questa volta non si fa cogliere impreparato e cita Jerry Lee Lewis: “Too much love drives a man insane”.

Siamo alla fine, Springsteen saluta con un “See ya in spring”: ci saremo Bruce. Anche a San Siro, il prossimo 28 giugno.

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