31/05/2007

Bruce Springsteen With The Sessions Band

Live In Dublin (Columbia / Sony Bmg)

“I McNicholas, i Posalski, gli Smiths e pure gli Zerilli”, canta Bruce Springsteen davanti al pubblico del Point di Dublino, “i neri, gli irlandesi, gli italiani, i tedeschi e gli ebrei”. Ovviamente appena pronuncia la parola “irish”, il pubblico esulta. Non è uno stratagemma per strappare un applauso in più: è uno spaccato dell’America che Springsteen ha portato sul palco del tour di cui Live In Dublin è testimonianza audio-video. Viene in mente la canzone degli U2 inclusa nella colonna sonora di Gangs Of New York: “These are the hands that built America”, queste sono le mani che hanno costruito l’America: mani d’irlandesi, d’italiani, di polacchi, mani di gente passata per l’imbuto di Ellis Island, mani di poveracci. Nel corso del live Springsteen evoca quel mondo col trasporto e la gioia che solo un performer del suo calibro sa trasmettere e portare a un pubblico di massa.
Registrato e filmato con 9 camere in alta definizione nell’arco delle serate che il rocker americano ha tenuto a Dublino il 17, il 18 e il 19 novembre 2006, quando il tour legato al progetto We Shall Overcome era oramai agli sgoccioli, Live In Dublin esce in doppio cd audio, in dvd, in versione combinata 2 cd + dvd e nel nuovo formato video ad alta definizione Blu-Ray. A dire il vero non c’è granché di spettacolare nelle riprese del concerto editato da Thom Zimny e lo stesso Bruce non calca la mano con gesti enfatici, ma si limita a piccoli siparietti adatti ai suoi 57 anni d’età. I lampadari e i decori semplici ed eleganti, poi, fanno molto Last Waltz, anche se siamo in un locale da 8.500 persone, una sala ricavata da un vecchio deposito ferroviario e non al Winterland di San Francisco.
Noi abbiamo potuto vedere solo una porzione del dvd, ma è bastata per comprendere che Live In Dublin è il coronamento di una stagione formidabile e che i contenuti musicali e artistici non differiscono sensibilmente dai concerti che abbiamo visto in Italia nel maggio e nell’ottobre 2006 e di cui vi abbiamo parlato su JAM. Le potenzialità del progetto We Shall Overcome dal vivo sono infatti esaltate e potenziate, il riferimento al repertorio di Seeger più labile. Springsteen è accompagnato da un ensemble di 17 elementi colorito e capace di una festosa miscela stilistica, felice combinazione di rock, folk, rhythm & blues, gospel, soul, swing, Dixieland, un patchwork stilistico che sembra il quilt evocato dal Reverendo Jesse Jackson tanti anni fa. Va da sé che Live In Dublin è un concerto corale. Spesso, tra una strofa e l’altra Springsteen fa un passo indietro e lascia spazio ai violini di Sam Bardfeld e Soozie Tyrell (bravissimi), alla fisarmonica di Charlie Giordano, al banjo di Greg Liszt, mentre Marty Rifkin ruba più volte la scena con brevi fraseggi di lap steel e di dobro. La presenza dei coristi e il supporto vocale dei tanti musicisti permette a Springsteen di non concentrarsi tanto sulla potenza del canto quanto sull’espressività. La sezione fiati porta tutto quanto dalle parti di New Orleans. Dice bene Jon Landau che il dvd fa toccare con mano la trasformazione di un gruppo assemblato in modo informale in una strepitosa macchina da musica.
Oltre ai pezzi tratti da We Shall Overcome, il live offre una serie di gradite “novità”. Intanto ci sono pezzi come Atlantic City, Open All Night e Growin’ Up riscritti in modo radicale, rinfrescati. Ci sono poi le “appendici” al progetto legato a Seeger tra cui la strepitosa How Can A Poor Man Stand Such Times And Live di Blind Alfred Reed, una canzone sulla Depressione che nelle mani della Sessions Band diventa un canto per New Orleans che unisce solennità, sdegno e bellezza. E c’è This Little Light Of Mine, uno spiritual rivitalizzato ai tempi delle battaglie per i diritti civili che permette a Bruce di calarsi nei panni del predicatore rock e alla corista Cindy Mizell di ritagliarsi uno spazio solista. Per la cronaca: nel corso dei tre concerti fu eseguita un’altra decina di brani non inclusi nel cd/dvd.
Da Tom Joad in poi, Bruce Springsteen è spinto dalla lucida percezione del proprio ruolo di “voce” americana: è riuscito ad ampliare in modo sorprendente i confini stilistici della sua musica e a dare una risposta confortante ai bisogni morali del suo Paese. Ha celebrato il rock come elemento di continuità della visione americana, e non di rottura. È il posto dove tutto si tiene: ecco che la Depressione si sovrappone a Katrina e l’esodo degli ebrei dall’Egitto diventa inno per la liberazione degli afro-americani e infine metafora per le vicissitudini dei diseredati d’oggigiorno. “One of these nights about twelve o’clock / This old world is gonna rock” urla Springsteen in O Mary Don’t You Weep. Questo sì che è un doppio senso…

Atlantic City
Old Dan Tucker
Eyes On The Prize
Jesse James
Further On Up The Road
O Mary Don’t You Weep
Erie Canal
If I Should Fall Behind
My Oklahoma Home
Highway Patrolman
Mrs. Mcgrath
How Can A Poor Man Stand Such Times And Live
Jacob’s Ladder
Long Time Comin’
Open All Night
Pay Me My Money Down
Growin’ Up
When The Saints Go Marching In
This Little Light Of Mine
American Land
Blinded By The Light
Love Of The Common People
We Shall Overcome

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