Ryman Auditorium, Nashville.
18 settembre 2008.
Il teatro più famoso della storia del country ospita stasera la cerimonia di premiazione della Americana Music Association. Sul palco, una volta calcato dalle star del Grand Ole Opry, salgono Robert Plant e Alison Krauss. Non sono qui (come accadrà 6 mesi dopo ai Grammy) per fare razzia di onorificenze varie: stavolta il premio lo consegnano loro. Musicista dell’anno è stato infatti nominato Mr Buddy Miller (musical director della band del loro Raising Sand) nonché chitarrista, autore, produttore e arrangiatore stimatissimo. Insieme alla moglie Julie, Buddy forma dal 1981 (vedi JAM 77) una delle coppie più ammirate di un’altra Nashville, quella formata da musicisti di matrice country & folk con attitudine progressista e i piedi ben piantati in un territorio di confine tra rock e canzone d’autore. Una scena che (per anni) ha vissuto ai margini del business della Music City Usa, ma che negli ultimi tempi è venuta prepotentemente alla ribalta. Lo dimostra, ce ne fosse ancora bisogno, proprio la serata al Ryman che per Buddy si conclude con l’anteprima di un pezzo (What You Gonna Do, Leroy) che decide di eseguire in coppia con il leggendario cantante dei Led Zeppelin. «Lo ascoltate stasera per la prima volta», dice Buddy al pubblico, «ma tra qualche mese lo potrete sentire quanto volete perché farà parte del nuovo disco mio e di Julie».
Promessa mantenuta: l’album si chiama Written In Chalk, contiene What You Gonna Do, Leroy ma (ciò che più conta) è un disco delizioso capace di fondere in maniera esemplare un ispirato songwriting rock con le radici della musica americana dando così vita a un gustosissimo frullato sonoro. Insomma, a più di sette anni di distanza dal loro precedente (e primo) lavoro in studio (Buddy & Julie Miller del 2001) i coniugi dimostrano che, oggi a Nashville, per fare musica originale e di qualità non si possono fare i conti senza di loro. Il duetto con Robert Plant, in tal senso, è emblematico: un brano bluesy che profuma di New Orleans cui il vocalist degli Zep aggiunge un tocco di conturbante sensualità. Tanto quanto fa il prodigioso fiddling di Stuart Duncan che swinga in modo straordinario su una base ritmico-armonica che ricorda quella delle pulsanti second line della Crescent City.
Arrangiato in modo volutamente disadorno ma reso chic da affascinanti sonorità vintage (proprio come insegna il maestro T-Bone Burnett), l’album di Buddy & Julie brilla soprattutto per la delicata bellezza delle composizioni. Quasi tutte ad opera della signora Miller (Buddy tra la produzione dell’album Nashville di Solomon Burke, il tour 3 Girls And Their Buddy con Patty Griffin, Shawn Colvin e Emmylou Harris, le session in studio con artisti vari e l’avventura Raising Sand con Plant & Krauss, negli ultimi due anni ha avuto parecchio da fare), le canzoni di Written In Chalk sono acquerelli sonori davvero toccanti. Come dimostrano June (duetto semplicissimo per chitarra acustica e due voci) o A Long, Long Time, raffinatissima e jazzy in cui la particolare vocalità nasale di Julie può ricordare, a tratti, il timbro e l’intensità espressiva della grande Rickie Lee Jones. Piacciono anche i pezzi più rockeggianti come Gasoline And Matches o Smooth, secchi, crudi, efficacissimi seppur sempre addolciti dalle straordinarie armonie vocali del duo; armonie che caratterizzano l’intero lavoro e che diventano elemento centrale nei sei duetti del disco. Oltre ad essere i momenti artisticamente più significativi, essi vanno a impreziosire anche alcuni dei brani più poetici di Written In Chalk, come Don’t Say Goodbye e Chalk, entrambi con la partecipazione di Patty Griffin la cui voce si amalgama benissimo sia con quella di Julie, nel primo ispiratissimo duetto, sia con quella di Buddy nella seconda e altrettanto incantevole ballad. Un altro paio di duetti aggiunge pure un tocco diverso: come nel brano che abbiamo descritto, in cui interviene Robert Plant, e quelli che vedono la collaborazione di Regina McCrary in cui la componente black è ancora più accentuata. Conosciuta anche come Regina Havis, la McCrary è una delle voci gospel più apprezzate di Nashville (Bob Dylan l’ha voluta accanto a sé nei dischi della svolta religiosa e nella sua band tra il 1979 e il 1981 per quasi 200 concerti) tanto che One Part, Two Part davvero sembra uscire dalle tracce di Slow Train Coming. Il meglio, però, giunge sul finale: la “madrina” di Buddy & Julie, Emmylou Harris, pennella da par suo The Selfishness Of Man, pezzo che chiude il disco in modo indimenticabile mixando eleganza formale, espressività artistica, bellezza melodica, capacità interpretative. A celebrare in modo (ancor più) ufficiale questo perfetto matrimonio musicale un manipolo di strumentisti di prim’ordine tra i quali Larry Campbell, Matt Rollings, Brady Blade, Stuart Duncan.