Raggiungo Cesare Basile nello studio in cui, con la sua band, sta provando i pezzi da presentare durante il tour di Storia di Caino, l’album che segue a distanza di due anni Hellequin Song. Entro nella piccola sala in tempo per assistere al termine della prova: i musicisti sono disposti in modo circolare, l’unico posto dove posso mettermi per non ingombrare è esattamente al centro e da qui godo di La suonatrice di Hammond e Per nome. Due parole per organizzare la session successiva e arriva il tempo di fare la nostra chiacchierata sul nuovo lavoro, che prosegue la ricerca sonora e lirica del precedente e non tradisce lo stile e l’estetica del cantautore catanese.
Reclamo subito spiegazioni sull’album che il comunicato stampa non sa fornire. Cesare annuisce: “Non ho nessuna voglia di mettere delle note, fornendo una chiave di lettura”. Pensa un attimo e riprende: “In verità non ho ancora chiaro nemmeno io questo disco. Quello che mi arriva, ed è stato così fin da subito, è che tutte le canzoni hanno come filo conduttore il concetto di assenza. Può essere l’assenza di una persona o l’assenza della fortuna, ma comunque parlano della mancanza o del desiderio di qualcosa che in qualche modo non si compie”. Inizia a svelare così ciò che cela Storia di Caino, ennesimo album nella sua discografia con un titolo che sa di morte e che racconta storie attraverso immagini lucide e un linguaggio che rimane scolpito nella mente. Caino, tra tutti i personaggi di quest’opera, è quello che maggiormente simboleggia l’uomo che soffre di un’assenza: a lui è Dio che manca. “Commette l’omicidio più celebre della storia e, secondo me, lo fa per assenza di Dio. Abele, essendo pastore, sacrifica alla divinità i primogeniti delle greggi, mentre lui, contadino, offre frutti. Caino, che non si sente ricambiato nell’amore verso il Dio e in questo invidia il fratello, pensa: allora se è il sangue quello che ti fa accorgere delle persone, devo spargere sangue anch’io perché Tu ti accorga di me. Che sia giusto o no è un altro discorso, ma è un gesto che scaturisce dalla mancanza di questo essere, di questa entità di cui si mette al servizio non essendo corrisposto”. Il dramma, raccontato in prima persona in due minuti e mezzo, viene vissuto attraverso i pensieri dell’omicida, in cui non vi è nulla di guasto se non il tormento di una persona che ha bisogno di un riconoscimento e, seppur negativo, lo ottiene. Non vi è nessuna immagine sanguinaria – la disperazione la si percepisce dai suoni di chitarre e tastiere – non c’è nessun dolore atroce nelle parole che beneficiano, invece, di quella distanza elegante, di quell’efficacia descrittiva e di quella poetica propria dei grandi.
La scrittura di Cesare ha il pregio di unire delicatezza e fisicità. La sua musica impasta blues e folk con un respiro internazionale, come dimostrano le prolungate collaborazioni con John Parish, Hugo Race e la più recente con Robert Fisher (Willard Grant Conspiracy). Mi racconta come, da subito, sia lui che le persone con cui lavora hanno capito le potenzialità dei nuovi pezzi, non perché particolarmente belli ma perché permettono loro di esprimersi al meglio e di essere rilassati. “Forse il risultato finale all’ascoltatore può suonare più complesso, però quello che non ci aspettavamo per questi pezzi lo abbiamo ottenuto: sono canzoni molto dirette, paradossalmente credo che parlino molto di più all’ascoltatore rispetto ai miei dischi precedenti. Se risultassero comunque un po’ ostiche, la cosa è funzionale a far sì che chi ascolta si impegni di più visto siamo abituati a non riflettere mai quando sentiamo la musica”. Cesare sorride e trova nel mio sguardo complicità: è meglio scoprire un disco a poco a poco che avere un ritornello banale che ti si incastra nel cervello. Luca Recchia, suo bassista, conferma: “I dischi che ho più amato sono quelli in cui all’inizio non ho capito nulla. Però è vero: questi brani sono meno contorti nelle liriche, sono più chiari per gli ascoltatori, meno d’impatto rispetto al passato, più leggeri”. Confessa il cantautore: “Do meno l’impressione di arroccarmi sui miei pensieri torbidi. Ho cercato di parlare di più agli altri pur continuando a parlare a me stesso”. Non sono canzonette, non ci si avvicinano minimamente, Cesare odia profondamente i motivetti semplici: “Magari posso essere solare nella vita di tutti i giorni, ma nella musica mi riesce più difficile perché la gravità delle cose mi piace: voglio che le mie produzioni lascino un segno”.
Oltre che un ottimo autore di musica e testi, Cesare Basile è anche un provetto scrittore di racconti; li potete trovare on line, una volta li raccoglieva in una sezione del suo sito, ora sono pubblicati sul blog della pagina MySpace che lui stesso amministra. Sono brevi spaccati di vita, storie che hanno lo stesso retrogusto delle canzoni, scritte con la medesima lucidità e lo stesso dono della parola. Cesare non vuole sentirsele dire queste cose e schernisce le mie osservazioni con la discrezione e l’umiltà di chi è estremamente severo con se stesso: “Oggi c’è troppo poco pudore nei confronti della scrittura, tutti ritengono di essere degli scrittori e pensano di essere in grado di pubblicare un libro. Invece bisogna andarci piano. La scrittura ha bisogno di rispetto, ci sono troppi scrittori scarsi e troppi libri brutti. Si può fare lo stesso discorso per la musica, ma delle mie canzoni sono sicuro e so di rispettarle quando le compongo, dei miei racconti no e allora cerco di restare schiscio. Mi sono sforzato di mettere i racconti su MySpace, ho pensato che pubblicarli come se fossero un blog poteva andare bene; è anche una maniera di testare le cose che scrivo. L’oggetto libro è qualcosa di più importante e sacro che non fa ancora per me”. Ma non sono così separate le due forme di espressione, musica e letteratura. Anzi, c’è un forte legame tra la canzone e le brevi prose, considerate per ora mero esercizio; molte liriche, infatti, sono nate da spunti e appunti, come All’uncino di un sogno che ha preso forma da quella che lui chiama “una specie di poesia”.
Storia di Caino è stato registrato in cinque giorni e mixato in altrettanti. Le bozze dei primi pezzi però risalgono ad oltre un anno fa, ma i problemi discografici causati dalla volontà di non pubblicare più dischi da parte della precedente etichetta, la Mescal, hanno provocato lo slittamento dell’uscita. L’incontro con l’etichetta Urtovox ha fatto sì che l’album potesse essere pubblicato e, solo in quel momento, c’è stata la possibilità di entrare in studio. “Abbiamo economizzato tantissimo sui tempi perché non avevamo molta disponibilità dal punto di vista finanziario. Il giro delle collaborazioni è stato sicuramente più ristretto, abbiamo fatto di necessità virtù; però anche qui ci sono partecipazioni interessanti, forse più squisitamente vocali, e abbiamo avuto Rodrigo D’Erasmo. Non ci sono Marta Collica e Hugo Race perché non potevano esser presenti per motivi di distanza geografica, ma magari ci saranno la prossima volta. Questo disco ha rischiato di non uscire e riuscire a farlo è stata la cosa che mi ha reso più felice. Se ho un desiderio è che serva anche agli altri e non solamente a me che l’ho scritto: il sentimento dell’assenza oggi lo proviamo un po’ tutti, molti vivono nell’assenza di qualcosa, nel desiderio di qualcosa”. Mi consiglia di ascoltare attentamente Donna al pozzo, pezzo che ripercorre un episodio del Vangelo in cui Gesù fa una promessa a una donna: “La cosa non si avvera, ma la donna ha fede. Ed è questa fede che rende migliori”.