22/03/2007

Charlie Musselwhite

Charlie Musselwhite è un sessantenne con capelli brizzolati e baffi bianchi. A ben guardarlo si intravede il passato di contadino che ne ha plasmato il fisico e regalato vasti orizzonti allo sguardo. Quando lo incontrai per la prima volta mi colpì la gentilezza e la facilità della chiacchiera nel raccontare del suo approccio al blues, delle collaborazioni con i grandi nomi della scena di Chicago e dei suoi rapporti con Paul Butterfield. Ora, a qualche anno di distanza, in occasione della pubblicazione del suo nuovo album Sanctuary, lo risento al telefono e mi racconta di come è arrivato alla prestigiosa etichetta Real World e delle varie collaborazioni che caratterizzano il lavoro. “È per me un grande onore realizzare un disco per la Real World, soprattutto perché non ho fatto nessuno sforzo per arrivarci. Sono stato direttamente contattato dai loro esperti e ci siamo accordati sul da farsi, così insieme al mio produttore John Chelew ho allestito una splendida band che mi è stata vicino per tutto il periodo della registrazione e ho cominciato a lavorare. Chelew ha voluto inoltre qualche ospite di riguardo che desse un tocco di classe ad alcuni brani. Sto parlando di Ben Harper e Blind Boys Of Alabama che sono intervenuti in alcuni pezzi.”

Certo i cori dei Blind Boys Of Alabama sono da brividi, e anche la chitarra di Ben Harper non ha bisogno di commenti, ma non bisogna dimenticare che nella band di Sanctuary figurano personaggi del calibro di Jared Michael Nickerson e Michael Jerome, rispettivamente bassista e batterista di una sezione ritmica straordinaria, spesso decisiva nella resa dei pezzi, e soprattutto Charlie Sexton, chitarrista duttile e incisivo, davvero insostituibile per le atmosfere che sa creare. “Sì, sono stato davvero fortunato a lavorare con musicisti di questo livello, ma anche in questo caso il merito va a Chelew perché è stato lui a trovare le persone giuste per realizzare il suono che aveva in testa e a rendere il mio lavoro più facile, addirittura divertente.”

La scelta dei brani è molto particolare. Ci sono solo tre pezzi che portano la firma di Musselwhite, gli altri sono stati presi in prestito dai repertori di autori di classe, gente come Randy Newman, Townes Van Zandt, Ben Harper, Savoy Brown, giusto per citarne qualcuno. “Trovare i pezzi giusti per un album destinato a rappresentare il blues in una collana come la Real World, che concentra in sé le migliori tradizioni del mondo, non è stata cosa semplice. Riprendere i soliti vecchi standard sarebbe stato imbarazzante, anche perché non me la sentivo di privilegiare alcuni musicisti rispetto ad altri, così la scelta è caduta su brani che sembravano particolarmente adatti per il testo e l’anima che contenevano. Poi naturalmente sono stati personalizzati e resi secondo i canoni del blues che mi appartengono. A ben ascoltare ci sono dei blues molto ortodossi, delle ballate, ma anche brani che grazie all’intervento dei Blind Boys Of Alabama si avvicinano al gospel. Credo che qualsiasi brano che contenga in sé un certo pathos può essere facilmente traslato in un blues. I pezzi dell’album parlano come sempre di solitudine, disperazione e morte, sono molto esistenziali, così come vuole la tradizione blues.” Sembra quasi che Charlie abbia paradossalmente scelto composizioni di rock’n’roll e altri generi successivi derivati del blues per parlare della musica che ha dato loro origine. “È proprio così, come ti dicevo è stato un espediente per non dovere scegliere nell’immenso repertorio blues e fare inevitabilmente dei torti a qualcuno.”

Tra le dodici composizioni che compongono Sanctuary vi è un solo strumentale, Route 19, scritto peraltro dallo stesso Musselwhite. “Sì, è un breve strumentale che per me ha un’importanza particolare perché è stato scritto per ricordare quell’autostrada di campagna che passa accanto al cimitero dove sono sepolti i miei genitori. Volevo che il disco avesse delle tematiche di una certa problematicità e che emergesse di tanto in tanto un sentimento di malinconia. Route 19 insieme ad Alicia di Ed Harris, un brano che amo davvero molto, e forse ad un altro paio di blues lenti, ha proprio la finalità strutturale di raggiungere questo tipo di evocazione.” Tra le varie cover realizzate, una tra le migliori sembra certamente essere Shootin’ For The Moon di Sonny Landreth. “Landreth è un grande musicista e sa scrivere anche belle canzoni. La sua slide e l’inconfondibile sapore di Louisiana che porta con sé sono una ventata di aria fresca che non disturbano neanche quando servono a sottolineare momenti esistenziali forti. Nella nostra versione abbiamo smorzato i toni più brillanti, ma abbiamo anche cercato di mantenere lo spirito che l’ha generato.”

Sono passati tanti anni da quando Musselwhite ha lasciato Memphis, la sua città di adozione, eppure il suo stile blues rimanda ancora al Sud. La sua voce profonda e calma e quel modo di suonare l’armonica, ben lontano dai richiami nevrotici della città, fanno pensare a un uomo che ha ancora profondi legami con le radici. “Ho passato la mia giovinezza nel Sud e quindi ne ho probabilmente fatto mia la filosofia. Il tuo stile te lo crei nei primi anni di pratica musicale, poi lo puoi adattare a seconda delle influenze che subisci, ma ti rimane sempre la scintilla che ha fatto scattare l’amore per la musica che suoni. È probabilmente per questo che sono ancora molto legato a Memphis. C’è poi da considerare che se fai parte di una band devi adattarti allo stile che il suo leader propone, ma se sei tu a dare la direzione le cose cambiano, non puoi fare a meno di fare emergere le tue radici.”

Spesso ci si perde in polemiche che mettono in dubbio la sensibilità blues dei musicisti bianchi, ma basta ascoltare Musselwhite per accorgersi dell’inconsistenza dell’affermazione e comprendere che l’espressività dipende più dall’esperienza di vita che da qualsiasi appartenenza di razza. “È un problema che non mi sono mai posto. Io sono bianco, ma ho passato molta della mia vita con la gente di colore: con loro ho lavorato, suonato, gioito, sofferto e non mi sembra proprio che esistano modi diversi per vivere questi sentimenti.”

Charlie Musselwhite è già sulla strada a promuovere Sanctuary. Per il momento si esibisce nei club della California, ma il tour in programma è lungo e prevede anche alcune date in Europa il prossimo autunno. “Mi piace lavorare in Europa, il pubblico è molto interessato al blues, ascolta con interesse e attenzione quello che suono. Ha un atteggiamento più intellettuale di quello americano e la gente mi fa spesso delle domande. Vuole capire e questo è bene”.

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