Stewart Copeland è giunto in Italia per un mini tour. Dovremmo considerarlo l’ex batterista dei Police, ma il grande scoop – da lui stesso reso ufficialmente noto nel corso di una conferenza stampa svoltasi a Milano e introdotta dal nostro Ezio Guaitamacchi – riguarda l’imminente reunion della band. Accadrà il prossimo 10 marzo a New York, in occasione dell’ingresso dei Police nella Rock And Roll Hall Of Fame. Nel tentativo di rispondere a un’inevitabile sfilza di domande che ruotavano attorno all’annuncio, Copeland non ha fatto certo mistero delle difficoltà legate ai rapporti con Sting, non solo il più difficile da convincere, ma anche “irraggiungibile”. È volata qualche battuta ironica – qualcuna davvero al vetriolo, seppur sviata da un sorrisino sulle labbra. Ad esempio: “Sting deve riformare i Police. Cosa fa lì, fermo, ricco e grasso? Scherzo, naturalmente”. E meno male perché se Sting fosse grasso, allora il 70% del genere maschile potrebbe spararsi, dico io.
La fortunata occasione che ha condotto Stewart Copeland in Italia era, in realtà, quella legata al progetto musicale live Orchestralli, realizzato insieme ai bravissimi percussionisti dell’Ensemble Bash, all’orchestra Ueca (composta da 14 elementi tra archi, ottoni, basso e pianoforte) e al sassofonista Amedeo Bianchi. A proposito di questa collaborazione, Copeland ci ha detto di essersi arreso al forte richiamo di un tour italiano dopo un primo concerto a Catania: “Il pubblico italiano è il migliore. Quando mi sono esibito a Catania, insieme ad elementi di formazione musicale accademica inglese e a giovani strumentisti italiani, sono rimasto piacevolmente stupito: i musicisti italiani erano i migliori e mi trovavo a Catania, non alla Scala di Milano o all’Auditorium romano di Santa Cecilia. Per questo motivo sono felicissimo di essere qui. E poi, ho chiamato questa formazione Orchestralli perché mi piace molto come voi lo pronunciate. sembra che stiate cantando ‘That’s amoooooooooore!”.
Jam ha incontrato Copeland durante le prove al Teatro Smeraldo di Milano dove, poche ore dopo, si è esibito nel primo della serie di concerti italiani. Il pubblico lo ha accolto in modo caloroso e lui ha risposto mostrando palese soddisfazione, stringendo mani e rispondendo all’entusiasmo con saltelli e battute tra un brano e l’altro. Dopo l’apertura dell’Ensemble Bash, Copeland è entrato con gli orchestrali e si è seduto alla batteria per mostrarci quanto la sua tecnica sia ancora perfetta. Ma la nota curiosa stava tutta nei brani eseguiti, che suonavano come un mix di George Gershwin e del rock degli anni Settanta. Ogni tanto, chiudendo gli occhi, si potevano riconoscere palesemente i tipici attacchi dei brani dei Police e non solo per una semplice questione di suggestione. Certo, un simile concerto non è di immediata fruibilità. La tendenza è quella di non riuscire a trovare facilmente il bandolo della matassa: un genere troppo contaminato per rientrare nel filone classico-contemporaneo, troppo ricco e sperimentale per rientrare nel rock strumentale. È stato inevitabile, tuttavia, venire contagiati dai momenti più vivaci e sonori della performance, che potevano benissimo entrare in un uno dei tanti musical in cartellone a Broadway o nel West End.
Se si dà un’occhiata veloce al curriculum di Copeland, tutto ciò non stupisce affatto. Dalla fine dei Police, Stewart ha chiuso nell’armadio i panni classici della popstar, ma non si è fermato un solo istante: ha composto circa trenta lavori solisti tra balletti e colonne sonore. Le più note sono quelle dei film Rumble Fish (1983), Wall Street (1987), Talk Radio (1988), Rapa Nui (1984) e il recente Boys & Girls. Tuttavia, la decisione di abbandonare il rock non è affatto definitiva. Nel 1988, insieme a Debbie Holland e a uno tra i più quotati bassisti del mondo, Stanley Clarke, Copeland ha partorito il progetto Animal Logic. Non sono mancate le collaborazioni con grandi artisti del panorama internazionale tra cui Peter Gabriel, Simple Minds, Roger Daltrey, Mike Rutherford, Tom Waits e Zucchero, di cui è nota la collaborazione con Sting. Nel 2000, Copeland ha lavorato alla produzione di un brano all’interno del nuovo album dei Primus e da quest’esperienza è nata la formazione di una nuova rock band, gli Oysterhead, formati insieme al bassista Les Claypool e al chitarrista dei Phish, Trey Anastasio. Sono seguiti un album e un tour americano di grande richiamo. Più di recente, ha suonato coi redivivi Doors.
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Quando abbiamo avvicinato Copeland, gli abbiamo chiesto di approfondire le sue motivazioni e suoi i progetti futuri di artista, con e senza i Police.
Come trascorrerai il periodo di tempo tra Orchestralli e la reunion con Sting e Andy Summers?
Prima di tutto, dovrò darmi da fare per terminare le due colonne sonore dei film I Am David e Dead Like Me, perché non scherzavo quando, in conferenza stampa, ho detto di esser fuggito di nascosto dal regista. È la verità. Sai, quando ti commissionano una colonna sonora, i tempi li gestisci senz’altro tu perché comporre non è un lavoro per cui occorre necessariamente timbrare un cartellino però ci sono delle direttive da seguire ed è bene rimanere in ‘zona’. Devo ammettere, tuttavia, che questa fuga mi diverte molto.
Ripeti spesso la parola “divertimento”: hai dichiarato che continuerai a divertirti suonando vecchie cover dei Doors e, soprattutto, collaborando con Les Claypool e Trey Anastasio. Prevedi date imminenti?
Con gli Oysterhead non si può mai dire ed è proprio questo il bello. Sai, sono due pazzi scatenati. È quel che mi ci vuole perché, con loro, son tornato ragazzino, finalmente libero di improvvisare. Al di là di questo aspetto divertente, negli Oysterhead ho anche migliorato il mio drumming. Coi Doors sono già previste alcune date, che ora non saprei dirti. Sai, noi musicisti siamo sempre un po’ fuori dal mondo e se non abbiamo l’agenda sotto mano è un disastro. Coi Doors, ho accettato di suonare la batteria perché sono stato – e sono ancora – un loro fan ma non mi sento un membro del gruppo, no.
Insomma, è un po’ come se chiedessero a qualunque chitarrista, che magari è stato un fan dei Beatles, di andare a suonare insieme a Paul McCartney e a Ringo Starr?
Esatto, è proprio quello che intendevo. Nessuno direbbe di no ma è altrettanto scontato che nessuno penserebbe di essere un membro dei Beatles.
Visto che parteciperai a più reunion, cosa ne pensi di questo fenomeno un po’ nostalgico, che tra le rock band degli anni Sessanta e Settanta sembra molto in voga? Sinceramente, credi che tutto nasca per fini commerciali?
No, la mia esperienza non è stata così, ma credo anche che in linea generale questo non sia comunque del tutto vero. Mi spiego: se lo facesse solo per soldi, un musicista che ha incarnato un momento storico di grande importanza potrebbe scegliere di cavalcare il suo mito accettando di girare una pubblicità di qualche prodotto. Guarda che nel rock si guadagna bene, ma posso assicurarti che esistono molti altri lavori ben pagati e con minimo sforzo. Credo che molti, come me, lo facciano per passione e per divertimento. In fondo, se hai militato in un gruppo per anni, nulla vieta di poterci tornare. Inoltre, noi tre (i Police, nda) ci siamo ancora tutti, per fortuna.
Proverai a spiegare questo a Sting per convincerlo a compiere il grande passo?
Giuro che, se sarà necessario, mi attaccherò al telefono tutti i giorni e utilizzerò qualsiasi argomento. Da New York, ufficialmente, ci hanno richiesto tre canzoni ma lo show durerà almeno un paio d’ore. Che senso avrebbe, altrimenti?
Ci ha anche invitati Nelson Mandela per il ventesimo anniversario della sua liberazione. Il concerto si chiamerà Sending Out An S.O.S., che sono le parole di Message In A Bottle. Ci saranno gli U2, ma Sting non ha risposto. Lui è l’uomo che può permettersi di dire no perfino a Mandela, lo capisci con chi ho a che fare? Vorrà dire che chiederemo a Bono di cantare Every Breath You Take, che vuoi che ti dica? Dopo aver campionato i suoni di Don’t Stand So Close To Me, uscita nel ’95 come extra-track del cofanetto dei Police, ho spedito il demo a Andy, che mi ha subito risposto: “Hey, divertente! Perché non ne facciamo qualcosa?”. La risposta di Sting devo ancora riceverla, oggi. L’ho chiamato ma tergiversava. Così, da Los Angeles, sono partito per andare a casa sua, in Inghilterra. Ci sono andato in macchina e l’ho convinto. Ho campionato altre sette canzoni dei Police, delle quali vado molto fiero e conto seriamente di realizzare qualcosa con questi brani, in futuro.
Sinceramente, cosa significa per te la musica dei Police?
Quella con i Police è stata una delle esperienze più importanti della mia vita. Io amo la musica dei Police, penso che Sting sia un genio, uno dei massimi songwriter esistenti. Quando lo conobbi, io suonavo coi Curved Air e lui strimpellava in una jazz band del college di Newcastle, ma lo convinsi a fare una svolta. Per cui, vedi, essere una band significa anche incoraggiarsi e sostenersi l’uno con l’altro. Sarà che a me il jazz non è mai piaciuto, mio padre mi costringeva ad ascoltarlo ogni giorno quand’ero piccolo e, per questo motivo, ne sto volentieri alla larga. Però credo che Sting continui ad essere fondamentalmente un jazzista. Sono sicuro, tuttavia, che non avrebbe pienamente sviluppato le sue doti di compositore se fosse rimasto ancorato solo al jazz.
Una volta, sono andata anch’io a casa di Sting, in Inghilterra, e per raggiungerla ricordo di aver attraversato molta campagna brulla. Così, quando tu hai raccontato questo aneddoto, mi scorreva davanti questa immagine: tu arrivi al grande cancello e citofoni. Ti aprono, entri e carichi Sting sull’auto, con una scusa. In pratica lo ‘rapisci’, costringendolo ad ascoltarti guidando nella desolata campagna inglese.
Ehi. ma tu chi sei? Non immaginavamo che qualcuno ci stesse spiando! In verità, ho pensato che la macchina fosse l’unico posto dove non era possibile distrarsi, ma l’ho fatto anche per evitare che saltasse giù con una scusa o che lo chiamassero al telefono. Così, ho messo subito in moto. Ricordo di aver parlato quasi sempre io. Lui, alla fine, mi ha detto: “Semaforo verde, Stu!”. E io ho ottenuto quello che volevo anche se, con Sting, bisogna mettersi d’impegno, è faticoso. Questo, io proprio non lo capisco e mi dispiace. Con Andy, invece, siamo amici. Non abitiamo tanto distanti l’uno dall’altro. Abbiamo iniziato a praticare insieme il tennis ma in questo periodo non lo facciamo più e sai perché? Lui ce l’ha con me e bofonchia sempre in malo modo, dice che non gli tiro mai le palle ‘giuste’. Preferisce giocare col suo maestro. Vedi, il fatto è che Andy è un grande musicista ma è un uomo molto piccolo. In inglese, un tipo con la sua statura viene definito “a Napoleon thing”. Questo è il vero problema, però non bisogna riferirglielo. Altrimenti, addio Police.