Non sono fatto per gli “all you can eat”. Vanno tanto di moda ora, 10/15 euro e puoi mangiare fino a scoppiare, mentina compresa, come il ciccione di “Monty Python – Il senso della vita”. Il problema non è tanto quello della qualità del cibo, non ci voglio nemmeno pensare, ma proprio della quantità e del senso della misura. Ti abboffi, prendi un po’ di questo, e un po’ di quello, ma perché non assaggiare anche quell’altro? E alla fine esci dal ristorante, il più delle volte, pieno, con il livello glicemico che ti oscura la vista, un senso di pesantezza abnorme e la voglia di rimettere tutto ciò che hai mangiato addosso a chiunque ti nomini il cibo. Ecco, Sportify, Deezer, iTunes ecc. ecc. mi fanno lo stesso effetto.
Già il download illegale aveva aperto una breccia in questo tipo di esperienza bulimica (non che io abbia mai scaricato qualcosa, no, me lo hanno raccontato): scarichi, ascolti, e butti, pronto a scaricare qualcos’altro. Non dai il tempo a un disco di entrarti nella testa e sottopelle, a meno che non ti interessi particolarmente perché fatto da questo o quell’artista di cui sei fan giurato. Con i nuovi mezzi di streaming è ancora peggio. Non hai nemmeno l’ostacolo di dover cercare il file pirata, di attendere che venga scaricato. E’ tutto lì. Novità, classici, ristampe, edizioni speciali con tanto di brani extra. E io mi confondo. Ogni giorno c’è un’uscita nuova, che si mescola agli album che ti viene voglia di riascoltare. Un clic e sono lì. E le uscite nuove si accavallano. E’ un po’ come trovarsi chiuso in un negozio di dischi: alla fine nemmeno ti ricordi quelli che sono usciti una settimana prima, travolto dalla voglia e dalla curiosità di spacchettare quelli arrivati freschi freschi di giornata. E così si ascolta male, come del resto si mangia male. Ma in fondo la colpa non è mica del ristorante. Ho capito, mi tocca mettermi a dieta.
12/11/2013
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