ROCK DALLA NUOVA ZELANDA
Down Under anche la musica viene vista a testa in giù. Mentre in America si osannano band quali Strokes, White Stripes e Black Rebel Motorcycle Club, mentre in Inghilterra i Libertines vengono lanciati come i nuovi fenomeni e ovunque il rock’n’roll sembra essere tornato di moda, dall’isolata Nuova Zelanda arrivano due gruppi che ancora puzzano di birra e cantina e che di essere l’hype del momento non sono neppure troppo consapevoli.
I D4 e i Datsuns non hanno nulla della levigatezza dei loro confratelli trendy: i loro giubbotti di pelle sono ancora sporchi di grasso e di carburante, i loro jeans puzzano di alcol e le loro chitarre stridono della stessa forza indomabile delle vecchie garage band. Nella terra dei Maori il mainstream rock’n’roll non ha senso perché qui rock’n’roll significa ancora sporcarsi le mani, ossidarsi l’ugola in postacci fumosi dove la gente ha molta voglia di scatenarsi e pochi grilli per la testa. Essere una band underground non è quindi uno status che riempie la bocca e dà accesso a pretenziose speculazioni pseudo-intellettuali, quanto un modo di vedere ancora il rock come un’energia grezza e onesta, viscerale ed emotiva, creata per trascendere la quotidianità e liberare gli istinti. Se proprio si vogliono fare dei parallelismi, allora la scena neozelandese si trova vicina a quella scandinava che ha prodotto perle quali Hives e International Noise Conspiracy: in paesi dove la vita scorre tranquilla e a tratti noiosa, dove un funzionante welfare state protegge la creatività foraggiando gli artisti con sussidi governativi, ci sono forse ancora il tempo e la voglia di fare passare il business in secondo piano e di affondare le unghie nei suoni sporchi e cattivi del rock’n’roll delle origini. Sentiamo cosa ne pensano i diretti interessati, i D4 e i Datsuns che, giunti in Italia in tour, non vedono l’ora di dire la loro.
(b.v.)
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THE DATSUNS
Di cognome fanno tutti e quattro Datsuns, come nella migliore tradizione delle fratellanze rock: Christian, Matt, Phil e Dolf de Datsun. Ventenni, provenienti dalla Nuova Zelanda, mirano alla riscoperta dell’energia elettrica dei Sonics e degli AC/DC.
Passati per Milano con Gaza Strippers e Hellacopters in un tour che ha accomunato il rock’n’roll di tre continenti (“La musica trascende linguaggi e distanze. Sia Hellacopters che Gaza Strippers hanno capito da dove arriviamo, con quale spirito suoniamo la nostra musica. È un sentimento comune che unisce tutte e tre le band: divertirsi suonando, non certo fare soldi o avere successo, queste sono solo cazzate”, dice Dolf), hanno dato prova di essere una promessa reale e di meritarsi tutti gli elogi con cui li sta ricoprendo la stampa inglese: “Eroi della nuova rivoluzione rock” li definisce l’NME grazie a un disco d’esordio omonimo eccellente e a concerti caldissimi, in cui il frontman Dolf dimostra un’energia incalzante e una vocalità notevole. Disponibile e di bell’aspetto, dal look mooolto anni Settanta (“No, ma è semplicemente che ci siamo vestiti sempre così: ora è di moda, domani passerà e saremo fuori moda, ma noi ci vestiremo sempre così. Prima ci prendevano per il culo per come ci vestivamo”), Dolf è già l’idolo di molte ragazze e stento a credere che la persona che conversa amichevolmente con me sia la stessa che si scatena sul palco.
“Ho 23 anni. Ho iniziato a suonare all’età di 15 anni, quando ho comprato un basso. Suoniamo assieme da sette anni e la musica che facciamo è quello che amiamo anche ascoltare: rock’n’roll di razza. Recentemente ho comprato un disco dei Flaming Groovies, Funhouse degli Stooges in vinile, un disco di Curtis Mayfield, amiamo i Sonics, i Dictators, i Black Sabbath, i DMZ: insomma musica eccitante ed elettrica. Il disco è registrato per la nostra etichetta la Hell Squad, è dato in licenza alla V2 per avere una migliore distribuzione internazionale, ed è la raccolta di nuove e vecchie canzoni comparse nei singoli che abbiamo pubblicato in Nuova Zelanda. Il problema era che andare in giro in tour ci costava troppo: il dollaro neozelandese vale circa mezzo euro. Così la V2 ci ha contattato ed è nata la collaborazione, che ci ha permesso di fare uscire il disco con una grande distribuzione e di continuare ad andare in tour.”
Se pensate che il successo del gruppo derivi dalla distribuzione V2, sappiate che la carta vincente dei Datsuns è l’energia sprigionata sul palco: “Non è certo grazie alla V2 che abbiamo avuto questo ottimo responso di pubblico e critica, ma semplicemente facendoci il culo: suonare bene dal vivo è il miglior modo per promuoversi, per far si che la gente parli di te. L’ufficio stampa della V2 deve solo organizzarci gli incontri, rispondere al telefono, il che è fantastico, ma il grosso lo facciamo noi. Abbiamo concesso la licenza per un solo album, controlliamo totalmente il nostro materiale. In un certo senso un favore lo stiamo facendo noi alla V2.”.
Saccenti? Quanto basta. Anche perché i Datsuns, come hanno dimostrato all’Alcatraz di Milano (si diceva che molti fossero lì per loro e non per gli Hellacopters), se lo possono permettere, al contrario di gente come i The Vines. “Li trovo noiosi i Vines. Non hanno palle. Molto meglio i D4, amici nostri, quelli sì che sono dei rocker seri: dal vivo sanno come intrattenere il proprio pubblico.”
Appena saltano fuori tre gruppi che vengono dallo stesso posto si grida subito al miracolo della nascita di un nuovo movimento musicale, di una nuova scena. “Siamo solo band che fanno musica, non c’è un vero movimento, una scena: io ho iniziato ad appassionarmi di musica vedendo i gruppi dal vivo, in piccoli club, di fronte a me, piuttosto che preso dai video di Mtv o di qualche stazione radiofonica di moda. Ho sempre seguito le band australiane: Bored!, Tumbleweed, Proton Energy Pills, ovviamente i Radio Birdman. Insomma dalle nostre parti c’è sempre stato un certo fermento musicale. Non ci sono solo Kylie Minogue, The Vines o Silverchair, ci sono anche gli AC/DC, cazzo, una delle più grandi e influenti rock’n’roll band del mondo, o no?!”
Entusiasmo e sfrontatezza, capacità di comprendere e fare tesoro delle proprie potenzialità e qualità: pur essendo molto giovane, Dorf si dimostra maturo e saggio nel parlare della propria band e nel modo in cui finora ha gestito le cose. “Siamo un gruppo, abbiamo sempre suonato assieme, se non fossimo stati noi quattro, e solo noi, sarebbe venuto fuori qualcos’altro, non saremmo diventati i Datsuns. Musicalmente stiamo crescendo: le nuove canzoni non sono votate solo al divertimento. Prima i testi venivano fuori accostando parole che suonavano strane o divertenti, mentre ora cerco di scrivere cose un po’ più profonde, o almeno ci sto provando. E poi sto scrivendo anche pezzi miei, più orientati verso sonorità Sixties. Vedrò cosa farne più avanti. Per ora sono completamente preso dai Datsuns.”
(b.p.)
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D4
Amano il rock’n’roll suonato nei pub impregnati di birra, quello che conserva intatta l’energia grezza dei primordi e per questo si dicono ispirati soprattutto dalle vecchie garage band. Ora però i D4 devono fare i conti con un successo inaspettato che dalle cantine di Auckland li ha catapultati sulle pagine di NME e li ha portati a suonare numerosi concerti sold out nella capitale inglese. Il bassista e il chitarrista della band ci parlano di questa piacevole sorpresa.
“In Nuova Zelanda facciamo parte di una piccola scena e perciò siamo molto conosciuti. Non è difficile là distinguersi perché nell’ambiente underground non bazzicano tantissimi gruppi, ma il grande riconoscimento europeo davvero non ce lo aspettavamo. Ci hanno detto che siamo capitati semplicemente nel momento giusto, dove pare esserci un forte rock’n’roll revival. Ci è difficile giudicare un tale aspetto perché non seguiamo le tendenze ma semplicemente suoniamo la musica che abbiamo sempre amato. Abbiamo alle spalle una gavetta di anni, sudata in club di second’ordine e sperimentata attraverso l’appartenenza a diverse band. La scena underground nel nostro paese è ristretta, perché la maggior parte della gente segue i prodotti del mainstream inglese e americano, così capita spesso a noi musicisti di diventare intercambiabili. C’è stato però un momento in cui tutti noi ci siamo trovati a piedi e allora, in una serata ad alta gradazione alcolica, ci è venuta l’idea di fondare i D4.”
Il rock’n’roll del gruppo non vuole essere pretenzioso come quello di alcuni colleghi d’oltreoceano; vuole cogliere piuttosto la primitiva irruenza di un mito come Johnny Thunders (la cover di Pirate Love compare nell’album 6Twenty) e mescolarla con l’urgenza selvaggia delle cose indomabili senza troppe menate mentali. “Per noi la musica deve essere diretta, pura, viscerale, energetica, pericolosa per spingerci continuamente al limite. Quando siamo sul palco ci sentiamo totalmente liberi e ciò ci spinge a non volere barriere. Non ci interessa toccare temi sociali; il nostro è un suono nato dal divertimento e atto a far divertire. Siamo una party band e ci piace parlare di baldorie, motori, sesso e birra. La Nuova Zelanda ha un livello di vita piuttosto alto, nessuno è veramente povero e gli artisti ottengono dei sussidi governativi per mantenere la propria creatività, per cui nessuno sente la necessità di protestare. Le gente è semplice e quando viene ai concerti vuole soltanto having some fun.”
Oltre che dalle garage band degli anni Sessanta e Settanta, i D4 sono ispirati anche da formazioni più nuove. “Apprezziamo molto gli Hijack, ma anche gli International Noise Conspiracy e gli Hives. Crediamo che in Scandinavia esista una scena davvero sorprendente che si è probabilmente nutrita della stessa musica di quella neozelandese.” Ma come sono arrivati questi kiwi della suburbia di Auckland fino al Vecchio Continente? “Avevamo inciso alcuni brani per una piccola etichetta locale che poi ha chiuso. Uno dei manager si era trasferito a Londra e tramite lui abbiamo pensato di espanderci oltre frontiera e ottenuto il contratto con la Infectious. Ora in Inghilterra siamo diventati di moda, ma a noi non interessa. Per i D4 esiste soltanto la buona o cattiva musica, i buoni o cattivi musicisti. Il nostro suono vuole essere essenzialmente istintivo perché ci piace privilegiare l’immediatezza anche in sala di registrazione, ma ciò non significa che i pezzi siano assolutamente non meditati. Vogliamo che ogni brano sia al suo meglio e per questo lo proviamo e riproviamo parecchie volte fino a che non esce esattamente com’è nella nostra testa. Bob Frisbee, nostro amico e produttore, ci ha aiutato molto dandoci preziosi consigli, anche se a volte abbiamo discusso animatamente con lui per divergenze d’opinione.”
Oltre ad apprezzare il vecchio rock, i D4 si dicono cultori del nuovo punk giapponese. “Non è che la scena neozelandese sia così vicina e influenzata da quella giapponese come molti credono. Noi però siamo stati spesso a suonare là e siamo rimasti impressionati dalla rabbia e dallo sperimentalismo dei gruppi del Sol Levante. Provengono da una società molto repressiva, non come la nostra che è estremamente tollerante e libertaria, per cui la loro furia è ineguagliabile. Siamo quindi più catturati dal loro sound che da quello delle band australiane che in generale risulta molto omologato e simile a quello inglese e americano.”
Dopo il tour che li vede in giro per il mondo i D4 si fermeranno quel poco tempo necessario per registrare il nuovo disco, di cui sono già pronte numerose canzoni: “Il prossimo album sarà leggermente diverso da questo perché vogliamo evolverci e sperimentare differenti strumenti. Non credo che ci allontaneremo dal rock’n’roll perché è l’unico suono che ci appassiona veramente e che ci può portare a vestire dignitosamente la nostra uniforme fatta di jeans e pelle nera, ma siamo aperti a nuove esplorazioni. Nel frattempo ce la godiamo: giriamo il mondo facendo la musica che abbiamo sempre amato e ciò non può che renderci felici.”
(b.v.)