23/03/2007

Dave Matthews l’incompreso

sottotitolo

Vi stupireste se dicessi che la Dave Matthews Band è il miglior gruppo rock degli ultimi dieci anni? Ho già avuto modo di affermarlo (proprio dalle pagine di questo giornale) e non mi pento della mia posizione.

Trovo che i cinque ragazzi di Charlottesville abbiano tutto: fortissima identità musicale, spiccata personalità artistica, formidabile originalità stilistica, indubbie doti tecniche, raffinate capacità compositive. Sanno trasformare i loro concerti in piccoli eventi e, al tempo stesso, pubblicano album solidi. Hanno un pubblico eterogeneo ma fedelissimo ma soprattutto, rappresentano una sintesi esemplare della ‘nuova generazione’ di rocker: multirazziali (tre neri e due bianchi), panaculturali (Dave è un ragazzo nato in Sud Africa, cresciuto in Inghilterra e maturato negli States), socialmente impegnati, artisticamente indipendenti (hanno un contratto con la Bmg ma hanno da sempre una loro casa di produzione). Matthews e soci hanno saputo colpire l’immaginario del pubblico americano diventando nel giro di poco tempo uno degli act più ambiti e apprezzati.

Il loro mix artistico-attitudinale è così unico e particolare che diventa difficile trovare influenze precise e metri di paragone sensati. Di fatto, anche per loro (come per alcune altre grandi realtà degli ultimi anni e cito in ordine sparso Ben Harper, Beck, Ani DiFranco, Rage Against The Machine, Nine Inch Nails o PJ Harvey) credo non sia blasfemo affermare che, fossero nati trent’anni prima, sarebbero oggi grandi classici della storia del rock.

Eppure, nonostante ciò, la Dave Matthews Band non ha mai avuto grande successo in Europa. Tanto meno in Italia, dove il gruppo è davvero un affare per pochi intimi.

Sarebbe facile, come capita spesso in questi casi, dare la colpa ai discografici. Non è così: la Bmg italiana ha promosso la DMB nei limiti delle sue possibilità ma purtroppo non è successo granché. Anzi, va pure detto che, contrariamente ad altre esperienze analoghe, il gruppo di Dave Matthews non ha nemmeno raccolto il supporto delle riviste e dei media specializzati che di solito si dimostrano piuttosto sensibili a questo tipo di proposte.

Ho provato a chiedermi il perché cercando di lasciare per ultima la spiegazione più sciocca ma forse, alla fine, più tristemente plausibile. E cioè la stessa, vecchia minchiata che mi sento ripetere da più di 25 anni quando parlo di country music, Harley-Davi-dson, basket NBA o Elvis Presley: “Troppo americani per piacere in Italia”. Intendendo quel “ameri-cano” nell’accezione più negativa del termine. E cioè come espressione di una cultura rozza, pacchiana, consumista. Quasi Sprin-gsteen fosse un raffinato esteta, i rapper di South Central simboli del paci-fismo no-global, Marilyn Manson o i Metallica porta-bandiera di elevati valori socio-culturali. Non scher-ziamo, per piacere.

Diciamo piuttosto che le inusuali caratteristiche stili-stiche della Dave Matthews Band, le stesse che per altro hanno contribuito a forgiarne l’originale identità artistica e sonora, pro-babilmente non sono d’immediata fruibilità per il pubblico europeo. E che forse, qui da noi, l’immagine di “ragazzo della porta accanto” del suo leader/frontman (così amata negli Usa) non ha suscitato emozione alcuna nel pubblico.

Ecco che, a quel punto, anche le altre (oggettivamente formidabili) qualità del gruppo finiscono per passare in secondo piano. Se poi, a tutto ciò, aggiungiamo che il revival della cultura hippie, che in America è stato ed è tuttora un movimento enorme che catalizza milioni di studenti e migliaia di jam band e che ha rappresentato per la DMB uno straordinario bacino d’utenza, in Europa è fenomeno pressochè sconosciuto, arriviamo a spiegare meglio i motivi per i quali oggi Dave Matthews, in Italia, risulta artista incompreso.

Vista da questa prospettiva, diventa ancor più stuzzicante la nuova avventura artistica (l’album Some Devil) che lo vede per la prima volta al di fuori della band.

La mossa di Dave non stupisce. Di fatto, il ragazzo sudafricano da qualche tempo si presenta in pubblico imbracciando l’inseparabile Taylor acustica senza il back up di Boyd Tinsley, Leroy Moore, Carter Beauford, Stefan Lessard. E, in quelle circostanze (come testimoniato, per altro, dal bellissimo doppio cd live del 1999 Live At Luther College in cui Matthews suona in duo acustico insieme al vecchio amico Tim Reynolds) dimo-stra come la musica della DMB sia diretta evoluzione del binomio voce/chitarra.

Il suo timbro vocale (un mix tra Sting, Michael Stipe e Eddie Vedder), le sue interessanti progressioni di accordi, la sua abilità di accompagnare in modo sincopato costituiscono la base di partenza per il laboratorio acustico della band. La cui eccezionale accoppiata ritmica (il basso jazzy di Stefan Lessard e il drumming pirotecnico di Carter Beauford) costituisce il trampolino di lancio per il sound spumeggiante del gruppo contrappuntato dal funambolico violino elettrico di Boyd Tinsley e dai sax del bravissimo Leroy Moore.

L’impatto acustico è talmente trascinante che, a volte, distrae dal valore delle composizioni. Che per delicatezza melodica, senso ritmico e capacità narrative hanno davvero pochi eguali. Ecco perché, da qualche tempo Dave cerca di uscire dal cliché stilistico della DMB e, pur con alcuni errori di percorso (vedi l’idea di togliere la produzione di Everyday dalle mani esperte di Steve Lillywhite e di affidarla a Glen Ballard) gli va riconosciuto il coraggio nello sperimentare strade alternative. Come quella di Some Devil (che lo vede affiancato dall’amico Tim Reyonlds ma anche da Brady Blade, Trey Anastasio, Stephen Harris), un disco certamente di qualità proprio dal punto di vista compositivo.

Qui, infatti, emerge tutta la sensibilità artistica del Matthews songwriter la cui formula ‘tecnica’, di fatto, non cambia. A far diventare diversi i pezzi, sono gli arrangiamenti, eleganti ma meno originali di quelli della DMB. Le canzoni sono però bellissime: 14 tracce, inclusa la doppia versione della incantevole Gravedigger, tra le quali spiccano l’iniziale Dodo, la suadente title-track, l’intrigante Trouble, o la bellissima Oh. Sono tutte rock ballad elettro-acustiche, abbastanza dark, dall’indubbio fascino evocativo. “Sembra Automatic For The People cantato da Sting”, ha scritto qualcuno. E non è andato troppo distante dalla realtà.

Resta da capire se la nuova scommessa di Dave sarà gradita dai suoi fan (e presumo di sì anche se, personalmente, continuo a ritenere lo stile ‘classico’ della DMB assai più interessante). E se la svolta stilistica gli aprirà nuovi mercati, incluso quello del vecchio continente. Vuoi vedere che di colpo il ragazzo sudafricano suonerà alle ‘colte e sofisticate’ orecchie europee meno americano del solito?

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