25/09/2008

David Byrne & Brian Eno

Everything That Happens Will Happen Today, www.everythingthathappens.com

«Mi sono perso, ma non ho paura». È uno dei versi chiave di Everything That Happens Will Happen Today, l’album che riaccende la collaborazione tra David Byrne e Brian Eno ventisette anni dopo My Life In The Bush Of Ghosts. Era il 1981, là fuori c’erano un mondo da catturare e un futuro da presagire. Byrne e Eno lo facevano con audacia da esploratori e freddezza da scienziati. Prima di Internet, dei canali satellitari, della globalizzazione, prima del mondo disponibile à la carte, mettevano assieme un enorme, affascinante, per certi versi inquietante collage di suoni funkeggianti, voci catturate alla radio e suggestioni terzomondiste. Ora è il 2008 e l’irriducibile complessità del mondo non la dobbiamo più cercare là fuori: bussa alla nostra porta. Bussa e fa paura. Per questo Everything è diverso, molto diverso da My Life. E poi l’età dell’audacia è stata consumata. Nell’81 Byrne aveva 29 anni, Eno 33. Erano al picco della creatività e lanciati in una ricerca sonora e artistica senza precedenti. Oggi sono eminenze grigie del rock intellettuale, o se preferite del pop alternativo: lasciano che siano altri a spingersi avanti. Non che si siano arresi alla banalità della comunicazione odierna: sono solo un po’ più vecchi. Ecco perché Everything That Happens non ha la temerarietà, la stravaganza, lo spirito multiculturale di My Life. Eppure, in maniera decisamente più sottile e meno sfacciata, diremmo più convenzionale, i due continuano a confrontarsi con lo spirito dei tempi. Diciamo che canticchiano un altro tipo d’audacia: quella della speranza. «Quando la strada che percorriamo», recita My Big Nurse, «ci riporta al punto di partenza, calcolo tutte le possibilità di ballare in questo pomeriggio pigro». E poi: «Compassione per le cose che non conosco» (Home); «Niente è cambiato ma niente è rimasto uguale e ogni domani può essere ieri» (Everything That Happens); «Catene e sbarre, eppure sono libero» (Life Is Long); «Un cambiamento arriverà, come cantava Sam Cooke nel ‘63» (The River). Pur essendo zeppo di immagini che rimandano a inondazioni e guerra, solitudini e dolore, Everything That Happens somiglia a una carezza di conforto. È un appello: stiamo vicini alle persone che ci circondano, non facciamoci spaventare dal fiume in piena alimentato dall’industria della paura, piuttosto facciamoci confortare da un ragionevole ottimismo e dal calore di altri esseri umani. In un mondo dove il passato rivive ogni giorno e il futuro c’è stato scippato, dove «tutto ciò che accade, accadrà oggi», in un mondo così bisogna lasciarsi «cullare fra le braccia della grande nutrice» che detta «la scienza del cuore a ogni singola pianta ed animale». Andrà tutto bene: Byrne non lo ripete con l’affanno di chi deve convincere se stesso, ma con la consapevolezza di chi si sente parte di un disegno più grande. Non stupiscono perciò i richiami musicali al gospel, non tanto come forma musicale codificata, piuttosto come sentimento e come suggerimento melodico. Parte del fascino dell’album deriva dal modo in cui Byrne infonde vita e spirito in sequenze di note e intervalli ritmici offerti da Eno. Dopo avere succhiato la vita dal suo stile canoro fino a sembrare un automa, negli ultimi dieci anni l’ex Talking Head ha fatto opera di recupero dell’elemento umano nella musica e nello stile canoro. Oggi può permettersi di scrivere canzoni semplici ed emozionanti, ma mai paludate. L’amico piazza sotto la sua voce loop elettronici, sequenze ritmiche ripetitive, suoni d’ambiente, chitarre cariche di eco e delay. Ma – e questo lo ha detto Byrne – Eno usa accordi che nella loro essenza sono folk, da cui la naturalezza con cui le linee melodiche del canto s’appoggiano a queste musiche. Ad accompagnare i due ci sono ottimi musicisti tra cui il co-produttore Leo Abrahams, i chitarristi Phil Manzanera e Steve Jones, il percussionista Mario Refosco, il batterista Sebh Rochford (più un’apparizione di Robert Wyatt al frame drum). Vien fuori un suono ricco di suggestioni dove convivono chitarre acustiche ed e-bow, note sparse di pianoforte e fredde programmazioni, hurdy gurdy e batteria elettronica, ottoni e tastiere. Un suono tutto sommato defilato, ché questo è un disco più di Byrne che di Eno. È pop, ma senza la grana grossolana della roba da classifica. Ha un ritmo pigro e il respiro melodico ampio, con pochi tentativi di serrare i ritmi e venirsene fuori con qualcosa di più carnale e funky (I Feel My Stuff, Wanted For Life, Poor Boy, non i momenti più significativi). Eno lo chiama «gospel elettronico». Noi diremmo che è il Byrne in stato di grazia degli ultimi due album, con un tocco pop in più. Resta da dire che il disco viene venduto solo su Internet, presso il sito www.everythingthathappens.com, in tre versioni: digitale (8 dollari e 99, anche in formato flac); cd e downloading (11,99 dollari più spese di spedizione); in edizione limitata con quattro brani in più e packaging speciale (69,99 dollari). Il downloading è immediato, le spedizioni saranno effettuate a partire dal 30 novembre.
Everything That Happens Will Happen Today riflette la natura dell’ultimo Byrne: contenuti densi in un involucro leggero. Non è un capolavoro, ma è comunque materiale di prima scelta, che non tutti possono permettersi. Dopo averla proposta all’amico David, e non avendo ricevuto alcuna risposta, Brian Eno ha dato la musica di One Fine Day a Chris Martin dei Coldplay. Poi è arrivato Byrne e ha trasformato quel frammento musicale in un delizioso bozzetto etno-gospel-folk. Quando l’ha sentito, Martin s’è fatto da parte: «Non avrei potuto fare di meglio».

Home
My Big Nurse
I Feel My Stuff
Everything That Happens
Life Is Long
The River
Strange Overtones
Wanted For Life
One Fine Day
Poor Boy
The Lighthouse

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