29/03/2007

David Knopfler

Fuori dal corso – Intervista a David Knopfler

Sorride e ammette che l’ultima volta che ci siamo sentiti era “malconcio”. A me sembrava in forma. Magari amareggiato, forse un po’ inacidito, però in forma. Era un anno e mezzo fa. Lui, David Knopfler, ex chitarrista ritmico dei Dire Straits, era nel bel mezzo di una controversia col fratello Mark e l’ex manager di quest’ultimo, Ed Bicknell. Io ero alla ricerca di una bella storia che rendesse più umano, nel bene o nel male, il glaciale Mark. Scoprii così la vicenda di due fratelli accomunati dal buon gusto per la musica, ma divisi da una contesa concernente le royalties dei primi due album dei Dire Straits (vedi la cover story di Jam 64, ottobre 2000). Alle recriminazioni circa il passato si sommava l’incertezza del futuro. La carriera solista del minore dei Knopfler era giunta a un punto morto: nessun nuovo album all’orizzonte, il catalogo introvabile nei negozi di dischi e venduto a pochi affezionati fan tramite il sito knopfler.com, il morale a terra.

Oggi David sembra rigenerato. Afferma senza giri di parole d’essersi “gettato alle spalle quella merda” e che, finalmente, può guardare con fiducia al futuro. Nel suo bagaglio d’ottimismo pesa la pubblicazione di Wishbones, ottavo album solista uscito per l’indie Tru Note (distribuzione Edel) che ne riconferma la bontà d’autore e d’arrangiatore. “Ero arrivato a un punto di non ritorno. Poi è morto un mio amico australiano. Ho pensato: se avessi solo sei mesi di vita, lo farei un ultimo disco, no? Raccolti i soldi e iniziate le prove, tutte le incertezze, i rancori, i problemi sono spariti. In un certo senso Wishbones mi ha salvato la vita.”

Sicuramente gliel’ha migliorata. Arrivato a 51 anni, David Knopfler è il ritratto dell’uomo culturalmente curioso e mordace. Discetta con la medesima padronanza di musica e architettura, cinema e politica. Ha un senso spiccato del proprio ruolo d’artista e una devozione assoluta alla causa della verità. Se non fosse per un senso dell’umorismo piuttosto sviluppato e un certo distacco che alberga nel suo spirito, potrebbe sembrare un moralista. Nutre un profondo disprezzo per i meccanismi che regolano il mondo dell’intrattenimento. “Chi vende è perduto”, dice con assoluta sicurezza. “Dimmi il nome di un artista che ha venduto milioni di copie senza esserne travolto, senza cambiare in peggio. Dimmene uno. A me viene in mente solo Peter Gabriel, il solo esempio di cantante di successo, eppure ancora creativo e dignitoso. Ma anche lui ha pagato un prezzo molto alto: è entrato in analisi.”

David non ha avuto bisogno di terapia. Ha preferito scendere dalla giostra dei Dire Straits quando non ha trovato più divertente il gioco, vale a dire prima della pubblicazione di Making Movies (anche per questa vicenda, vedi Jam 64). Nonostante non abbia da anni rapporti con Mark, alcune sue canzoni sembrano lettere affettuose spedite al fratello. Sicuramente lo era Deptford Days di 5 anni fa, nella quale David ricordava il piacere intenso provato suonando nella stessa stanza con Mark agli albori dell’avventura coi Dire Straits. La nuova A Clear Day (all’inizio di dicembre la canzone più richiesta a Radio Capital, davanti alla coppia Williams/Kidman e a Jovanotti) sembra un’altra lettera d’amore mai spedita. Narra l’incontro tra due fratelli finalmente riconciliati, lasciando intravedere un’alba di speranza, una possibilità di rinascita. Chiedo conferma a David. È l’unica domanda cui si sottrae con un secco “no comment”. Poi si lascia andare a un sorriso che dice più di mille parole.

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Che cos’è un “wishbone”?
È un piccolo ossicino di pollo. Ha questa forma (mi mostra un’immagine del libretto di Wishbones, corrispondente alla canzone Shadowlands, nda). Vedi, ha un doppio valore simbolico. Se spezzi in due l’osso puoi esprimere un desiderio. Inoltre ho scoperto che queste piccole ossa erano utilizzate in prigione: gli scrittori di sinistra imprigionati le usavano per comporre scritti contro il potere e le ingiustizie. Sai, toglievano loro le penne per impedire che si esprimessero. Mi sembrava una metafora appropriata.

Chi ha sottratto la tua, di penna?
Non una persona in particolare. Il problema è che non ci sono più opportunità per esprimersi. Prendi le radio: sono controllate dalle case discografiche, trasmettono solo la Top 40, non c’è pluralismo. Colpa del business.

Ma il business lo manovrano le persone.
Vero. Ma sono i meccanismi che finiscono per stritolarti oppure per controllarti tramite il denaro. Il business non è regolato dalle leggi della creatività. Ecco perché credo che la buona arte venga oramai solo dai margini del sistema. È così anche nel campo della tua professione: nessuno fa più giornalismo investigativo, ci si limita a rieditare i comunicati stampa. Un mio amico fa dei documentari radicali in cui denuncia le porcherie delle multinazionali. Ne ha appena fatto uno sulla De Beers, il colosso dei diamanti. Li ha inchiodati. Ma ci sono voluti anni di investigazione per farlo.

Sicuro che la colpa sia solo del business? Voglio dire, pensi che la gente sia ancora interessata alla musica come forma d’arte?
La gente? Non credo esista una cosa chiamata ‘gente’.

La massa.
Non credo nel famigerato ‘noi contro loro’. Ci siamo noi e un altro po’ di noi. Per risponderti: sarebbe inutile cercare di far piacere la mia musica a un 16enne che ascolta gangsta rap. Pubblico i miei dischi per un pubblico istruito, che può capirli.

Forse un tempo quel pubblico era più vasto.
La regressione è iniziata negli anni Ottanta e ha a che fare con la tecnologia e i video, che hanno permesso ad artisti mediocri ma con una bella faccia di diventare delle star. Ma non è niente di nuovo. Pensa alle porcherie che venivano pubblicate quando Dylan scrisse Blowin’ In The Wind. Pensa a Salieri e Mozart: il primo era la pop star, ma il genio era il secondo. Pensa a Galileo che cercava di convincere i suoi contemporanei che la terra non è piatta.

Parliamo di musica. Converrai che A Clear Day suona alla Dire Straits. Del resto, nell’album compaiono molti musicisti che hanno suonato con tuo fratello.
La più grande concentrazione di Dire Straits nella stessa stanza dal 1984! Non è stata una cosa voluta. Il fatto è che io e Mark abbiamo gli stessi gusti in fatto di musica. Per non dire di Chris Rea (che appare nel brano, nda), che suona un po’ come lui.

Mi sembra che A Clear Day sia una canzone sulla riconciliazione.
È nata dopo una visita a Winchester con mia moglie. Era una splendida giornata. Visitammo un artigiano che lavorava in una chiesa, al piano superiore. Era un bellissimo edificio. Mio padre era architetto e quella era la tipica costruzione che avrebbe amato. Su un muro della chiesa c’era un’iscrizione in memoria dell’eroe locale, un dottore. Recitava, più o meno: non era ricco, ma era un uomo onesto e passò la vita dedicandosi al prossimo.

Che cosa accadde, poi?
Uscimmo a fare una passeggiata lungo il fiume: sarà stata la splendida giornata e quel che avevo visto e letto, fatto sta che percepii che quello poteva essere l’inizio di un nuovo giorno. Una svolta. Per la prima volta sentivo d’essere in grado di mettermi alle spalle tutto. Dissi a mia moglie: sarebbe perfetto se vedessimo dei pesci in un fiume inquinato come questo. Un simbolo di speranza. E proprio in quel momento arrivò una miriade di pesci. Un segno.

A un certo punto nella canzone canti: “Ci incontreremo nella notte, come due sognatori”. A chi ti riferisci?
È una frase valida per chiunque.

Non voglio forzarti, ma sai, i riferimenti ai fratelli contenuti nel testo.
So dove vuoi arrivare. No comment.

Dimmi allora, chi è King Of Ashes, il “re delle ceneri”?
Sono io dopo l’esperienza con la Bmg. Te ne ho già parlato, no? Mi hanno trattato in modo odioso, facendomi sentire come se ci fosse stato qualcosa di sbagliato nel mio lavoro. Volevano far soldi con la mia musica e quando si sono accorti che non era possibile, m’hanno scaricato. È una tendenza diffusa: si adorano gli artisti solo quando sono delle star. Ormai si misura il valore di un cantante in copie vendute. Ovviamente non è così. È come cercare di farmi credere che il Sun è meglio dell’Observer, solo perché il primo vende 5 milioni di copie al giorno e il secondo 400 alla settimana. Per tornare a Galileo, è come cercare di farmi credere che la terra è piatta.

Non dirmi che non t’interessa vendere dischi…
Non m’interessa vendere 40 milioni di copie, perché mi trasformerei in un fenomeno da baraccone come Michael Jackson. È un’esperienza deformante. Prendi Joni Mitchell: il suo Both Sides Now è un album fantastico e la nuova versione di A Case Of You è una delle cose più belle che abbia ascoltato nella mia vita. Ma quanto avrà venduto nel mondo? Due o 3mila copie? Va bene lo stesso. Qual è il problema? Perché mai dovremmo cercare di vendere milioni di copie a tutti i costi? Lowell George non ha mai avuto in fottuto hit nella sua vita, ma questo non rende meno interessante il suo lavoro. Che cosa c’è di così esaltante in un hit? Oggi non ricordiamo più i successi del passato. È merce deperibile, è la spazzatura del futuro. Ci ricorderemo di Bob Dylan, invece.

Non hai mai avuto l’ambizione di comunicare con tanta gente?
No, mai. Non m’interessa. E quando coi Dire Straits ho toccato con mano che cosa significa il successo globale, ho trovato l’esperienza orribile.

Non credi che il favore del pubblico sia gratificante?
No. Un buon lavoro – che sia musicale o giornalistico – sfida le convenzioni. E quindi, per definizione, non verrà accolto con favore dal pubblico. Vincent Van Gogh non riuscì a vendere una sola opera in vita. Quel che conta è essere fedele al tuo lavoro e farlo con onestà.

In tutto l’album, e specialmente nella canzone Jericho, citi i titoli dei tuoi precedenti album e delle tue vecchie canzoni.
Mi piace creare una mia mitologia personale. Non posso fare a meno di creare riferimenti interni al mio lavoro. È anche un modo per mostrare la strada che ho fatto e prepararmi a quella che dovrò percorrere.

Karla Faye è cantata con particolare trasporto.
Karla aveva 10 anni quando la madre la trasformò in una prostituta. Il boyfriend della madre fece della ragazza un’eroinomane. In 12 anni di vita miserabile lo Stato del Texas se n’è fregato di lei, non le ha offerto protezione, non le ha prestato alcuna cura. Del resto, ai tempi, il Texas deteneva il record negativo di spesa sociale, mentre l’inquinamento era ai massimi livelli. Il governatore, lo sai, era l’attuale presidente George Bush. La rabbia e la frustrazione accumulata da Karla Faye esplosero in un gesto terribile: aveva 22 anni quando, assieme ad un complice, uccise due persone. Venne condannata a morte. Passò 14 anni nel braccio della morte. Lì, per la prima volta nella vita, ebbe l’opportunità di redimersi. Lo fece. Tutti, persino il Papa se non ricordo male, chiesero la grazia. Ma George Bush era lanciato verso la presidenza e non poteva permettersi di concederla. Quando annunciò che l’avrebbe fatta giustiziare, dichiarò: “Dio benedica Karla Faye”. Capisci? L’uccise in nome degli enormi interessi che stanno dietro a lui, all’attuale vice presidente Cheney e al padre, l’ex presidente, e poi la benedì. Come per la guerra. L’industria bellica americana non versa milioni di dollari per la campagna elettorale di un presidente per poi non chiedere in cambio nulla.

Nel 1998 si parlò molto di Karla Faye Tucker perché era la prima donna condannata a morte nel Texas in oltre 100 anni.
Ma anche perché diventò cristiana rinata. E non c’era una sola persona in prigione con lei che non considerasse genuino il suo pentimento. Ogni sua azione deponeva a suo favore. La comunità avrebbe dovuto offrirle una seconda possibilità. George Bush lo impedì, perché non è altro che uno stronzetto.

La tua idea di moralità affonda le radici nei valori cristiani? Te lo chiedo anche perché le tue canzoni, specie queste di Wishbones, sono piene di riferimenti a Dio e alla religione.
La risposta è sì. Credo in. in un. Non so esattamente ciò in cui credo. Ma penso che tutte le religioni esistenti siano metafore per qualcosa d’altro che si cela dietro di esse. Dietro tali simboli si trova la cosa più importante e non dovremmo passare la nostra esistenza ad inseguire metafore. Con questo non voglio dire che le metafore non possano essere profondamente toccanti. Andare in cima a San Pietro e davanti al Muro del pianto di Gerusalemme. quelle sono state esperienze straordinarie. Mi hanno trasformato e lasciato senza parole.

Nelle tue note biografiche ricorre per ben due volte l’aggettivo “intransigente”. Sei un uomo che non accetta compromessi?
Non temo d’affermare che scendo a compromessi, ad esempio nella musica lasciando libertà creativa ai miei collaboratori. Ma sono inflessibile quando si tratta dei valori fondamentali. In questo business sei sottoposto a tentazioni. Il diavolo può essere un amico che ti mette la mano sulla spalla e ti consiglia d’essere più accondiscendente. Oppure la gente che ti perdona cose che non avrebbe dovuto perdonarti.

Ovvero?
Sai, quando diventi famoso, specie nel mondo della musica, è un continuo invito a comportarti nel modo sbagliato, ad essere egoista, a trasformarti in uno stronzo. Si chiama manipolazione e non è differente da quel che accade in politica. Lo scopo è lo stesso: fare soldi. Solo che, giorno dopo giorno, la linea che separa il Bene dal Male si fa più sfumata, finché diventa invisibile e tu ti ritrovi alla mercé del potere. Per essere un buon artista, ma anche un buon giornalista, non devi mai abbandonare la tua etica.

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