07/03/2011

DEREK AND THE DOMINOS

Nel nome di Layla

Il 1969, 1970 e 1971 furono anni di coperte troppo corte o troppo lunghe per Eric Clapton. Dalla cocente fregatura dei Blind Faith all’allegro baraccone del duo country-gospel Delaney & Bonnie, alla naturale pressione di un primo album solista, passò a concretizzare giorno dopo giorno l’idea di una nuova band di ispirazione blues. Derek And The Dominos nascono quasi per caso fra le fila degli eventi appena citati: saranno capaci in un arco ristrettissimo di tempo di lasciare un imprinting ancora oggi celebrato e uno dei più grandi riff del rock. Oscurarono in qualche modo il buon lavoro svolto dal sempre più curioso Eric, divennero il best selling act d’America e incisero un album che mostrò le qualità del comprimario di Derek/Eric, Bobby Whitlock, generando una task force compositiva di invidiabile portata. L’alone di alcol e droghe portò però il gruppo su un binario morto servendo ad Eric gli anni a venire, i peggiori della sua vita. «Delaney era un tipo alla James Brown» disse una volta Whitlock «ed era difficile lavorare con lui. Lui e Bonnie litigavano in continuazione davanti a tutti. Perdemmo tutti entusiasmo in un progetto per altro molto divertente».

Whitlock era stato così veloce e intelligente da prendere al volo un consiglio dal suo amico Steve Cropper: «Vai a Londra a trovare Clapton, vedrai che qualcosa accadrà». Racconta il musicista: «Eric fu un perfetto padrone di casa. Passavamo intere giornate a scrivere canzoni e a fare jam. Ci saltò in mente di diventare una backing band per qualcuno. Si unirono Dave Mason, poi Carl Radle e Jim Gordon che erano appena tornati dal tour americano di Mad Dogs & Englishmen».
La band, senza neanche un nome, debuttò il 14 giugno 1970 al Lyceum di Londra. Sorse subito il problema di un nome appropriato e quando Derek And The Dominos venne menzionato (Tony Ashton aveva dato a Eric il nomignolo Derek per tutto il tour di Delaney & Bonnie & Friends ma il soprannome di Eric era pur sempre Del), Clapton esclamò senza mezzi termini «Let’s go for it! It’s a classic!». Il pubblico del Lyceum sulle prime non capì (il concerto era stato promosso come EC & Friends) poi si scatenò un pandemonio.
I mesi prima del debutto e quelli immediatamente successivi non erano stati meno impegnativi per Clapton: aveva continuato a incidere coi Bramlett, aveva chiuso il suo primo album solista e si era impegnato nel nuovo rapporto compositivo con Whitlock, a tutti gli effetti uno sconosciuto. Ma se la fortuna come si suol dire premia gli audaci, Clapton ci aveva visto giusto.
Da agosto ad ottobre 1970 vennero riservati per la nuova band gli studi Criteria Sound a Miami, Florida, i favoriti di Tom Dowd, il celebre tecnico e produttore che tanto aveva dato alle registrazioni americane dei Cream. Dowd si trovava lì per produrre il secondo album degli Allman Brothers Idlewild South. Intanto Whitlock e Clapton avevano elaborato minuziosamente l’idea e l’identità del gruppo. Ecco come la spiega semplicemente e precisamente Whitlock: «L’idea era basica: no fiati, no donne, una semplice rock’n’roll band con i piedi nel blues e nel rhythm & blues. Con Eric avevamo stabilito che io cantavo una strofa, lui ne interpretava un’altra e poi cantavamo insieme, secondo i pattern vocali di artisti quali Sam & Dave che all’epoca amavamo tanto».
Dowd fu l’animatore dell’incontro fra Clapton e Duane Allman che fece svoltare le registrazioni del disco dopo alcuni giorni in cui non c’era una precisa rotta di navigazione. Gli Allman Brothers suonavano a Miami e Dowd invitò Clapton e i Dominos al loro concerto. Sempre Whitlock: «Duane era nel bel mezzo di un assolo quando apre gli occhi, guarda giù, fa una faccia indescrivibile e smette di suonare. Dice (Dickey Betts, nda), che stava accompagnando, capisce che qualcosa sta accadendo – una corda rotta o chissà che – e pensa che forse è il caso di continuare lui il solo. Poi anche Dickey guarda giù ma con fare quasi sprezzante si volta dall’altra parte e continua. Ecco, questo è il primo contatto fra i due».
Le band passarono quella notte in studio fra chiacchiere e jam, una lunga seduta che si protrasse fino alle 6 di mattina che coinvolse – ha ricordato Dowd – almeno tre set di tecnici e decine di nastri analogici. «L’idea di Eric» dice Whitlock «era semplice: inglobare Duane nei Dominos». Clapton era infatti conscio che si trovava meglio quand’era accompagnato da un secondo chitarrista che lo tenesse alla larga dalla routine e Allman era la scelta migliore. Così, quando questi chiese di assistere alle prossime session, Clapton da vero leader gli disse: «Qui si lavora, ragazzo. Presentati con lo strumento». Duane era famoso per la sua tecnica slide, eppure per lui il chitarrista inglese era un esempio e una leggenda vivente, ma la fedeltà al gruppo di appartenenza era, da bravo sudista, fuori discussione.
Le session del 28 agosto 1970 furono piene di scintille, il brano Tell The Truth viene da quel giorno, ma Duane rimase fedele alla band formata con il fratello più piccolo, Gregg. Tell The Truth era una composizione che i Dominos si portavano appresso almeno dal giugno precedente, cioè da quando era stata registrata, più veloce, sotto l’egida produttiva di Phil Spector, durante le session di All Things Must Pass di George Harrison e realizzata come singolo.  Con Duane la band ne incise due versioni che andarono a formare quella che appare sull’album (i due originali interi si possono ascoltare nella rara compilazione del 1972 History Of Eric Clapton).
In pochi giorni in quintetto registrò moltissima buona musica. Al brano Layla venne riservata una cura particolare: registrato in più sessioni, ci si dedicò prima alla prima sezione e solo dopo alla successiva. Preoccupazione di Clapton era costruire un finale adeguato alla potenza del brano. Né un’interruzione netta, né una sfumatura potevano andare: la prima avrebbe diminuito l’intensità della musica, il secondo avrebbe distolto dall’urgenza del testo. Solo quando Eric ascoltò un brano per piano che Jim Gordon stava scrivendo per un mai pubblicato album solista (Gordon aveva a ogni buon conto pubblicato Hog Fat per l’etichetta Flying Dutchman nel 1969) si rese conto di aver trovato ciò che faceva per lui nel mesto canto strumentale che spostava la tensione da un lato all’altro del pezzo, salvandone i contenuti della prima metà.

La registrazione dell’album anch’esso intitolato Layla fu il momento più felice del gruppo tanto da far affermare a Tom Dowd che «sentii di aver realizzato il mio miglior disco dai tempi di The Genius Of Ray Charles».
L’atmosfera estremamente positiva venne però funestata dalla notizia della scomparsa prematura di Jimi Hendrix, l’amico rivale di Eric al quale Clapton e la band solo una settimana prima della morte avevano dedicato una personale versione di Little Wing che divenne una sorta di tributo al chitarrista di Seattle. A Clapton (che oggi ha al suo fianco come secondo chitarrista Andy Fairweather-Low dopo aver avuto calibri quali Albert Lee) non andò giù il rifiuto di unirsi al gruppo da parte di Duane, che peraltro aveva suonato con loro due volte (alla Curtis Hixon Hall, di Tampa, Florida, il 1° dicembre 1970, e all’Onondaga County War Memorial di Syracuse, New York, il 2 dicembre) e continuò a cercare una spalla. Ecco il racconto di Whitlock su un’occasione persa: «Prima di partire per il tour ci recammo a San Francisco per le prove generali. Provavamo in un capannone attrezzassimo dove c’era spazio per molte altre band, dalle emergenti alle più famose come Santana che stava provando il suo terzo album proprio lì. Eric ed io notammo uno straordinario chitarrista 16enne suonare in una band di semiprofessionisti dai quali il giovane si staccava nettamente per maturità e idee. Al bar della sala prove Eric accennò a Carlos dell’incontro, dicendogli che il giorno dopo avrebbe sicuramente assoldato il ragazzo. Carlos attese che il giovane finisse le prove con la sua band, lo pedinò letteralmente fino a casa e si presentò ai genitori per chiedere loro il permesso che il ragazzo, minorenne, si unisse al suo gruppo. Il nome? Neil Schon. Tipica mossa da delinquenti messicani di Mission Street… Mai visto Eric tanto incazzato in vita mia. Lasciammo subito San Francisco».

La tournée di Derek And The Dominos fu un successo annunciato con i concerti del Fillmore East, registrati e infine pubblicati nel 1994, che ci presentano una band in gran spolvero.
Il chitarrista blues Alex Schultz, all’epoca residente al Village ebbe il privilegio di vedere esibirsi tutte le band di Clapton che affollano questa storia: «I Cream erano monumentali, i Blind Faith lasciarono molti dubbi fra i presenti al Madison Square Garden, Delaney & Bonnie avevano un groove fantastico con sfumature gospel da ascrivere a quei due invasati, ma per la prima volta e forse l’ultima vidi in Derek And The Dominos la perfetta band intorno a Clapton. Whitlock stupì tutti per la sua confidenza, Jim Gordon che avevamo già applaudito coi Mad Dogs & Englishmen di Joe Cocker aveva una attitudine rock mista a swing alla Buddy Rich, mentre Carl Radle con un basso che pareva grande due volte la sua piccola figura metteva le fondamenta del sound con riff micidiali assolutamente incastrati al resto della formazione. Tutto girava alla perfezione perché i musicisti si seguivano e si ascoltavano. Ritengo che Eric non abbia mai più suonato altrettanto bene. I concerti del Fillmore che sono su cd lo dimostrano anche se è pur chiaro che l’intera band era full loaded».
Quel che succedeva dietro le scene del tour fece però crescere un profondo senso di paranoia e impotenza nei musicisti. «C’era droga ovunque», ricorda Whitlock, «whisky, droghe pesanti, cocaina, donne e ruffiani. Eravamo tutti giovani. Impossibile resistere, ogni tanto ci fermavamo a riflettere ma un minuto dopo eravamo di nuovo a godere del godibile». Un altro non secondario fattore allentò le maglie della band: «Il disco non ebbe alcun successo. What the fuck! Era il fottuto Layla, Ernesto, non la solita roba. Ma non accadde un bel niente».
Quando il gruppo si ritrovò a Londra per iniziare le session del secondo album tutto scivolò nell’oblio lentamente, silenziosamente, quasi per mutua accettazione. Solo fra Bobby ed Eric volarono parole grosse. «Lui è e resterà per sempre Eric Clapton ma io sono e resto il coautore di un album che è passato alla storia come uno dei più influenti del XX secolo. Diciamo la verità: Clapton non ha mai più avuto al suo fianco un autore di suo pari livello (alla faccia dell’umiltà, nda) e io vedevo scivolare tutto nell’oblio. Diciamo che non ero per nulla contento… Avremmo potuto almeno fare uno sforzo nuovo, diverso, cambiare le carte in tavola».
I due si separarono aspramente. Whitlock ebbe una bella carriera solista con quattro ottimi album all’attivo (Bobby Whitlock del 1972, virtualmente l’ultima registrazione dei Dominos, Raw Velvet prodotto da Jimmy Miller nel 1973, One Of A Kind del 1975, Rock Your Sox Off del 1976). Si ritrovarono solo molti anni dopo grazie alla maestria di Jools Holland che li riunì per una puntata speciale del suo show tv Later With Jools Holland, mentre Radle continuò a fianco ad Eric per anni. Carl morì nel 1980 per una infezione ai reni collegata agli abusi di droghe e alcol. Jim Gordon, che venne dichiarato schizofrenico troppo tardi, uccise sua madre con un martello nel 1983 sulla porta della casa di lei a Hollywood. È stato confinato in un istituto mentale nel 1984, dove ancor oggi resta e da dove gestisce, incredibile ma vero, la sua pagina MySpace. Non ha mai più suonato la batteria dall’omicidio della madre.
Allo scioglimento del gruppo, Clapton si ritirò in forzata clausura per disintossicarsi, apparendo in pubblico solo al benefit per il Bangla Desh il 1° agosto 1971 al Madison Square Garden di New York e nel 1973 per un concerto a lui dedicato al Rainbow Theatre di Londra. Dovette attendere che il brano Layla venisse riesumato nella compilazione The History Of Eric Clapton per vederlo volare in classifica come 45 giri nel 1972 e di nuovo nel 1982, prima di farlo diventare definitivo cavallo di battaglia della sua tournée unplugged. L’atmosfera di progetto incompiuto e l’amaro in bocca per lo scioglimento prematuro di una grandissima band rimase e resta a tantissimi che vedono in Layla And Other Assorted Love Songs l’apice dell’arte del chitarrista di Ripley.

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