22/04/2013

Eels + Nicole Atkins + Puddles Pity Party

Cosa succede se metti nella stessa stanza un clown, una scimmia, una ragazza del New Jersey dalla voce prodigiosa e un branco di uomini lupo?

La prima cosa che vedi è un clown gigantesco. Col vestito da Pierrot, il trucco bianco in faccia, l’espressione triste. Porta con sé una valigia. Dentro c’è un’altra valigia. Dentro alla seconda valigia c’è una terza valigia che contiene kleenek. Perché il clown è triste e piange. Asciuga le lacrime e getta kleenex alle prime file. Dietro di lui, qualcuno si muove in modo animalesco: ha il corpo di una ragazza, con una gonnellina a pois molto anni ’50, e la faccia da scimmia. Il clown è muto, però canta su basi preregistrate. Quando pensi che sia una farsa, il pagliaccio tira fuori una gran voce: potente come quella di metallaro e triste come quella di un cantante country d’altri tempi, capace di mischiare Celine Dion e Metallica senza farsi tirare addosso arance. Il breve show, fra teatrino dell’assurdo, kitsch e vero talento canoro, alla fine conquista il pubblico. Il clown scende in platea con una lanterna e sparisce inghiottito dalla gente.

Loro si chiamano Puddles Pity Party e sono uno dei due opening act degli Eels all’Alcatraz di Milano. L’altra è la cantautrice del New Jersey Nicole Atkins che si esibisce per la prima volta davanti a una platea italiana. Autrice di due dischi, con un terzo intitolato Slow Phaser in arrivo per la fine dell’anno o per i primi mesi del 2014, Atkins ha sedotto il pubblico delle prime file con otto canzoni, per mezz’ora di concerto. Da sola, armata di Yamaha, una chitarra hollowbody simile a una Gibson ES 335, ha riempito l’Alcatraz con storie di bellezza sfiorita e con una voce vibrante ed espressiva che toglie il fiato. Spogliate dagli arrangiamenti originali, le sue canzoni dalle tinte noir e dai suoni cinematici sono sembrate in alcuni casi più puntute e rock, come la viscerale You Come To Me, in altri hanno riaffermato la bontà del songwriting e dell’interpretazione. Si sono ascoltate anche l’inedita Red Ropes e la cover di Crying di Roy Orbison, mentre il crescendo vocale di The Tower ha strappato applausi a scena aperta. Qualcuno, in fondo alla sala, rumoreggiava. Lei è uscita soddisfatta: «Il miglior pubblico del tour europeo».

Poi sono arrivati gli Eels, tutti in tuta da ginnastica nera, tutti (o quasi) barbuti. Con uno schieramento originale: Mr. E davanti col batterista, dietro due chitarristi e un bassista. Sono stati folgoranti. Dal vivo il tono malinconico di molti pezzi svanisce. E il rock semplice degli ultimi dischi assume una verve notevole. Hanno il tiro di un grande gruppo rock-blues, lo spirito “leggero” di una band indie, un songwriting di ottimo livello. E poco importa se la scaletta non ha accontentato tutti. Loro ci mettono parecchia ironia, con E che fa da imbonitore sopra le righe. Siparietto tipico: il cantante che ordina agli altri musicisti di mollare lo strumento e di andare ad abbracciarlo. Ridicolo e divertente. Se ne vanno dopo un solo bis, con l’impianto del locale che comincia a trasmettere musica. La gente sfolla. Dopo una decina di minuti, tornano sul palco e fanno un paio di pezzi col clown che cerca di mandare tutti a casa reggendo un cartello con la scritta «Go home». Scherzi da circo.

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