16/05/2007

Evangeline e la cajun fever

Altro che mal d’Africa: agli appassionati di musica (e non solo a loro) New Orleans e dintorni provocano una sorta di dipendenza fisica. A volte, persino una patologia vera e propria (meglio nota come “cajun fever”, la febbre cajun) che fa segnare un notevole rialzo della temperatura corporea a seguito della spossatezza fisica che subentra dopo un’intera notte di danze ininterrotte.

Lo sa benissimo Ann Savoy, cantante, chitarrista, etnomusicologa e studiosa di cultura dei popoli della Louisiana. Con il marito, il fisarmonicista Marc, leggenda vivente della musica cajun, vive nei pressi di Eunice, in una bellissima casa colonica sempre aperta ai musicisti. Di recente, la Savoy ha prodotto uno strepitoso album (Evangeline Made: A Tribute To Cajun, Vanguard Records) al quale partecipano un’infinità di ospiti prestigiosi. Linda Ronstadt, John Fogerty, Richard e Linda Thompson, Nick Lowe, Rodney Crowell, Maria McKee e addirittura David ‘Buster Poindexter’ Johansen, pensate un po’. Si buttano a capofitto nella trascinante musica delle bayou della Louisiana. Come a dire che non è propriamente necessario essere francofoni o addirittura avere antenati Acadians per suonare e cantare in modo pertinente il cajun.

Ce ne dà dimostrazione concreta il magnifico Richard Thompson (la sua Les flammes d’enfer per chitarra e voce è uno dei pezzi più intensi del disco). Il quale, per ironia della sorte, è un “bloody british”, un maledetto inglese. E cioè un erede di quell’esercito che nel 1755 ha scacciato brutalmente il popolo degli Acadians dalla terra natia della Nuova Scozia (Canada).

La diaspora dei cajun (la parola è una contrazione del termine Acadian che in americano si pronuncia “achégiaen”) è durata parecchi anni sinché i superstiti (sparsi ovunque sulla costa orientale, dal New England al Golfo del Messico) hanno trovato rifugio nelle terre impervie e paludose a ovest di New Orleans così come nelle confinanti e allora disabitate lande, oggi cuore del cajun country.

Lì hanno rafforzato la loro identità sviluppando una cultura autoctona che (insieme a quella degli indiani d’America, dei kletzmer newyorkesi e dei texani che vivono al confine con il Messico) è ancora oggi una delle più ricche e interessanti degli Usa. Anche perché ha saputo mescolare in modo mirabile fantasia latina con pragmatismo americano, passione africana ed eleganza francese in una mélange di suoni, gusti e fonemi assolutamente unica e inimitabile.

La musica, la lingua, la cucina e la letteratura sono la quintessenza della “cajun culture”. Quest’ultima, in particolare, si sviluppa intorno alla figura mitica di Evangeline (non a caso il titolo dell’album tributo di Ann Savoy), eroina dell’omonimo poema del celebre Henry Wadsworth Longfellow. Pubblicato a metà del 1800, il poema narra la storia di due giovani Acadian, Evangeline Bellefontaine (appunto) e Gabriel Lajeunessse. Nati nello stesso giorno e cresciuti insieme in Nuova Scozia, Evangeline e Gabriel coronano il loro sogno d’amore sposandosi poco prima che il loro villaggio venga spazzato via dall’esercito inglese. Costretti ad imbarcarsi su navi diverse alla ricerca di un posto sicuro dove poter ricominciare a vivere, Evangeline e Gabriel si fanno una promessa reciproca: quella di rimanere fedeli l’un l’altra e di continuare a cercarsi sino al ricongiungimento.

Evangeline mantiene il suo voto e insieme a un religioso (il reverendo Felician) passa la vita alla costante ricerca del suo amato. Dopo aver percorso tutta la costa Est ed essere giunta nei territori paludosi della Louisiana occidentale, Evangeline si ferma nel villaggio di St. Martin. Lì per anni, tutti i giorni, si siede sotto una quercia, sulle rive del fiume, pregando per il ritorno di Gabriel. Sino a che, un giorno, in un ospedale incontra un cacciatore moribondo. Riconosce subito in lui l’amato Gabriel: prima di morire tra le braccia della sua amata, Gabriel le sussurra di essergli rimasto fedele.

Il mito di Evangeline è stato raccontato in musica anche da Robbie Robertson (e cantato da Emmylou Harris in The Last Waltz, come i lettori più preparati certamente ricorderanno) così come ha ispirato il nome di uno dei più interessanti gruppi di cajun femminili (le Evangeline, appunto, prodotte a suo tempo da Jimmy Buffet).

Oggi Ann Savoy utilizza la leggenda di Evangeline per titolare questa consigliatissima operazione discografica che sa mixare in modo straordinario pertinenza stilistica, rigore etnomusicologico e interpretazioni moderne dando maggior fruibilità ad una musica sempre trascinante ma troppo spesso sottovalutata. Ascoltate l’esplosiva Diggy Liggy Lo (che qualcuno ricorderà come uno dei cavalli di battaglia della Nitty Gritty Dirt Band o del “ragin’ cajun” Doug Kershaw) qui cantata con la solita, formidabile grinta da John Fogerty. Ma anche la rurale e inarrestabile Ma mule in cui David Johansen dimostra una dimestichezza incredibile con il mondo cajun quasi fosse cresciuto ascoltando la musica dei Balfa Brothers. Oppure un tipico valzer (Arrète pas la musique) cantato con insospettabile perizia da Nick Lowe. E godetevi i duetti tra Ann Savoy e Linda Ronstadt o le delicate ballad acustiche (come Tout un beau soir en me promenant) dalla dolcissima Maria McKee. E non dimenticatevi la brava Linda Thompson, i cui valzerini Je veux plus te voir e Valse de Balfa sono tra le cose migliori del disco. Così come la Blues de bosco (quasi zydeco) di Rodney Crowell, accompagnato da quella cajun all-star band in cui compaiono Marc Savoy e il fraterno amico Michael Beausoleil Doucet che impreziosisce le 14 tracce del disco, firmando lo strumentale Vagabond Special che apre l’album così come la trascinante Two step de prairie soileau.

Tutti i brani sono arrangiati in modo tradizionale (con in evidenza l’accoppiata violino-accordeon) ma con gusto e raffinatezze stilistiche modernissime. Tanto che l’ascolto risulta gradevole anche a curiosi e neofiti senza, mi auguro, scontentare i puristi.

Se è vero, come sostiene Rodney Crowell, che la musica cajun va goduta all’aria aperta e che (come, più modestamente, anch’io dico da tempo) tutte le musiche fortemente connotate dal loro habitat si snaturano quando vengono trapiantate a migliaia di chilometri di distanza, il modo migliore per avvicinarsi a questo universo sonoro e culturale è quello di un bel viaggio in Lousiana (lo sapete che dal 26 aprile al 5 maggio c’è l’annuale, fantastico Jazz And Heritage Festival?). Seguite le indicazioni che trovate sulla guida scritta dai nostri collaboratori Genovese e Pedron. Oppure visitate il bellissimo sito ufficiale Lousiana.com.

Perché, come dice lo slogan pubblicitario dello stato della Lousiana, Come As You Are. Leave Different.

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