20/12/2023

The Sound Of Christmas

Gabriele Marangoni e il fenomeno dei dischi natalizi

 

Lo abbiamo letto recentemente nel testo di riferimento per i tastieristi Rock Keyboard (R)evolution, seguiamo quotidianamente le sue recensioni su Metal.it, ma Gabriele Marangoni non è solo un cultore dei tasti d’avorio o dei muri di suono elettrici. Lo scrittore mantovano ama curiosare in zone di confine. Una di queste è il rapporto tra il Natale e la popular music. Ne ha parlato nel fresco The Sound Of Christmas per Arcana, un libro che mostra un abile lavoro di setaccio, anche con esclusioni importanti (es. i Jethro Tull). Lo incontriamo proprio all’inizio delle festività natalizie.

 

Non sei solo un tastierista appassionato e un metallaro attento alle novità, ma anche un rockettaro dal cuore d’oro, visto che il tuo nuovo libro racconta gli album natalizi. Come mai questa scelta?

È un tema che mi ha sempre appassionato. Ricordo con un sorriso le tante compilation natalizie che giravano per casa quando ero bambino. Ho però cominciato ad approfondire seriamente l’argomento solo negli ultimi anni, incuriosito da un paio di pubblicazioni di Paolo Prato che, come tante altre, si concentravano esclusivamente sulle canzoni di Natale. E allora mi sono chiesto come sarebbe stato scrivere un saggio sui dischi di Natale, regolarmente snobbati dalla critica musicale per motivi che tuttora fatico a comprendere. Ed eccoci qua!

 

Una chiave importante, anzi il fulcro del libro, è nella dimostrazione che i Christmas album non sono solo operazioni commerciali, ma in alcuni casi anche album di valore artistico. Qual è la differenza in tal senso, ad esempio, tra un disco di Michael Bublé e uno dei Chieftains?

Michael Bublé è uno dei fenomeni retromaniaci più fortunati degli ultimi anni e i più importanti crooner del passato – da Frank Sinatra al compianto Tony Bennett – non potevano non avere un holiday album a catalogo. Bublé ha portato avanti la tradizione, condendola con un gusto pop moderno e contemporaneo. Nel caso dei Chieftains il rapporto con la tradizione è invece più personale, con contributi esterni di rilievo – c’è anche Elvis Costello tra gli ospiti di quello che ho definito un “piccolo capolavoro” – e medley degni delle più sacre liturgie invernali.

 

Qual è stato il primo disco natalizio della storia?

Credo che la domanda sia volutamente ambigua (ride, ndr)! Se parliamo di musica colta, possiamo tranquillamente risalire a Palestrina o Di Lasso, che già nel Cinquecento celebravano l’Avvento con composizioni ad hoc paragonabili ai dischi di adesso. È altrettanto curioso che diversi carols che oggi sembrano irrinunciabili – da God Rest Ye, Merry Gentlemen a O Christmas Tree – risalgano più o meno allo stesso periodo. Detto questo, il “punto 0” in ambito popular è sicuramente White Christmas di Bing Crosby, un clamoroso successo del 1942 su cui si è scritto di tutto e che è sfociato nel full-length omonimo tredici anni più tardi, quando l’artista è stato costretto a riregistrare la canzone con lo stesso coro e con la stessa orchestra a causa dell’inutilizzabilità del master originale, “stressato” da un’usura senza precedenti.

 

Dal ’63 al ’69 i Beatles inviavano gli auguri di Natale via Lp ai loro fan. Il rapporto con il pubblico in occasione delle festività è ancora una pratica gettonata o anche nel rock c’è secolarizzazione?

Ricordo che anche i Dream Theater facevano qualcosa di simile. Del resto Mike Portnoy è sempre stato un fan dei Fab Four. Fine della parentesi metallica (ride, ndr)! Ciò detto, non ho una risposta precisa alla tua domanda. È evidente che per un artista ogni occasione è buona per “fare cassa” e un mercato sempre più povero in questo settore impone anche scelte pratiche e poco nobili, incluso un Christmas gift per i fan che può assumere forme diverse, dal singolo all’album passando per il più improbabile accessorio su misura. Ma l’impressione complessiva, comunque, è che l’industria musicale non si libererà mai davvero del Natale.

 

Citiamo alcuni esempi interessanti, a partire dalle correnti. Ad esempio hai dedicato un capitolo agli strumentisti e ai virtuosi. Che tipo di Natale in musica proponevano costoro?

Credo che la categoria strumentale sia quella che conta il maggior numero di pubblicazioni, ma mi riservo di verificare. Di certo anche qui c’è un po’ di tutto, dall’Hammond infuocato di Jimmy Smith alla follia metalcore degli August Burns Red. Emblematico è il caso dei Mannheim Steamroller dell’americano Chip Davis – che il nostro amato Gian Piero Reverberi dovrebbe conoscere molto bene – che dagli anni Ottanta in avanti ha costruito un’intera carriera sulla musica natalizia strumentale abbracciando musica rinascimentale, folk e un pizzico di progressive.

 

Natale rock a tinte hard & heavy. Un divertissement o ci credevano davvero?

Ci credono, ci credono (ride, ndr). Anche quest’anno, tra singoli e album, è stato un discreto bottino per quanto ho visto, dai Bon Jovi a Tarja e Mark Tremonti. Guardando indietro, invece, cito solo il caso della Trans-Siberian Orchestra, che grazie alla sua trilogia natalizia terminata nel 2004 continua a riempire le arene americane nei mesi invernali con spettacoli grandiosi e pirotecnici. Ma anche l’esperienza di Brian Setzer non è da meno.

 

Hai citato un disco che apprezzo molto, ossia We Three Kings delle Roches, che ricordiamo per la collaborazione con Robert Fripp. Esiste un altro modo di cantare il Natale?

Sono felice di aver trovato almeno un disco natalizio che apprezzi anche tu (ride, ndr). Comunque sì, esistono tanti modi di cantare il Natale e nel libro gli esempi sono molteplici. Le sorelle Roche le hai già citate tu, ma penso anche alla sofferta malinconia di June Christy o alla dignitosa disperazione di Odetta. E ancora, perché tralasciare il disimpegno festaiolo della Salsoul Orchestra, l’approccio sperimentale di Tori Amos, la goliardia piratesca dei Ye Banished Privateers o la calda compattezza dei Take 6? Insomma, c’è davvero da sbizzarrirsi…

 

Nella ricerca che hai intrapreso, oltre ad album non menzionati, hai avuto modo di scoprire o riscoprire qualche disco davvero interessante che vuoi consigliare ai lettori di Jam?

Ti ringrazio della domanda perché ci sono diversi dischi che, a malincuore, ho poi dovuto escludere dal libro. Ma mi limito a tre consigli. Un album a cui sono particolarmente legato per motivi personali è Winter Carols dei Blackmore’s Night, un pop dalle tinte folk leggero e orecchiabile che si ferma appena un passo prima di diventare troppo kitsch. Un altro lavoro di rilievo, di tutt’altro genere, è invece The Animals’ Christmas del leggendario Art Garfunkel in collaborazione con Amy Grant, un concept album di pop sinfonico che racconta la nascita di Gesù dal punto di vista degli animali presenti all’evento. Infine, per chi cerca qualcosa di più sfizioso, suggerisco A Music Box Christmas dell’antiquaria americana Rita Ford, con magnifiche registrazioni di alcuni carillon natalizi selezionati dalla sua collezione personale. E prima che tu me lo chieda, no, non sono pentito di non aver inserito The Christmas Album dei Jethro Tull (ride, ndr)!

Gabriele Marangoni - The Sound Of Christmas

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