31/10/2013

Genesis in Italia

Il Circo Massimo era il luogo dove si svolgevano gli antichi spettacoli di Roma, le cui prime installazioni risalirebbero addirittura al VI secolo a.C. Proprio durante i giochi organizzati da Romolo in onore del dio Consus si sarebbe consumato, nella valle del Circo Massimo, l’episodio del ratto delle Sabine. E che cos’è il rock classico, in fondo, se non un grande circo? Non era forse chiamato Rock’n’Roll Circus lo spettacolo del 1968 dei Rolling Stones insieme a Who, Jethro Tull, Yoko Ono ed Eric Clapton?
Forse era scritto da qualche parte che, prima o poi, la splendida cornice del Circo Massimo romano ospitasse un grande show internazionale. E, per inaugurare questa iniziativa, chi meglio della band simbolo del progressive rock, genere più volte accostato, per pacchianeria e per grandeur, proprio agli spettacoli circensi?
C’è qualcosa che non quadra, però. I Genesis, contrariamente ad altri gruppi della loro generazione, non hanno mai esagerato con gli assetti scenici né tantomeno con la pomposità musicale. Inoltre, se è vero che sono stati il simbolo del progressive, di certo se ne sono allontanati a grandi passi da ormai trent’anni. Eppure saranno proprio loro gli artefici della quinta edizione del Telecomcerto romano, che per la prima volta si sposta al Circo Massimo, dopo che le precedenti puntate si sono tenute sullo sfondo del Colosseo e di via dei Fori Imperiali. L’iniziativa, studiata da Telecom Progetto Italia (numero verde: 800511850) in collaborazione col Comune di Roma, è partita nel 2003 con Paul McCartney, proseguendo nel 2004 con Simon & Garfunkel, nel 2005 con Elton John e nel 2006 col double bill di Billy Joel e Bryan Adams.
Lo spostamento è stato dettato soprattutto da esigenze tecniche, poiché il Colosseo non avrebbe potuto alloggiare adeguatamente il faraonico palcoscenico allestito dai Genesis per questo tour del ritorno, il primo con Phil Collins di nuovo in formazione dopo 15 anni. Un palco, e uno spettacolo, che abbiamo avuto modo di vedere una settimana prima dell’inizio del tour vero e proprio a Bruxelles il 4 giugno scorso, in uno show a porte chiuse cui hanno assistito solo 250 invitati.
Lo scenario è quello del grande evento, quale certamente questo tour è a cominciare dall’aspetto commerciale (metà dei concerti erano esauriti con mesi di anticipo): un palco, progettato dall’architetto Mark Fisher, lungo 70 metri, dalla copertura asimmetrica e con una pedana anteriore dove si avventura spesso Collins, sovrastato da sette bracci di luce (opera del mago Patrick Woodroffe) di lunghezza variabile. Alle spalle della band, un megaschermo composto di una miriade di quadratini in pixel dove i movimenti dei musicisti si alternano a immagini e filmati a commento visuale delle singole canzoni. Alle due estremità, altri due schermi ovali dove è possibile ammirare i primissimi piani dei musicisti o degli strumenti di volta in volta protagonisti.
Ma che dire della musica? Non avendo un nuovo album da promuovere, i Genesis pescano in maniera più varia del solito nel loro repertorio. Persino i fan dell’era Gabriel potranno dirsi moderatamente soddisfatti grazie alla presenza di Firth Of Fifth (solo la parte strumentale) sfumata in I Know What I Like, a una Carpet Crawlers integrale (stranamente collocata come ultimo bis) e a In The Cage che, previo un medley strumentale che include estratti da Cinema Show e Duke’s Travles, approda a Afterglow. Molto consistente la fetta di estratti dal primo periodo post Gabriel, da una Ripples integrale a Los Endos (preceduta da un duetto di batteria di Collins e Thompson), da Follow You, Follow Me e Turn It On Again e dall’inattesa apertura di concerto, costituita da Behind The Lines e Duke’s End, entrambe in versione strumentale. Immancabili ovviamente i grandi hit dell’ultima fase, seppure talvolta frazionati da brani più ambiziosi. Così a Mama si alterna Home By The Sea, e ai tanti estratti pop da Invisible Touch (il brano omonimo, Land Of Confusion, Throwing It All Away) si affiancano cose meno immediate come Domino e una short version di Tonight Tonight Tonight, chiudendo con i grandi successi del 1991 No Son Of Mine, Hold On My Heart e I Can’t Dance.
Un misto di vecchio e nuovo non sempre esaltante, ma certamente meglio delle deludenti previsioni iniziali, senza considerare l’ottima forma tecnica della band. Il batterista Chester Thompson e Daryl Stuermer, chitarrista e all’occorrenza bassista, sono ormai due pilastri del Genesis sound, con i quali (a eccezione del Calling All Stations Tour) suonano, rispettivamente, dal 1977 e dal 1978. Tony Banks si conferma il principale solista dei Genesis di ogni tempo, con eccellenti assolo su In The Cage e Cinema Show, mentre Mike Rutherford, pur con qualche occasionale tentennamento in fase solistica, riprende in mano una chitarra a doppio manico per la prima volta dal tour del 1984, mostrando di aver già riacquistato confidenza con le elaborate parti di basso del passato. Resta Phil Collins, solito impeccabile uomo di scena, ancora capace di danzare una tarantella percuotendo un tamburello su I Know What I Like, di suonare da par suo la batteria negli strumentali e di cantare molto bene, pur col trucchetto dell’abbassamento di tonalità di diverse canzoni.
Va tenuto conto che quella a cui abbiamo assistito era ancora una data di prova; non vi è dubbio che quando la band salirà sull’imponente palcoscenico del Circo Massimo, a chiusura di un tour europeo di 22 date, tante piccole spigolosità saranno definitivamente appianate. E così, prima del tour americano che riprenderà a settembre, saremo proprio noi italiani a godere di una performance sicuramente da ricordare anche per la straordinaria cornice naturale e di pubblico (le previsioni parlano addirittura di un milione di potenziali spettatori). D’altro canto, la sinergia fra i Genesis e il pubblico italiano non è certamente storia di oggi.

È proprio l’Italia a dare agli allora giovanissimi e ancora sconosciuti Genesis – parliamo del 1972 – una spinta fondamentale per diventare quello che sono stati per così tanti anni e, per molti versi, sono ancora oggi. Al tempo, i Genesis hanno già pubblicato tre dischi, From Genesis To Revelation, Trespass e Nursery Cryme, nel quale nella formazione, al cantante Peter Gabriel, il tastierista Tony Banks e il bassista-chitarrista Mike Rutherford, si erano appena uniti Phil Collins alla batteria e Steve Hackett alla chitarra, quest’ultimo in sostituzione del primo chitarrista Anthony Phillips.
Nonostante, a parte l’acerbo esordio, i Genesis abbiano realizzato due dischi straordinari, sembra che il pubblico inglese non sia ancora pronto a una proposta musicale di tale portata: una musica sofisticata e colta, dalla forte influenza classicheggiante, mai pomposamente barocca. In una intervista del 1990, Phillips dichiarava: “Noi eravamo molto naif, giovani e immaturi, cercavamo di far accettare le nostre canzoni, ma quello che accadeva è che la gente parlava e gridava durante i brani più calmi e sommessi. All’epoca non suonavamo in sale da concerto, ma in club o università, e per catturare l’attenzione era necessario suonare forte”.
Per la band rappresenta dunque una provvidenziale boccata d’ossigeno l’interesse genuino del pubblico italiano, di una attenzione e un rispetto unici. Sembra impossibile avendo negli occhi le immagini di oggi, in cui la gente sembra interessata più ad arti nobili come il pogo che alla musica, ma lo dimostra un breve filmato della Rai, girato al Piper di Roma nell’aprile 1972, dove al di là delle pur straordinarie immagini d’epoca la cosa più interessante da analizzare è forse proprio il comportamento del pubblico: tutti seduti, tutti concentrati con lo sguardo fisso rivolto al minimale palcoscenico, che mostra i quattro musicisti aggrappati ai loro strumenti e Peter Gabriel, al centro, con la sua tuta nera e il suo magnetismo, che canta Stagnation.
Il concerto romano si giova dunque nientemeno che dell’attenzione della televisione di stato italiana, ma il primo tour nel nostro Paese, nell’aprile 1972, non è tutto rose e fiori. Esibizioni osannate in palasport si alternano a incidenti di percorso e a spettacoli nei posti più disparati, in un Paese, l’Italia, che non ha ancora la cultura per ospitare in adeguate strutture spettacoli rock. Il debutto è previsto al Palasport di Belluno il 6 aprile, ma il concerto viene spostato al campo sportivo di Feltre, dove Peter Gabriel, cantando The Knife, lancia il microfono al pubblico. La data dell’8 aprile di Trieste viene cancellata dalla polizia che non ritiene sicuro il locale. Il giorno successivo i Genesis si esibiscono al Lem di Verona per due spettacoli, quello pomeridiano e quello serale, dove Gabriel dedica lo show ai fan di Trieste. Dopo un solo day off, i Genesis suonano nei palasport di Pesaro e Reggio Emilia. Proprio nel sanguigno capoluogo emiliano la band elabora la musica di Watcher Of The Skies. Il concerto del giorno 13, previsto a Cuorgnè, provincia di Torino, nientemeno che in un dancing (il Due Rotonde), viene funestato da un malessere gastroenterico di Tony Banks, costretto a interrompere più volte lo spettacolo e infine portato in ospedale, mentre i quattro compagni riescono appena a suonare un altro paio di canzoni prima di mandare tutti a casa.
I fan lombardi si catapultano il giorno 14 a Pavia, presso il cui Palasport i Genesis suonano due concerti, uno dei quali poi pubblicato su bootleg. Ancora due concerti la sera successiva nel locale Hit Parade di Lugo di Ravenna (anche questo disponibile su bootleg), mentre poco si sa delle due date successive, Travagliato il 16 e Siena il 17 aprile. Il gran finale per i Genesis arriva col già citato concerto al Piper di Roma del 18 aprile, cui segue, il giorno dopo, la prima esibizione in un vero e proprio teatro, il Mediterraneo di Napoli. In entrambe le circostanze i Genesis fanno due spettacoli, e proprio nell’albergo partenopeo dove sono alloggiati Tony e Mike scrivono le parole di Watcher Of The Skies.
Il tour dell’aprile 1972 è una spinta eccezionale per i Genesis. Richard Macphail, sesto Genesis per tutto il periodo aureo (autista, roadie, tour manager e consigliere primario) così racconta l’esperienza dei concerti italiani: “Furono incredibilmente importanti. Il successo in Italia fu cruciale per la fiducia della band perché i fan italiani capirono subito i Genesis dai primissimi passi. Una cosa che mi piaceva tanto era che la gente applaudiva in mezzo ai brani per ragioni non chiare. Lo facevano tutti. Capivano cosa fosse la band a livello emozionale. Non era come un concerto jazz, dove la gente applaude dopo un assolo. Era un periodo di un’importanza straordinaria. Era come suonare a gente che capiva quello che io avevo capito io tanto tempo prima. Erano gente speciale e l’Italia è un Paese favoloso. Ci siamo divertiti tantissimo. Maurizio organizzava i concerti, arrivavamo in mattinata a prepararci e poi lui ci diceva ‘mangiare’ e conosceva sempre questi ristoranti magnifici, dove gustavamo questi pranzi incredibili per poi barcollare all’hotel a fare un pisolino e poi andare al concerto…”.
Il Maurizio cui si riferisce Macphail è Maurizio Salvadori, che abbiamo raggiunto nell’ufficio milanese della sua agenzia Trident. “Avevo visto i Genesis suonare al Marquee di Londra nell’autunno 1971. Scritturai immediatamente sia loro che i Van Der Graaf Generator, nonostante nessuno dei due avesse ancora i dischi pubblicati in Italia. Ne parlai con la Polygram e nel giro di quattro mesi entrambi erano nei primi dieci posti in classifica! I Genesis giravano con due Ford Transit insieme a tre tecnici che montavano gli strumenti. Erano tempi da pionieri, che poi era il bello di questo lavoro. Tutte le sere cenavamo assieme, al pomeriggio si andava in spiaggia a giocare al calcio… Ricordo che spesso Phil Collins, per i trasferimenti da una città all’altra, preferiva viaggiare con me sulla mia moto Honda 650”.
L’Italia vive un momento musicalmente esaltante grazie alla passione dei singoli. “A pensarci oggi fa ridere” riflette Salvadori, “ma ricordiamoci che il primo tour negli stadi fu quello del ‘79 con Dalla e De Gregori, che era supportato dalla CGIL. Nel 1972 invece si andava avanti col volontariato: non c’erano transenne, né piani di sicurezza, niente servizio d’ordine…”.
Nel tour italiano vengono suonate canzoni inedite come Twilight Alehouse e Going Out To Get You (quest’ultima resterà tale addirittura fino al 1998, peraltro in una versione precedente ancora con Phillips alla chitarra), oltre ad un brano chiamato Bye Bye Johnny che poi si trasformerà in Can-Utility And The Coastliners.
Quando Salvadori riporta i Genesis in Italia, appena quattro mesi dopo, Foxtrot è quasi pronto. È l’agosto 1972 e il secondo tour tricolore dei Genesis avviene in località turistiche, da Fano a Rimini, da Genova a Viareggio. Anche in questo caso non mancano le difficoltà (la data di Rimini, che avrebbe dovuto aprire il tour il giorno 14, viene posticipata invece al giorno 23 poiché il furgone con la strumentazione non arriva in tempo), ma l’entusiasmo del pubblico nostrano ripaga qualche lacuna logistica; i concerti doppi si sprecano, così come le chicche. A questa categoria appartengono le esecuzioni più uniche che rare di Harold The Barrel a Viareggio il 20 agosto e di Seven Stones a Genova il 22.
“Erano veramente dei gran bravi ragazzi” ricorda Salvadori, “di una simpatia e amicizia davvero totale che ci lega ancora oggi. Per loro io rappresento il primo tour fuori dall’Inghilterra, le prime emozioni forti; loro per me rappresentano il primo successo. Mi viene in mente il matrimonio di Peter Gabriel a Londra: anche se all’ultimo momento non potei andare, mi fecero vedere queste foto dove i Genesis indossavano dei tight a noleggio, perché Peter se ricordo bene sposò la figlia di una dama di compagnia della regina, per cui al ricevimento c’era questa schiera di personaggi perfettamente nei loro panni, e altri totalmente a disagio”.
Nel tour estivo, fra l’altro, prima dei Genesis suonano due band italiane, i Jumbo e gli Osanna. Proprio il leader di questi ultimi, Lino Vairetti, ricorda: “Avevo visto i Genesis a Napoli quattro mesi prima e, entrando nel teatro, mi accadde qualcosa che non mi è mai più successo, cioè che la musica mi prese in maniera talmente intensa che fui costretto a uscire dalla sala: non reggevo tanta emotività! Fu bellissimo poi dividere il palco con i Genesis, ci stimavamo e apprezzavamo a vicenda, e credo che Gabriel rimase colpito dal fatto che gli Osanna salissero sul palco con i visi pitturati”.
È il 1972, dunque, l’anno in cui nasce il grande amore fra i Genesis e l’Italia. Un amore che crescerà ancor più negli anni a vanire, anche se purtroppo diminuiranno considerevolmente i concerti, dapprima per la crescente popolarità per la band, poi per problemi extra musicali.
Il tour di Foxtrot è quello che comincia a spingere la band più in alto anche a livello internazionale. Nel mese di gennaio 1973, dopo importanti esibizioni in Francia e Germania, i Genesis tornano nel nostro Paese per due soli concerti, ma dall’importanza epica. L’idea del discografico Tony Stratton-Smith di fare esibire tre band della Charisma (Capability Brown, Van Der Graaf e Genesis) in un’unica serata si rivela vincente. Al concerto a Reggio Emilia del 20 gennaio sono presenti 8 mila persone entusiaste. Due giorni dopo, al Palaeur di Roma, gli spettatori paganti sono addirittura 18 mila. Una cifra abnorme per una band che, a quel tempo, è ancora semisconosciuta in patria. “Un giorno suonammo a Roma davanti a migliaia di fan” conferma Richard Macphail “e al ritorno in Inghilterra suonammo in un club seminterrato a Petersborough davanti a 25 persone disinteressate. Il contrasto era incredibile”.
L’interesse inglese è comunque ormai davvero questione di settimane. Le cose cambiano infatti radicalmente anche in patria a partire dal mese di febbraio 1973, grazie a un tour teatrale dove Gabriel porta alle estreme conseguenza il suo trasformismo.
Dopo la pubblicazione di Selling England By The Pound i Genesis tornano in Italia nel febbraio 1974. È ancora una volta simbiosi totale con il pubblico nostrano. Quattro i concerti previsti, dal 3 al 6 febbraio (Torino, Reggio Emilia, Roma e Napoli), tutti baciati da un enorme successo con i Palasport pieni. Successo che sembra preludere a una grandiosa parentesi per l’ultimo album con Gabriel in formazione, il leggendario The Lamb Lies Down On Broadway. I Genesis contano tanto sull’Italia, che come sempre accoglie a braccia aperte il pur ostico doppio concept. Dal 14 al 24 marzo 1975 i promoter italiani stanno pianificando un numero di concerti oscillante fra otto e undici. Purtroppo in quegli anni l’Italia vive una difficile stagione politica, con alcune frange estremiste che propagandano l’idea che la musica debba essere gratuita. Il rischio di incidenti dovuto all’altissima tensione induce ad annullare tutto il tour italiano dei Genesis ad eccezione della data al Palasport di Torino del 24.
È così che, per l’Italia, cala il sipario sui Genesis era Gabriel, ma anche, simbolicamente, su una stagione di straordinari concerti. I continui incidenti, anche gravi, provocati dai contestatori che si verificano nel corso di tour di artisti come Lou Reed e Santana, fra i tanti, causano una chiusura sempre più netta, col risultato che l’Italia per oltre un lustro sarà virtualmente tagliata fuori dal planning dei grandi tour internazionali.

E così che il nostro Paese deve seguire a distanza tutti i cambiamenti che avvengono in casa Genesis: la partenza di Gabriel prima e di Hackett poi, la trasformazione in band pop e il grande successo commerciale. I Genesis che finalmente tornano da noi, ad oltre sette anni dal Lamb torinese, sono virtualmente un’altra band, con Collins cantante e i nuovi Thompson e Stuermer. Quello che non è cambiato è il rapporto col pubblico: dopo una data strana al Festival dell’Unità di Tirrenia, i Genesis di Collins fanno un bagno di folla con due concerti sold out al Palaeur romano, il 7 e l’8 settembre 1982. Phil inneggia all’Italia campione del mondo, ma il delirio dei presenti è molto più concentrato sulla riproposizione integrale di Supper’s Ready che sulle gesta della squadra di Bearzot.
Dopo qualche anno di pausa (il Mama Tour è consacrato all’America, con l’eccezione di cinque soli concerti europei, tutti a Birmingham), i Genesis tornano in Italia nel 1987. La band ha pubblicato da poco il fortunatissimo Invisible Touch e i risultati sono altrettanto incoraggianti dal vivo. Nel nostro Paese Banks & C. suonano in due stadi, riempiendo tutto il Flaminio di Roma e buona parte di San Siro il 17 e 19 maggio.
Nessuno può saperlo, ma quello milanese rappresenterà l’ultimo show dei Genesis con Collins prima del Telecomcerto di vent’anni dopo. Nel tour successivo a We Can’t Dance, infatti, la band programma un concerto allo Stadio delle Alpi di Torino per il 18 luglio 1992. Un imprevisto sciopero dei camionisti francesi mette i Genesis nelle condizioni di dover cancellare una data; la scelta ricade comprensibilmente su quella che ha venduto meno in prevendita: 12 mila biglietti, una cifra discreta eppure troppo bassa per uno show che raccoglie sold out dovunque.
È così che l’ultima apparizione dei Genesis nel bel paese diventa il Calling All Stations Tour, con Ray Wilson nello scomodo ruolo di sostituto di Phil Collins. Il tour americano di supporto a quel disco viene soppresso, e anche in Europa avviene un peraltro inevitabile ridimensionamento. I Genesis vanno ancora fortissimi in Germania, ma i tre concerti italiani (dal 17 al 19 febbraio 1998, rispettivamente Bologna, Roma e Milano) sono programmati in palasport, che per giunta non si riempiono neppure. Un ultimo tour, dunque, in chiave un po’ dimessa per una band che ha sempre avuto straordinarie affermazioni in Italia. Il momento del riscatto è questione ormai di ore, grazie al Telecomcerto.

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