31/10/2013

Ginnastica rebetika

Una passione musicale nata anni fa. Un disco registrato nel 2007, più volte annunciato e mai pubblicato. Fino ad oggi. Vinicio Capossela presenta il suo nuovo lavoro e ci conduce per mano nell’affascinante mondo della musica rebetika. Direzione: Grecia

Tocca a te» le disse il mangas.
«Da sola? Non posso!».
«Avanti!».
Marìka spalancò gli occhi davanti a sé. Rivide suo padre, mentre la batteva cattivo con la cinghia dei pantaloni. Rivide sua madre, picchiata selvaggiamente, che cadeva a terra ed esalava l’ultimo respiro. La musica era solenne. Il ritmo ossessivo. E lei cominciò a cantare.

L’essenza della musica rebetika si trova tutta qui, in una delle scene più intense di Rembetiko, film del regista Costas Ferris del 1983. La pellicola è dedicata alla vita di Marìka Ninou, espatriata di Smirne durante la Prima guerra mondiale e diventata poi, negli anni ’30-40, una famosa cantante di rebetiko. Musica per i vinti, per chi vive ai margini, per chi non ha nulla da perdere: una specie di blues urbano del Mediterraneo, una musica di confine – tra il Peloponneso e l’Anatolia – che racchiude elementi provenienti da diverse culture, e per questo estremamente coinvolgente e affascinante. Ecco cos’è, in sostanza, il rebetiko.
«Hai visto il film?», mi chiede Vinicio mentre armeggia intorno a un impianto stereo. La nostra chiacchierata sarà accompagnata da un sottofondo musicale adeguato all’occasione. «Da subito ho avuto la sensazione di una musica che definisce un modo di sentire», mi dice, ricordando il suo primo incontro con questa cultura musicale. «In realtà, è un mondo vario per essere una musica urbana popolare. Rebetiko è una parola che contiene tante altre accezioni. È come dire blues, una musica che ti fa sentire subito il bisogno di accendere una sigaretta». L’incontro con il rebetiko per Vinicio risale a molti anni fa, precisamente al 1998, un anno cruciale per la sua carriera da molti punti di vista. «Le musiche per me si fanno trovare. Nel periodo in cui lavoravo con la Koçani Orkestar, ho fatto un viaggio avventuroso. Ero diretto alla festa di San Giorgio degli tzigani, ma arrivammo a Salonicco e per sbaglio mi capitò di entrare in uno di questi locali dove si suona ancora oggi il rebetiko». Il racconto concitato di quell’esperienza è immortalato ne Il girone dei rebetici, capitolo contenuto nel libro Non si muore tutte le mattine (Feltrinelli, 2004). «Spesso le cose si scoprono per errore» ragiona «e gli errori aprono delle possibilità, ti fanno finire in luoghi inaspettati. Ed è un disco nato così, come le sigarette di importazione, che arrivano da un altro Paese. Dovevano arrivare da un altro Paese».

Il rebetiko è un genere musicale relativamente recente. Nel libro Canzoni rempetike (1968), lo scrittore greco Ilias Petropoulos individua quattro momenti fondamentali della sua storia: il primo, dalla fine dell’Ottocento al 1922; il secondo (detto «periodo del dominio di Smirne») dal 1922 al 1932; il terzo (periodo classico) dal 1932 al 1942; il quarto (periodo della popolarità) dal 1942 al 1952. Oggi, per la particolare congiuntura economica, sociale e culturale che la Grecia sta vivendo, il rebetiko è tornato ad essere un genere molto richiesto, soprattutto nei club delle grandi metropoli urbane. «Nel rebetiko ci sono delle canzoni d’amore straordinarie», spiega Vinicio. «La cosa bella è l’estrema verità con cui si dicono le cose. Oggi è difficile che si scrivano nuovi pezzi di rebetiko, perché la gente è cambiata. C’è un grande repertorio storico, musica che non è stata scritta per diventare famosa; è stata scritta per tirare fuori qualcosa da dentro, per cui i testi sono quanto di più diretto ci sia. Il concetto è: puoi essere una prostituta, un criminale, puoi aver ucciso; l’importante è che sei uno che dice la verità in mezzo a un mondo di bugiardi. Sono cose che possono riguardare l’amore, come l’essere in una prigione. Spesso riguardano la droga. Il modo in cui lo canti è estremamente diretto, con immagini poeticamente molto forti».
Il rebetiko non è solo musica da suonare e cantare, è anche da ballare. Da soli o in gruppo, è ginnastica: da qui la seconda metà del titolo del disco, Gymnastas, termine azzeccatissimo preso a prestito da una canzone del poeta russo Vladimir Vysotskij, Utrennyaya Gymnastika, che Vinicio esegue da molti anni in concerto. Una ginnastica, dicevamo, che è esercizio per l’anima e per il corpo.
«Il ballo deve scaturire dall’anima», spiega Capossela. «Nel rebetiko non si balla continuamente, ma c’è solo un momento adatto al ballo. Lo zeibekiko, ad esempio, si balla una volta, però quello è il tuo momento, il tuo ballo. E lo balli con il tuo tempo. Come in Zorba il greco che, pur essendo un film hollywoodiano, esprime quel concetto: che c’è un momento solo per te. Per il tempo di tre minuti, è una musica che ti fa ricongiungere con la tua vita. Come nelle musiche dell’estasi, è un modo di liberarsi di sé e ritrovare sé. E soprattutto sono musiche che non lasciano l’ascoltatore supino, passivo. È una musica in cui spesso chi ascolta conta come chi suona. C’è lo stesso coinvolgimento».

La parità di livello tra chi suona e chi ascolta: questo è anche lo spirito con cui è stato concepito il nuovo disco del cantautore. Non un vero e proprio album di Vinicio Capossela, ma un disco di rebetiko, al servizio del rebetiko. Un veicolo per far conoscere – almeno in Italia – questo genere musicale tornato di grande attualità nel mondo ellenico. «Abbiamo registrato questo disco un po’ di anni fa [nel 2007] e l’abbiamo fatto essenzialmente per amore di questa musica, per avere l’occasione di registrarla. Invece di pubblicare un greatest hits, mi è piaciuta l’idea di risuonare delle canzoni mie più vicine a quel mondo con dei musicisti greci. Poi ho approfittato per registrare altri due o tre brani che avevo scritto da molto tempo e che rientrano in questa poetica della musica dell’assenza e del porto». Insomma, più che un nuovo album, un pretesto per parlare di una musica che lo appassiona. Tanto da indurlo a cedere il passo a un’altra voce: in questo disco, la tradizionale Misirlou è cantata infatti da Kaiti Ntali, carismatica cantante greca dal timbro vocale impressionante, possente e androgino. «Beh, ma davanti a Kaiti Ntali non è che cedi… ti devi proprio spostare!», dice lui ridendo. «Misirlou è un pezzo conosciuto per altri motivi, in realtà è un pezzo di rebetiko vecchissimo. Era un’occasione per far sentire alla gente questa grande canzone». Quello a cui fa riferimento Vinicio è la versione rockabilly del 1963 di Dick Dale And The Del-Tones, il re della chitarra surf, diventata trent’anni più tardi il tema principale della colonna sonora di Pulp Fiction di Quentin Tarantino.
L’incontro con Kaiti Ntali, invece, risale al 2007. Nei primi mesi dell’anno Vinicio vola ad Atene su richiesta di Dimitra Galani, una cantante greca molto famosa in patria, che vuole incidere due sue canzoni: Corre il soldato (da Canzoni a manovella) e Non è l’amore che va via (da Camera a Sud). Vinicio non se lo fa dire due volte e ne approfitta per riallacciare la liaison con il suo antico amore musicale: dopo le registrazioni, chiede a Dimitra di portarlo in un locale dove si suona il rebetiko. La cantante lo porta nel quartiere Victoria ad ascoltare Kaiti Ntali: «L’ho trovata straordinaria», ricorda Capossela. «Un incrocio fra la maestosità di Chavela Vargas, il vibrato di Jimmy Scott e l’attitudine rock di Patti Pravo. La gente gettava garofani rossi ai suoi piedi, ma lei pareva altrove, con i suoi occhi chiusi e la sua eccezionale capacità di tenere il palco. Con lei c’era anche un meraviglioso suonatore di bouzouki, un monumento di pietra con due baffi da vero rebetis: Manolis Pappos». Nell’ambiente del rebetiko Pappos è una vera istituzione: nella sua lunga carriera ha suonato per artisti come Theodorakis, Arvanitaki, Xarhakos, Galani, Papazoglou e Ntalaras. In aprile, Vinicio invita Pappos a suonare ad Atene per alcune date del tour di promozione di Ovunque proteggi, mentre in agosto lo invita ai Sierra Recordings Studios, sempre ad Atene, dove sono in corso le registrazioni (rigorosamente su nastro analogico) di Rebetiko Gymnastas, insieme al fidato Taketo Gohara e a una manciata di colleghi locali: Kaiti Ntali, Vassilis Massalas (virtuoso di baglamas), Ntinos Chatziiordanou (fisarmonica e farfisa) e Socratis Ganiaris (percussioni). «C’è stata l’idea di ricreare un po’ l’atmosfera evocata dai Buena Vista Social Club, capitanati da Ry Cooder», dice Capossela, «proprio per questa volontà di ridare lustro a un genere dimenticato, confrontandosi con le realtà locali, musicisti di straordinario talento. Un Buena Vista Social Club del Mediterraneo».

Un’altra questione che Vinicio sfiora nella nostra conversazione (per ovvie ragioni di tempo) è ben analizzata in un interessante saggio del giornalista Gianluca Grossi, Le musiche dell’assenza (Arcana, 2012), un lungo viaggio attraverso quelle musiche accomunate dal sentimento che si suole racchiudere nel termine portoghese saudade, intraducibile in italiano con una sola parola. Sono musiche in cui Vinicio si cimenta da anni, di cui è innamorato dall’inizio della sua carriera. Le musiche dell’assenza, «sono musiche che non hanno paura del dolore», spiega Capossela, «che affrontano il dolore con forza e coraggio, senza chiedere aiuto a nessuno, senza dover credere per forza in qualcosa o qualcuno che sta al di là dei nostri sensi, offrendoci, in sostanza, una chance in più alla provvisorietà del vivere quotidiano. Sono musiche che cantano la vita come se fosse sempre l’ultimo giorno. Una lama di gioia al fondo della più avvincente tristezza». Il rebetiko, certo, ma anche morna, tango, fado, la musica Rom: mondi geograficamente e culturalmente distanti, ma accomunati dallo stesso sentire, dallo stesso incolmabile struggimento. Ecco perché, in un disco dedicato al rebetiko, troviamo una canzone di Atahualpa Yupanqui (Los ejes de mi carreta/Abbandonato) e una di T. Gomez-J.C. Isella (Canción de las simples cosas), resa immortale nell’interpretazione di Mercedes Sosa; oltre a Morna, dello stesso Vinicio, e Utrennyaya Gymnastika di Vysotskij. «Questo mio disco è una specie di omaggio alle musiche della pena e dell’assenza, di solito musiche che hanno a che fare con delle città di porto. Una grande autrice greca me ne ha dato una definizione molto bella: “I porti sono per la musica come il polline per i fiori”. Ecco, queste sono musiche di porto, di taverna, di risacca».
Vinicio ha un abbigliamento adatto all’occasione: calzoni ampi tenuti da grosse bretelle. Gli manca solo la giacchetta, infilata su una manica sola, così come la portavano i veri manges del passato: «Il mangas era una figura che stava ai margini, ma che aveva una grande rispettabilità. Essere mangas era il comportamento del rebeta. Avevano un modo di portar la giacca solo da un lato per avere la mano libera per il coltello. Poi diventò un vezzo, un modo di distinguersi. D’altro canto», continua con una punta di fierezza, «chi fa musica è sempre un po’ al confine della rispettabilità».

Essendo un disco suonato “alla greca”, Rebetiko Gymnastas offre ospitalità a una serie di strumenti musicali particolari, come il bouzouki e il baglamàs. Il bouzouki, a dire il vero, è una vecchia conoscenza per la canzone italiana: celebre è infatti l’uso che ne fece Mauro Pagani – che in questo disco, guarda caso, è presente con il suo violino elettrico nella nuova versione di Con una rosa – nell’album Creuza de mä di Fabrizio De André. Il baglamàs è il suo fratello minore, una piccola mandola lunga non più di 60 cm, di probabile origine turca. «Il bouzouki è uno strumento con un’accordatura molto semplice, Re-La-Re, per cui ti metti lì e già suoni», spiega Capossela riguardo al processo di adattamento di questi strumenti alle sue canzoni. «Abbiamo fatto qualche esercizio di trasformazione, una vera e propria ginnastica, perché non si trattava solo di suonare il pezzo con degli strumenti diversi. Scivola vai via, ad esempio, è rifatta con un tempo in 9/8, ed è forse il risultato più radicale; Non è l’amore che va via, invece, è suonata in un’altra tonalità. Un lavoro appena iniziato: se lo facessi adesso per altre canzoni, ora che iniziamo con i concerti, probabilmente sarebbe diverso». A proposito di concerti, gli chiedo qualche piccola anticipazione sul prossimo tour in programma. «Faremo un po’ di date quest’estate, e poi tra novembre e dicembre in locali chiusi… Il disco è stato fatto per questo, per poterlo suonare [con gli stessi musicisti greci che hanno partecipato alle registrazioni]. Ci saranno altri brani con quel tipo di organico. Per l’estate ci saranno anche canzoni dall’ultimo disco, quelle più omeriche, che con gli strumenti a plettro vengono molto bene. Per l’inverno invece sceglieremo un repertorio più ginnico: nei club abbiamo intenzione di mettere un po’ di spalliere, nel senso di una musica che può avere un coinvolgimento molto più fisico, piuttosto che stare seduti ad ascoltare. Seduti ad ascoltare si sta solo se si mangia, sennò bisogna stare in piedi».

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