26/04/2013

Il download illegale fa bene al mercato

Una ricerca UE riabilita la pirateria musicale

E’ passata in sordina, ma la recente ricerca condotta da Luis Aguiar e Bertin Martens dell’Information Society Unit di Siviglia, della Commissione UE, merita di essere riportata all’attenzione, se non altro perché stravolge il paradigma su cui le case discografiche, soprattutto le major, hanno impostato le loro strategie autolesioniste degli ultimi vent’anni.
In pratica, esaminando oltre 16mila utilizzatori di musica on-line di Germania, Italia, Spagna, Francia e Gran Bretagna, analizzando i loro comportamenti e catalogando ogni singolo click sui siti musicali, è emerso che per ogni aumento del 10% dei download illegali, le vendite sul mercato legale aumentano del 2%. Naturalmente, è maggiore sul mercato l’effetto dello streaming legale, stimato tra il 2,5% e il 7% a seconda dell’equazione utilizzata per l’analisi.

“I nostri risultati – spiegano gli autori – suggeriscono che la grande maggioranza della musica consumata illegalmente non sarebbe stata comprata legalmente in assenza degli stessi canali ‘pirata’, nonostante questi costituiscano una violazione del copyright”. Lo studio ha inoltre permesso anche di stilare una carta geografica degli utilizzi della musica digitale. In media il 73% del campione consuma musica illegalmente e la percentuale di chi la ascolta in streaming legali e di chi la compra risulta del 57%. Il 26% dei soggetti studiati faceva parte di tutte e tre le categorie. Quelli più restii al download illegale sono (naturalmente) i tedeschi, che in un mese in media cliccano 6,24 volte sui siti pirata.

La prima riflessione è che gli ingenti investimenti profusi per proteggere la musica (ridicoli quelli adottati presso gli addetti ai lavori) potevano essere destinati altrove, ad esempio nello sviluppo di nuove tecnologie al fine di rendere l’ascolto della musica digitale un’esperienza più simile alla qualità del vinile, piuttosto che un frustrante prezzo da pagare a vantaggio della comodità di fruibilità, che certamente non soddisfa chi ama la musica e non ne favorisce lo sviluppo, anche commerciale (Neil Young lo sta dicendo dalla metà degli anni ’80). 

La seconda riflessione è che perdono immediatamente senso (se mai l’hanno avuto) le fantomatiche federazioni antipirateria, vere e proprie istituzioni parassite che hanno contribuito a succhiare il sangue, peraltro già anemico, alle label in difficoltà. Alcune associazioni di categoria stanno peraltro pensando a una class action, almeno in quei casi in cui, sul filo delle normative, le label hanno inviato missive minacciose con inviti a “sanare” a livello bonario cause che peraltro non avrebbero mai potuto portare avanti, pena l’autodenuncia di violazione della privacy. E purtroppo, molti sprovveduti hanno pagato. 

La terza e ultima riflessione, riguarda la rivincita delle idee nel frattempo perseguita da alcuni lungimiranti artisti, abili manipolatori dei meccanismi della rete che, anziché blindare la propria musica, l’hanno al contrario fatta circolare gratuitamente ovunque, guadagnando in popolarità e divenendo veri e propri fenomeni da contendersi con lauti contratti, per gestirne i tour o gli ulteriori progetti (vedi alla voce James Blake, ma è solo un esempio). 

On demand

Iscriviti alla Newsletter

Vuoi rimanere sempre aggiornato su rock e dintorni? Iscriviti alla nostra newsletter
per ricevere tutte le settimane nuovi video, contenuti esclusivi, interviste e tanto altro!