lan Bedin ed Emmanuele Gardin, duo musicale da diverso tempo, incontrano Marco Penzo, con il quale Emmanuele condivide un appartamento e un gruppo jazz. Un caffè assieme e
l’ideazione di un progetto che affianchi rivisitazioni di canzoni italiane in chiave jazzy e brani propri che guardano a Buscaglione, Arigliano, Tenco e Celentano; il tutto in tre, basandosi principalmente su voce, contrabbasso e pianoforte. Dopo più di 180 concerti insieme in club, ristoranti, teatrini, trattorie, associazioni musicali, musei, palazzi, strade e yacht, il trio si può definire ormai una realtà assodata.
Il magnetofono è un registratore a bobina, diffuso in Italia negli anni ’50. Come mai la scelta di questo nome per il gruppo e il disco?
«La musica del Magnetofono nasce dalla canzone d’autore italiana, che affonda le radici proprio in quegli anni, per fondersi in uno stile musicale esclusivo grazie alle seduzioni di mambo, beguine, charleston, ragtime e alla tradizione cabarettistica brechtiana. Il mix che ne scaturisce è personale, un modo diverso e nuovo per trattare e presentare al pubblico temi sociali e testi evocativi senza la tipica line up rock, riuscendo però a mantenerne il carattere provocatorio. Abbiamo deciso di fermare tutto questo in un disco, recuperando la genuinità di un tempo quando non esistevano tutte le post produzioni e i ritocchi ampiamente praticati oggi negli studi di registrazione».
La vostra musica non si ferma al sonoro; arti teatrali e figurative accorrono a completarla. Da dove nasce questa scelta artistica?
«Per noi la musica non deve fermarsi alla canzone, ma deve acquisire un valore performante, visivo. Nel supporto audio lo trasmettiamo attraverso gli ambienti registrati; dal vivo, invece, con campionamenti e micro scénique, scenette teatrali di stampo contemporaneo, tra le quali ormai è un nostro classico il finto omicidio di una persona scelta a caso in prima fila. Nel cd e nel vinile, la cui pubblicazione è prevista per l’autunno con due brani nuovi al posto della cover Mondo di uomini, ci sono le tavole di Osvaldo Casanova, in arte Oz!, che completa i nostri testi con illustrazioni che esponiamo nei concerti come scenografia».
La gamma timbrica dell’opera contempla suoni emessi da macchine da caffè espresso, tazzine, macchine bottinatrici e rivettatrici.
«Seguiamo molto la musica acusmatica, elettroacustica e contemporanea. I due magnetofonici ci hanno permesso di inserire ambienti registrati professionalmente con microfoni da cinema. I suoni concreti per noi fanno parte dell’arrangiamento, anche dal vivo. Gardin, il pianista, si è scatenato con un pianoforte adattato con nastro adesivo, feltrini, chiavi, sbarre di ferro e reggimicrofoni, un po’ come Cage. I suoni degli oggetti, eseguiti da nostri amici come se fosse una loro firma che sostiene il nostro progetto, sono stati indicati al momento della registrazione contrassegnandone la durata e il valore del loro timbro in secondi».
Il disco riporta il numero di catalogo ALMCD 001 dell’etichetta Il Magnetofono Records. Qualcosa mi fa pensare che il disco ve lo siete scritto, suonato e pubblicato da soli…
«ALMCD sta per Alan, Lele, Marco CD. Ma perché, esistono ancora le discografiche?».
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