La notizia è clamorosa: Clive Davis, il più celebre, il più ambito, il più rispettato discografico del mondo, lascia la presidenza della Arista Records che lui stesso ha fondato 25 anni fa. Non solo: lo fa dopo che lo scorso anno proprio la sua etichetta è riuscita ad infilare una serie di successi strepitosi (grazie agli album di Santana, Whitney Houston, Kenny G e Notorious B.I.G.) raggiungendo il miglior risultato economico della sua storia e superando il budget per il quinto anno consecutivo. Ma anche dopo che lo scorso 6 marzo è stato nominato (unico non musicista) tra i nuovi membri della Rock’n’Roll Hall Of Fame o dopo che il 10 aprile allo Shrine Auditorium di Los Angeles si è svolto un party favoloso nel quale, tra gli altri, si sono esibiti dal vivo Santana, Patti Smith, Sarah McLachlan, Annie Lennox, Carly Simon e Whitney Houston proprio per festeggiare il 25° anniversario della prestigiosa etichetta newyorkese.
Che significa tutto ciò? Che ormai neanche più il fatturato, le copie vendute e il profitto sono sufficienti ad evitare bruschi accantonamenti? Che la crudeltà delle politiche delle multinazionali si sta avvicinando sempre più a quella della Gestapo?
La Arista, è bene ricordarlo ai lettori, fa parte del gruppo Bmg che (a quanto si dice già da un po’ di tempo) sta per assorbire la Sony Music (che nel frattempo si è comperata la Rti Music, l’etichetta discografica del gruppo Fininvest). Così dopo che la Seagram (che possiede la Universal) ha rilevato il gruppo PolyGram e il network America On Line si è pappato in un sol colpo la Time-Warner e la Emi-Virgin, ci si ritroverà tra breve con tre colossi pronti a spartirsi il mercato della musica (Internet incluso, se no che gusto c’è?).
Cosa accadrà quindi nei prossimi anni, è difficile da prevedere. È presumibile che queste strutture mastodontiche attueranno politiche di tagli e riduzione dei repertori in modo da ottimizzare le produzioni. Questo, inevitabilmente, dovrebbe dare il via a una nuova ondata di piccole etichette indipendenti che, come sempre accaduto, innanzitutto avranno più a cuore le sorti dei propri musicisti. Quindi, si muoveranno con più agilità produttiva, con maggiore attenzione ai nuovi trend e di conseguenza con superiore lungimiranza artistica.
Qualcuno mi potrà accusare di eccessivo ottimismo, ma in fin dei conti è sempre andata così. È inutile che stiamo qui a menarcela: anche dal punto di vista economico (se parliamo di medio termine) la qualità paga.
D’altronde, questo è sempre stato il credo di Clive Davis. Almeno, sin da quando nel 1960, poco dopo essersi laureato in legge alla prestigiosa Università di Harvard, viene assunto dalla Columbia come avvocato. Sei anni dopo, è già vice-presidente della holding che nel frattempo ha rilevato la Columbia, la gloriosa Cbs Records. L’anno successivo, 1967, ne diventa presidente.
Pur non avendo un’educazione musicale specifica, Clive ha una straordinaria percezione della creatività, una capacità unica di riconoscere un suono commerciabile e un indiscutibile fiuto per gli affari. Di fatto, è il primo presidente di una major ad agire in prima persona (dai rapporti con gli artisti alle produzioni in studio) applicando in questo modo il modus operandi di una piccola etichetta. In pratica, espande il suo ruolo esecutivo includendovi gli aspetti di talent scouting e perfino di trend spotting tanto che proprio la sua comprensione della nuova scena rock e il suo coinvolgimento personale nell’acquisizione di nuovi talenti diventano i fattori chiavi del suo successo.
Tra gli artisti che per primi hanno la fortuna di lavorare con lui c’è il grandissimo Miles Davis che così raccontava il suo rapporto con Clive: “È uno che pensa con la testa di un artista e non solo con quella di un uomo d’affari. Ha sempre avuto una grande attenzione per le novità che lo circondano: è stato il primo a parlarmi di una evoluzione della mia musica, del fatto che potessi raggiungere un pubblico più giovane. È lui che, ad esempio, mi ha suggerito di suonare nei posti come il Fillmore, dove i ragazzi andavano a sentire i concerti rock. Credo sia un grande uomo”. Quando esplode la Summer Of Love (giugno 1967) Clive Davis è sul posto: assiste al festival di Monterey e mette personalmente sotto contratto Janis Joplin. Attorno alla esplosiva blueswoman texana, Clive costruisce la squadra della Columbia: Blood, Sweat & Tears, Chicago, Santana, Boz Scaggs, Loggins & Messina, Laura Nyro, Billy Joel, Bruce Springsteen e Aerosmith nel giro di 5 anni vanno a formare, sotto la sua direzione che aveva ricevuto in eredità un certo Bob Dylan, una specie di dream team del rock americano. Ma Clive non dimentica che oltre al rock ci sono R&B, country, jazz e blues: e così anche Simon & Garfunkel, Sly & The Family Stone, Herbie Hancock o Barbara Streisand firmano con la Columbia. In tre anni, I’etichetta di Davis raddoppia la sua quota di mercato senza per questo rinunciare alla qualità della proposta che, nel solo 1971, frutta la bellezza di 19 Grammy Awards.
A metà del 1973 Clive Davis decide di lasciare l’incarico presso la Columbia. Si mette a scrivere un libro (Clive: Inside The Record Business) che oltre a essere un best seller è ancora oggi un testo di riferimento assoluto per tutti quelli che vogliono conoscere i meccanismi dell’industria discografica.
Alla fine del 1974 mette in piedi la prima struttura della Arista: già la scelta del nome (dal greco aristos che significa “il migliore”) la dice lunga. In 25 anni di attività, oltre a lanciare artisti del calibro di Patti Smith, Whitney Houston, Jeff Healey, Crash Test Dummies, Lisa Stansfield o Kenny G, l’etichetta di Davis mette sotto contratto stelle del calibro di Aretha Franklin, Grateful Dead, Santana, Eurythmics, Hall & Oates, Carly Simon, The Kinks, Dionne Warwick. La filiale di Nashville non è da meno: in pochissimo tempo diventa una delle etichette leader della country music. Nel 1989 il sodalizio con la coppia di produttori black più di successo, Antonio ‘L.A.’ Reid (già, proprio colui che lo ha sostituito alla presidenza della Arista…) & Babyface, fa decollare la joint venture con la LaFace Records e apre brillanti prospettive alla nuova musica afro-americana. Soprannominato il Re Mida della musica per il suo tocco che trasforma ogni suono in oro, Clive Davis è ancora uno a cui piace stare in sala d’incisione e discutere di progetti artistici. È lui che studia insieme alla sua protetta Whitney Houston il nuovo album; è lui che aiuta Santana nella messa a punto del progetto Supernatural. È per questo che gli artisti gli vogliono bene e che, con tutta probabilità, lo seguiranno nella sua prossima avventura. Patti Smith lo ha già dichiarato. Gli altri, statene certi, si aggregheranno quanto prima.