Mambo Sinuendo è stato registrato nel 2001. Come mai ci sono voluti quasi due anni per pubblicarlo?
Devi sapere che ho impiegato moltissimo tempo per registrare il disco. Per circa un anno ho fatto la spola tra Los Angeles e Cuba. Magari stavo nell’isola per circa due settimane, poi tornavo a casa e in seguito ritornavo a Cuba. Contemporaneamente ho lavorato al disco solista di Ibrahim Ferrer: un sacco di lavoro, quindi, anche se le tempistiche sono molto lunghe. Sai, è un problema per me ora andare a Cuba. Mi hanno revocato il permesso di lavoro e quindi se anche dovessi andarci, devo starci per pochissimo tempo.
Perché un disco strumentale?
Sai, a Cuba non lo definirebbero così. La loro musica nasce dalla melodia alla quale, in maniera molto spontanea, vi aggiungono talvolta le parole.
Secret Love in origine non era strumentale. Scritta da Paul Francis Webster (le parole) e Sammy Fain (la musica), interpretata da Doris Day era la colonna sonora del film Calamity Jane (1953). Vinse anche un Academy Award.
Il brano l’ho conosciuto proprio nella versione di Doris Day. Ma il nostro progetto prevedeva di mettere l’enfasi sulle parti strumentali.
Possiedo una versione di Secret Love cantata da Freddy Fender in un disco del ’75. Non sembra nemmeno la stessa canzone.
Non sapevo che l’avesse interpretata anche Freddy! Sai, per fare Mambo Sinuendo ho lavorato molto di memoria. Ho cercato di ricordare tutte quelle belle armonie e melodie che avevo in testa ma di cui mi ero quasi del tutto scordato. Canzoni risalenti agli anni 50 dimenticate, eppure fantastiche, melodiose, di grande atmosfera. L’idea di pescare in quel vecchio repertorio è stata di mia moglie (Susan Titelman, nda).
Non ti sembra che Mambo Sinuendo abbia un suono più californiano che cubano?
Sai, io sono di Los Angeles ed effettivamente l’album si rifà alla musica strumentale fine anni 50, inizio 60. Ancora prima del periodo surf c’erano musicisti come Jimmy Bryant e Jimmy Rivers che suonavano una musica simile. Ma avendo inciso Mambo Sinuendo a Cuba con un musicista come Manuel, un chitarrista insolito e imprevedibile, e contenendo tracce di mambo e cumbia, non può essere certo definito un disco californiano.
Come etichetteresti allora la musica di Mambo Sinuendo? Ti piace instrumental mambo jazz? Un incrocio tra Pérez Prado, Duane Eddy e Henry Mancini.
La chiamerei semplicemente musica da jukebox, roba d’altri tempi. Un viaggio nei meandri di una musica troppo presto dimenticata.
Un’altra gradita sorpresa di Mambo Sinuendo è La luna en tu mirada, scritta da Luis Chanivecky.
Conoscevo bene le canzoni dei Los Zafiros. Nonostante siano stati popolari per diversi decenni e ora siano un piccolo mito a Cuba, avranno inciso in totale meno di 50 canzoni. Allora, negli anni 50 e primi 60 si usavano molto i 45 giri e quindi le loro canzoni, prima che su lp, sono state popolari come singoli. È il caso de La luna en tu mirada, che ho sentito per la prima volta ascoltando un loro vecchio disco.
È vero che Caballo Viejo di Simon Diaz è stata interpretata anche da Ruben Gonzalez?
Non lo so. È certo però che le canzoni cubane sono patrimonio comune, suonate e cantata da ogni interprete locale. Alle mie orecchie Caballo Viejo era però una nuova canzone, non l’avevo mai sentita prima. È stato Manuel a proporre di rifarla e debbo dire che ha avuto un gran gusto nel sceglierla e nel suonarla. È una cumbia, la musica tipica del Venezuela.
Sembra che nel corso della tua carriera, tu sia sempre stato alla ricerca di musiche incontaminate.
Parlare di musica incontaminata per me equivale a parlare di musica basata su un principio etico. Che possieda cioè un legame integro e profondo con il luogo e la cultura che l’hanno generata. Questo è esattamente ciò che percepisco quando ascolto melodie e ritmi: sono stimolato a immaginare i posti in cui questi suoni nascono e si propagano. Quello che mi attrae nella musica, infatti, non è tanto la ricerca di nuove realtà artistiche, esotiche o meno, quanto l’affascinante legame tra onde sonore e tradizioni culturali.
Come affronti le diverse culture musicali se intendi documentarle su disco?
Quando lo scopo di una ricerca musicale è la documentazione – un disco, un libro, un film – la cosa principale è la comprensione del significato di un particolare suono. E quindi lo studio storico. Ma anche il confronto con i musicisti che lo producono. Questo significa che spesso bisogna fare delle scelte. Scelte che non possono essere né soltanto soggettive né tantomeno esclusivamente tecniche. Ma che debbono tenere conto di tutti gli aspetti artistici, storici e stilistici. Così come di quelli legati al concetto di espressività. Che spesso è maggiore in musicisti meno colti seppur dotati di tecnica impeccabile. Tecnica che consente loro la padronanza del proprio strumento e di conseguenza una maggior capacità nel comunicare emozioni.
In un’intervista hai parlato di “fluidità naturale” della musica. Che cosa intendevi dire?
Che è qualcosa che ha a che fare con l’ispirazione: si tratta di un sentimento quasi sensuale. E soprattutto assolutamente spontaneo, naturale. È una cosa che funziona, che è perfettamente in armonia con il senso della vita. Che non trova ostacoli né incontra nulla che possa interrompere il suo cammino. Questa, per me, è la “fluidità naturale” della musica.
In passato hai affermato che “la musica ha bisogno di spazio per respirare”. È quindi impossibile, per te, che oggi il rock riesca a respirare?
Sì, credo sia impossibile. È successo che la tecnologia ha preso il posto dei sentimenti, della voglia di vivere. Quando le due cose, cioè musica e tecnologia, andavano di pari passo c’è stata la possibilità che le cose andassero in modo diverso: purtroppo, però, la tecnologia ha preso il sopravvento sulla musica e non è accaduto il contrario, come invece sarebbe stato auspicabile. La tecnologia, d’altronde, è il locomotore della nostra vita: e il rock si è adeguato.
Seguendo questo ragionamento, anche il songwriting potrebbe essere un genere a rischio di estinzione?
Temo di sì. Anche se si dice, e io credo sia vero, che la necessità di raccontare storie sia un’esigenza primaria dell’uomo. Ma il punto è: che tipo di storie andremo a raccontare? Questo è il problema. I film stanno diventando sempre più simili a videogiochi. La velocità è alla base delle nostre vite. Ma la musica, quella vera, ha bisogno di tempo. Per imparare a suonare uno strumento, per averne la padronanza, per studiarne tecnica e stili c’è bisogno di tempo. Così come per scrivere cose nuove. E il mondo di oggi non ha tempo: la velocità è diventata un ideale culturale. Ma la nostra vita non è, né lo sarà mai, un videogioco.
Tornando ai tempi di Buena Vista Social Club, ci sono altri musicisti che ti sarebbe piaciuto coinvolgere?
Quando ho iniziato a lavorare al progetto Buena Vista avevo ascoltato molti dischi di artisti cubani, ma quelli che più mi avevano colpito erano stati i musicisti di Estrellas de Areito (poi ristampato dalla World Circuit, nda), un disco mitico che era girato per anni in via ufficiosa tra tutti gli appassionati del genere. Quando sono andato a Cuba ho cercato per esempio di contattare Nino Rivera, un fantastico suonatore di trés. Aveva fatto parte del Sexteto Bolona. Ho scoperto che era morto. Nick Gold della World Circuit trovò in una bancarella all’Avana un suo disco semplicemente favoloso che ho imparato letteralmente a memoria.
Un altro artista che volevo contattare era Tata Guines, un suonatore di congas, ma era in Venezuela.
E la musica cubana moderna?
Mi piacciono molto Los Cubanos Postizos. Marc Ribot ha fatto un’operazione sulla musica cubana molto intelligente.
Che cos’altro ascolti?
Alcuni musicisti messicani anni 50, di Monterrey. Ho anche cercato di contattarli. Non suonano tex-mex, fanno bolero con la fisarmonica con alcuni favolosi duetti vocali. Altro musicista che ascolto spesso è Speedy West, un suonatore di pedal steel primi anni 50. West (emulo di Leon McAuliffe della band di Bob Wills, una sorta di musica hillbilly jazzato, nda) e Jimmy Bryant sono stati un fantastico duo californiano (stile Les Paul, nda) che mi ha influenzato anche per il nuovo album Mambo Sinuendo.
Quali sono le tue più recenti collaborazioni?
Ho suonato nel nuovo disco di James Taylor October Road per due ragioni precise. La prima è che James Taylor mi è sempre piaciuto. E poi perché me l’ha chiesto Russ Titelman (la cui sorella è moglie di Cooder, nda). Di recente ho suonato anche con Warren Zevon.
Mi piacerebbe rivederti in coppia con David Lindley. Sarà possibile?
Tutto è possibile. Ho appena incontrato David Lindey in occasione delle session del disco di Zevon. Ma per ora non c’è alcun progetto.
Tornerai a collaborare con Taj Mahal ?
Nulla è escluso, ma sai, i progetti nascono all’improvviso.
Da tempo si mormora di un tuo possibile disco, Hanoi Blues, con il vietnamita Kim Sihn. È vero
Pura fantasia. Non ho mai inciso alcun disco con Kim Sihn. Ci siamo sì incontrati e abbiamo inciso qualche canzone, ma non sono soddisfatto dei risultati raggiunti. Mi piacerebbe che il Vietnam fosse la mia prossima Cuba, ma ho problemi col permesso di soggiorno. Insomma, è un altro dei miei progetti difficili, quasi impossibile da realizzare.
Perché non incidi un album tutto tuo?
No, assolutamente no. Non intendo fare dischi pop o rock: comporta troppe responsabilità e costa moltissimo. Preferisco lavorare a progetti con altri musicisti. Proseguirò sulla mia strada: Cuba, magari il Vietnam, chi lo sa.