04/01/2011

INTERVISTA A SAM ANDREW – JANIS, I LOVE YOU

Il primo incontro con Janis è scolpito nella mia mente: è avvenuto nel giugno del 1966 a San Francisco. Facevamo le prove nello studio di Mouse & Kelly, due nostri amici che si stavano affermando come grafici di poster psichedelici. Ricordo che quel giorno, mentre loro disegnavano sul pavimento e noi suonavamo, una ragazza allattava il suo bambino e altri amici preparavano del riso integrale con verdure: una scena davvero molto hippie… Poi è arrivato Chet Helms, il nostro manager, con questa giovane cantante texana. Ovviamente sapevamo che sarebbe venuta ed eravamo curiosi di conoscerla. Vestiva in modo piuttosto modesto e démodé: una maglietta da lavoro blu, un paio di jeans, sandali di pelle messicani. Appariva proprio come quella che era: una ragazzina di provincia giunta in città per tentare fortuna. Ma non era per niente intimidita dalla situazione».
Chi parla è Sam Houston Andrew III che gli appassionati di rock conoscono semplicemente come Sam Andrew, chitarrista di Big Brother & The Holding Co., la band di rock psichedelico che ha accompagnato Janis Joplin dal 1966 al 1969, registrando i primi due album del talento di Port Arthur e calcando insieme a lei le assi del palcoscenico del Monterey International Pop Festival.
Un anno e un mese più grande di Janis, oggi Sam ha 69 anni (compiuti lo scorso 18 dicembre) e, seppur con qualche chilo in più e parecchi capelli in meno, conserva il medesimo entusiasmo e la stessa voglia dei tempi d’oro continuando, imperterrito, a girare il mondo con i suoi Big Brother a proporre quel repertorio rock-blues con generose spruzzate di psichedelia tanto caro a Janis.
«Sin da quel giorno, dalla primissima nota che è uscita dalla sua voce, tutti noi abbiamo capito che Janis era speciale», mi racconta Sam nella sala conferenze di un hotel a Bergamo. «Sembrava la reincarnazione delle regine del blues degli anni 20 e 30, quelle mamie che lei stessa ammirava: Ma Rainey, Victoria Spivey, Bessie Smith. Janis aveva una voce straordinaria, sembrava nata per cantare».
Sam è stato il miglior amico uomo della Joplin. Per questo, gli piace ricordare anche il lato personale di Janis.
«Era una ragazza felice, divertente, simpatica e originale», ci tiene a dirmi, «faceva osservazioni bizzarre sui piccoli fatti della vita: ricordava quei comici dalla battuta facile. Ma c’era anche l’altra faccia della medaglia. Janis, come molti di noi, combatteva contro i suoi demoni e alternava momenti sereni a periodi bui. La differenza era la sua attitudine, sempre sopra le righe. Quando era felice la vedevi davvero su di giri, quando al contrario era giù di morale si comportava come se stesse arrivando la fine del mondo».
Sam, tra fotografie, filmati, registrazioni audio (anche inedite, alcune scoperte di recente in uno scatolone nel garage di Dave Getz) conserva con cura e affetto una Gibson acustica appartenuta a Janis.
«È quella con cui ha inciso Me And Bobby McGee», mi svela con malcelato orgoglio.
Oggi sta facendo qualcos’altro di speciale.
«Sto ridipingendo la porta della casa di Janis a Larkspur, nel Marin County, quella che lei amava tanto. Vorrei sistemarla e rimetterla al suo posto che è qui, vicino a casa mia, perché io vivo ancora nella stessa villetta di una volta. Nel suo ultimo anno di vita, seppur non suonavamo più insieme, io e Janis ci vedevamo spesso. Proprio a casa sua ho conosciuto Kris Kristofferson quando lei e il cantautore texano (che ancora era uno sconosciuto) stavano vivendo una bella storia d’amore. In quei giorni, giravamo spesso sulla sua Porsche cabriolet che l’amico Dave Richards (uno dei nostri roadie) aveva dipinto a colori psichdelici. Ho suonato con lei un paio di volte nell’estate del 1970, in California. Ricordo d’averla trovata un po’ gonfia, probabilmente beveva più del solito. Per il resto era sempre la solita Janis, caciarona e affettuosa anche se mi sembrava troppo carica, quasi facesse l’imitazione di se stessa».
«L’ho vista per l’ultima volta un paio di giorni dopo la morte di Hendrix», ricorda commosso Sam Andrew, «era seduta sul letto e, parlando di quello che era successo a Jimi, diceva: “Sam, io non morirò mai, vengo da una famiglia di gente sana e anch’io sono fortissima”. “Zitta Janis”, le dicevo, “magari Dio ti sta ascoltando”. John Cooke, il road manager che lavorava con lei e che è stato il primo ad entrare nella sua camera al Landmark Hotel il 4 ottobre del 1970 scoprendone il cadavere, ci ha telefonato per darci la notizia. Ci siamo riuniti a casa di Dave Getz, il nostro batterista dove abbiamo fatto la veglia funebre. Sono stato sorpreso dalla morte di Janis ma, al tempo stesso, ero anche preparato. In quel periodo, il mondo del rock stava perdendo tanti giovani protagonisti, quasi sempre per overdose e così tutti noi ci stavamo rendendo conto che se ti facevi di eroina, il rischio che correvi era grande. Janis però trasudava gioia di vivere e non era facile immaginarsela in pericolo. Credo che, se non fosse morta», riflette Sam Andrew, «Janis avrebbe non solo consolidato le sue straordinarie doti canore o il suo status di blues mama, di regina del rock. Avrebbe probabilmente fatto teatro e, perché no?, televisione: poteva essere una sorta di Oprah Winfrey…».
Sam prova anche a immaginarsi Janis Joplin nel 2011, a 68 anni.
«Guardo come siamo noi e penso come sarebbe stata Janis: un po’ più grassa, magari con qualche ruga… Ma sono sicuro che avrebbe potuto fare qualsiasi cosa lei avesse voluto. Una cosa è certa: avrebbe scherzato con tutti come sempre e, soprattutto, non avrebbe mai smesso di cantare».

P.S.: Dedicato alle “piccole Janis d’Italia”, Tara Degli Innocenti, Arianna Antinori, Alessia Alessandri, Francesca Di Dionisio e Carmen Cangiano

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