Ieri sera un Fabrique stracolmo di gente ha accolto calorosamente Jack Savoretti e la sua band, a conferma di un affetto maturato negli ultimi due anni, un periodo che ha portato finalmente in luce questo talentuoso cantautore italo-inglese che sembra trovarsi perfettamente a suo agio, ormai, in vetta alle classifiche.
Written in Scars, il suo penultimo disco, ci aveva messo in allarme facendoci pensare che forse era arrivato il suo momento, il momento, per Jack, di essere notato come meritava. Il successo del disco e del successivo tour non ci ha smentiti.
Sleep No More, uscito lo scorso 28 ottobre e seguito da un nuovo tour che sta vedendo la band in giro per l’Europa e per gli Stati Uniti, arriva come un’ulteriore conferma: è diverso il contenuto, ma il risultato non cambia.
Una sorta di lettera d’amore per l’attrice Jemma Powell, sua moglie: Sleep No More sviscera l’amore nelle sue diverse sfaccettature, dalla paura di vedere affievolito il fuoco della passione, al coraggio di dimostrare di essere “quello giusto”, alla consapevolezza di aver trovato la strada per la felicità.
Savoretti ha raccontato tutto questo, ieri sera, suonando per il pubblico milanese tutte le diverse sfumature della sua musica; quasi tutti i pezzi di Sleep No More, dalla title track, al singolo When We Were Lovers, passando per il mood più morbido delle ballate, come I’m Yours e Tight Rope. Non sono mancati i ritmi incalzanti di Tie Me Down e Written In Scars, che ha chiuso il concerto, e una parentesi acustica che lo ha visto da solo sul palco e poi accompagnato dal tastierista e fisarmonicista in una sentita e toccante versione piano e voce di Breaking The Rules, dal disco Before The Storm.
Figlio di papà italiano, Savoretti parla la nostra lingua perfettamente, e coinvolgere il pubblico con un po’ di chiacchiere è davvero semplice per lui; scherza sul fatto che ogni volta che viene a suonare in Italia porta il cattivo tempo (“I’m sorry!”, dice), racconta di tutte le volte che lo prendono in giro perché scrive solo canzoni tristi (“allora ho pensato di scrivere una canzone allegra… e l’ho chiamata Helpless!), e coinvolge qualcuno delle prime file che gli suggerisce qualche termine in italiano quando a lui sfugge la traduzione.
È tutto estremamente preciso e controllato, ma l’emozione e l’autenticità della sua musica traspaiono da ogni singola nota: Jack Savoretti ci ha letteralmente conquistati.
Written in Scars, il suo penultimo disco, ci aveva messo in allarme facendoci pensare che forse era arrivato il suo momento, il momento, per Jack, di essere notato come meritava. Il successo del disco e del successivo tour non ci ha smentiti.
Sleep No More, uscito lo scorso 28 ottobre e seguito da un nuovo tour che sta vedendo la band in giro per l’Europa e per gli Stati Uniti, arriva come un’ulteriore conferma: è diverso il contenuto, ma il risultato non cambia.
Una sorta di lettera d’amore per l’attrice Jemma Powell, sua moglie: Sleep No More sviscera l’amore nelle sue diverse sfaccettature, dalla paura di vedere affievolito il fuoco della passione, al coraggio di dimostrare di essere “quello giusto”, alla consapevolezza di aver trovato la strada per la felicità.
Savoretti ha raccontato tutto questo, ieri sera, suonando per il pubblico milanese tutte le diverse sfumature della sua musica; quasi tutti i pezzi di Sleep No More, dalla title track, al singolo When We Were Lovers, passando per il mood più morbido delle ballate, come I’m Yours e Tight Rope. Non sono mancati i ritmi incalzanti di Tie Me Down e Written In Scars, che ha chiuso il concerto, e una parentesi acustica che lo ha visto da solo sul palco e poi accompagnato dal tastierista e fisarmonicista in una sentita e toccante versione piano e voce di Breaking The Rules, dal disco Before The Storm.
Figlio di papà italiano, Savoretti parla la nostra lingua perfettamente, e coinvolgere il pubblico con un po’ di chiacchiere è davvero semplice per lui; scherza sul fatto che ogni volta che viene a suonare in Italia porta il cattivo tempo (“I’m sorry!”, dice), racconta di tutte le volte che lo prendono in giro perché scrive solo canzoni tristi (“allora ho pensato di scrivere una canzone allegra… e l’ho chiamata Helpless!), e coinvolge qualcuno delle prime file che gli suggerisce qualche termine in italiano quando a lui sfugge la traduzione.
È tutto estremamente preciso e controllato, ma l’emozione e l’autenticità della sua musica traspaiono da ogni singola nota: Jack Savoretti ci ha letteralmente conquistati.