22/03/2007

Jammin’ With Warren

Per essere un quarantenne perennemente sulla strada, Warren Haynes è in splendida forma. Sulle spalle ha centocinquanta date dei suoi Gov’t Mule e varie collaborazioni – dai Grateful Dead al trio con Ronnie Jordan e Dj Logic. Come una band senza un vero progetto discografico sia potuta passare dall’anonimato ad esibirsi davanti a 80 mila persone ha a prima vista del miracoloso. È lo stesso Warren a raccontarci la storia solo un’ora prima del debutto in Italia.

“Dopo alcuni anni con l’Allman Brothers” dice Warren, che entrò a far parte dello storico gruppo della Georgia per le celebrazioni dei vent’anni del gruppo, nel 1989 “era abbastanza chiaro il metodo di lavoro di Dickey Betts e Gregg Allman: un tour ogni due anni di non più di 50 concerti e un disco. Dopo 1.200 date assieme, io e Allen Woody (il bassista fondatore dei Gov’t Mule prematuramente scomparso nel 1999 e anche lui membro degli ABB, nda) avevamo sviluppato un interplay che andava altrove. Volevamo entrambi mettere insieme una band in cui l’idea dell’improvvisazione fosse ad appannaggio di tutti. Per essere più chiari, non un solista – come poteva essere Stevie Ray Vaughan, per citare un solista eccellente – con una sezione ritmica alle spalle che lo seguiva, ma una vera e propria unità che lavorasse a 360 gradi”.

Gli inizi dei Gov’t Mule, 1995, sono subito sotto il buon auspicio e l’idea di una formazione in tono minore si concretizza in ben altra cosa. “Volevamo iniziare con un disco fatto soprattutto per noi, uno studio sulle nostre reali capacità di mettere in pratica ciò che ci stavamo dicendo, ma le opportunità ci permisero invece di partire subito con una marcia in più. Allen e io volammo fino in California per portarci a casa Matt, il batterista che desideravamo per questo trio potente e di ricerca”. Ecco allora l’album d’esordio Gov’t Mule, un disco intenso e a tratti oscuro in cui prevale un grande amore per il rock inglese fra i 60 e i 70.

“Ho sempre amato la musica oscura, il lato oscuro delle canzoni” confessa Haynes “e autori come Johnny Cash mi hanno sempre incuriosito e ispirato. Parallelamente c’era per noi questo grande rispetto e amore verso la musica che avevamo ascoltato quando eravamo dei ragazzi, kids come tanti altri che sognavano sulle copertine dei dischi con le cuffie o l’impianto stereo a volume pazzesco non appena i genitori se ne andavano. Irrimediabilmente si tornava indietro alla musica inglese di Free, Led Zeppelin, Stones, Traffic, Mott The Hoople, Black Sabbath. Iniziammo a suonare quei brani come trampolino di lancio ma sentimmo fin da subito che ci venivano da americani e lasciammo che così fosse. Forse l’essenza dei Gov’t Mule è quella: una band di rock americano che si è ispirata al rock inglese che nasceva sulle basi del blues americano. Suona tutto un po’ strano… but it makes sense”.

La cosa iniziò presto ad avere un senso forte per Warren, Matt e Allen, senza che i tre lo avessero predetto. “Corrispose tutto all’esplosione di altre band come i Phish mentre da poco se ne era andato Jerry Garcia, un evento che aveva scosso la base dei veri fan di musica d’America, quelli in grado di seguirti per centocinquanta date senza perderne una. Nasceva l’esigenza di un’area di rappresentazione di un pubblico rimasto sopito per troppo tempo che il mercato non rappresentava. Il grande festival Bonnaroo è un po’ quello, una Woodstock nation dove tutto funziona e non ci sono grossi problemi (la visione di Warren è qui molto buonista, diciamolo, nda)”.

Con l’improvvisa morte di Allen Woody, per i Gov’t Mule le cose cambiano drasticamente… “Improvvisamente mi ritrovo solo” continua Warren senza mai mostrare un attimo di esitazione nella conversazione “senza il mio miglior amico, un uomo tough e con le sue idee, uno che ti spingeva a rischiare sempre di più, pieno di argomentazioni da controbattere ma fondamentalmente un uomo coraggioso che non accettava mai per partito preso le istanze altrui obbligandoti ad andare oltre. A quel punto valeva davvero la pena di tentare altre carte e altre strade e con Matt decidemmo per un tastierista che espandesse armonicamente il nostro orizzonte verso altri territori. Danny Louis era la persona adatta per la band”.

I Gov’t Mule, anzi Warren Haynes, inizia così a pensare una musica più sfaccettata ed escono dal cappello magico brani come Sco-Mule o i più recenti Slackjaw Jezebel e Therazine Shuffle. Continua Warren: “Io tendo a pensare come cantante in un modo, in un altro come chitarrista e in altro ancora come autore. Tendo a mantenere ben aperte le ali dell’ispirazione e delle influenze di cui non mi vergogno assolutamente. Non penso siano molti quelli che stanno facendo musica innovativa negli ultimi dieci anni, in compenso sono molti quelli che tentano di fare buona musica”. Hayens pare porre l’accento qui sul ruolo del concerto. “Senza i concerti i Gov’t Mule non sarebbero mai esistiti. Perfino adesso che le cose vanno in un certo modo e che la struttura si è ingrandita. Dai dischi non avremmo mai avuto il supporto per andare avanti. Contiamo sui concerti, sulla vendita diretta, sul merchandising e sulla spinta dell’affetto dei fan”.

Viene da chiedere a Warren se non ritiene che con la morte di Allen Woody si sia ritrovato solo nelle decisioni (la moglie gestisce un importante management che ha clienti come Living Colour e David Byrne). Sarà questa l’unica domanda a cui Haynes non risponderà immediatamente, restando un po’ interdetto: “Sicuramente con Allen era un’altra cosa. Attualmente anche l’idea della jam più propriamente detta si è evoluta per i Gov’t Mule. Io tendo a scrivere con il suono della formazione ben più focalizzato in mente e cerco di portare al gruppo brani che si sviluppino dal punto di vista compositivo con molte sfaccettature e riff (in certi momenti la band sul palco suona come una versione moderna della prima Mahavishnu Orchestra di John McLaughlin, nda). Dobbiamo essere comunque grati al pubblico di come stanno andando le cose. Questi ultimi due anni sono stati i più intensi della mia vita musicale. Mi accorgo che il pubblico sta cambiando, ci sono sempre più giovani ai concerti e la richiesta cresce. Riuscire a mettere insieme questa piccola tournée europea (solo otto date di cui tre in Spagna, nda) è stato complicatissimo. Questa notte, dopo lo show (durato più di tre ore, vedi recensione a pagina 52, nda) partiamo con gli sleeping bus alla volta di Parigi. Solo l’amore per la musica ti può muovere, non certo il mercato”.

Un uomo e una band in “missione”, insomma?

“Esattamente, una bella missione. Ogni giorno mi sveglio e dedico un minuto a riflettere sulla grande fortuna che ho avuto nella vita: realizzare il sogno di suonare la mia musica davanti a un pubblico che mi vuole bene e con musicisti meravigliosi. E tutto questo in un mondo così difficile e pieno di cattiverie. Mi sento davvero fortunato. Grazie a tutti, davvero”.

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