30/08/2011

JEFF BRIDGES

JEFF BRIDGES (BLUE NOTE / EMI)

Completo scuro, camicia bianca, capelli lunghi e una folta barba grigia. Nella foto di copertina Jeff Bridges posa con una splendida Gretsch Chet Atkins Country Special tra le braccia. Sembra un incrocio fra Kris Kristofferson e Bad Blake, il personaggio interpretato nel film di Scott Cooper Crazy Heart. Il regista ha concepito Blake come «il membro mancante degli Highwaymen», leggendaria formazione country composta da Kristofferson, Johnny Cash, Willie Nelson e Waylon Jennings». È un outlaw in decadenza, un grande artista e autore di canzoni che dopo essersi perso nel suo inferno personale, sul fondo di una bottiglia, si redime grazie all’aiuto di una giovane giornalista (Maggie Gyllenhall). A Bridges il copione è piaciuto subito, ma c’era un piccolo problema: «Era la storia di un musicista e non c’era uno straccio di canzone…». A quel punto è entrato in scena T Bone Burnett: «Lo faccio solo se ci sei anche tu», dice il produttore all’amico, e in men che non si dica il progetto prende il volo. Burnett raduna un team di autori tra cui l’amico Stephen Bruton, John Goodwin e il giovane songwriter texano Ryan Bingham. Per calarsi nella parte Bridges ingrassa, si fa qualche bicchiere in più «ma senza esagerare», lavora a stretto contatto con il team di compositori e prova le canzoni con una band creata ad hoc da Bruton. Risultato: si porta a casa un Oscar come miglior attore, mentre un’altra statuetta più un Golden Globe vanno a Burnett e Bingham per la miglior canzone, The Weary Kind.
Non è facile lasciarsi alle spalle un personaggio come quello di Bad Blake: un uomo che sa di musica, sigarette e bourbon, quello stesso bourbon che Bridges racconta di aver usato a mo’ di acqua di colonia «per stimolare la memoria sensoriale». Espediente che ha funzionato alla grande, tanto che ha dovuto registrare un intero album per scrollarsi di dosso il fantasma di Bad, e ha chiesto all’amico T Bone di assisterlo anche in questo rito di passaggio. Jeff Bridges (uscito il 30 agosto) è stato registrato tra Los Angeles e Brooklyn ed è il secondo album dell’attore. Il primo, Be Here Soon (2000), spaziava dal reggae al rhythm & blues fino al jazz. Il nuovo lavoro, invece, ha un sound uniforme, merito dell’inconfondibile visione sonora di Burnett, ed è l’affascinante ritratto in musica di un uomo/attore/songwriter di 61 anni.
Ascoltando la prima traccia, What A Little Bit Of Love Can Do, si ha la sensazione che Bad Blake si sia impossessato dell’attore che lo ha magistralmente interpretato, spingendolo ad abbandonare le luci e i lustrini di Hollywood per trasformare la finzione cinematografica in realtà. Non sappiamo con sicurezza di chi sia la voce che stiamo ascoltando: sembra quasi di sentirlo Bad, mentre dice «Jeff, il tuo posto è su un palco… Infilati gli stivali, registra quel dannato disco e porta il tuo vecchio culo on the road». Il brano in questione porta la firma del compianto Stephen Bruton (scomparso poco dopo la fine della lavorazione del film) e di Gary Nicholson, entrambi parte del team di autori di Crazy Heart, e vede Ryan Bingham ai cori. Capiamo allora che si tratta di un rito collettivo, il percorso verso la redenzione di un gruppo di uomini che per mesi hanno lavorato a stretto contatto nel tentativo di dare forma, sostanza e vita a un personaggio partorito dalla mente di un regista. Impresa perfettamente riuscita, solo che Bad Blake, una volta incarnatosi nel corpo di Bridges, non ha più voluto saperne di lasciare la festa e rinchiudersi per l’eternità in un dannato dvd. Scott Cooper desiderava che le canzoni fossero una diretta emanazione dello spirito di Bad, del suo carattere, del suo modo di pensare, di vivere, perfino della sua tendenza all’autodistruzione. Le canzoni, quindi, erano l’unico modo possibile per convincere Bad ad andare per la sua strada. E questa volta ci si è messo d’impegno anche Bridges, che ha partecipato attivamente alla composizione di diversi brani. Man mano che ci si addentra nella track list, come per magia la sua voce e la sua personalità si fanno più forti e si ristabilisce il giusto equilibrio tra attore/songwriter e personaggio. In Falling Short sembra quasi che sia Bad a chiedersi quale sia il suo posto in questo mondo: «In tutto questo girovagare, riuscirò a capire perché sono vivo?». Burnett lascia la domanda sospesa a mezz’aria, sul baratro che viene a crearsi tra le note gravi del contrabbasso di Dennis Crouch e la chitarra di Marc Ribot che cammina in punta di piedi sul registro alto. Ci pensa Bridges a dare una risposta, facendo scivolare i versi di John Goodwin (Everything But Love) sulla pedal steel di Russ Pahl e sulle dolci armonie vocali di Rosanne Cash: «Puoi avere una tenuta / 20 milioni di dollari in banca / Una dozzina di macchine / Ma non sarà mai abbastanza / Se hai tutto tranne l’amore».
Il passato è un sogno, il futuro si nasconde in una nuvola di ghiaccio e vapore, questa è la libertà che ci è stata data, canta Bridges mentre il piano di Keefus Ciancia evoca i ruggiti di Marc Ribot (Tumbling Vine). «Mi piace pensare di aver fatto del mio meglio / Ma, come tutti gli altri, ho dovuto imparare / Che finché non hai visto tutto, non hai ancora visto niente»: Stephen Bruton, principale fonte d’ispirazione per il personaggio di Bad Blake, ha voluto lasciare un ultimo insegnamento all’amico Jeff (Nothing Yet). È arrivato il momento: Bridges sale a bordo della Blue Car sbucata dalla penna di Greg Brown e si lancia a folle velocità giù per la ripida montagna dei ricordi, finalmente pronto a dire addio al vecchio Bad. Ha commesso tanti errori e continuerà a commetterne: i freni fischiano e alla radio passa un honky tonk onesto come la luce del giorno che sta nascendo (Maybe I Missed The Point). Improvvisamente la voce di Jeff si fa profonda come il fiume che scorre a valle: avanza lentamente come un battello che naviga contro corrente (Slow Boat); la nebbia è troppo fitta e nemmeno le scariche elettriche di Marc Ribot riescono a indicargli la giusta rotta da seguire. «Tutto ciò che so è che continuo a galleggiare», dice Bridges. Salutandolo, ha lasciato a Bad una piccola parte del suo cuore: gli servirà lungo il cammino, quando l’autostrada si trasformerà in un enorme mistero (Either Way). È tempo di rimettersi in viaggio: «In una mano un biglietto, nell’altra una borsa / Quando si è stati bene insieme diventa ancor più difficile dirsi addio / Ma io non sono nato per stare fermo troppo a lungo / Un giorno sulla mia lapide scriveranno “Nato per andarsene” / I miei uomini mi stanno aspettando a ovest / È tempo di riprendere la ricerca» (The Quest).

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