26/03/2007

JESSE MALIN

PRIGIONIERO DEL ROCK’N’ROLL

Dovresti registrare un disco di spoken word, Jesse”. Mi viene spontaneo interrompere il fiume di parole che il cantautore newyorchese mi sta gettando addosso. Qualcuno ha definito il suo modo di esprimersi Jess-ism. Ma non è uno sproloquio dettato da un ego esagerato o magari da qualche sostanza eccitante di troppo. Accidenti, Jesse Malin è addirittura vegetariano. Il fatto è che dopo un po’ che lo ascolti non puoi che rimanere affascinato dalla cadenza così musicale della sua voce, dall’uso spontaneo e allo stesso tempo ricercato di frasi ad effetto e di belle rime, facilitate dalla sempre musicale lingua inglese. È un poeta, Jesse, è il nuovo santo in città, o è solo un altro vagabondo nato per correre, tanto per citare il suo amico Bruce Springsteen che dopo averlo voluto con lui sul palco in diverse occasioni lo ha raggiunto in studio per incidere il bel duetto Broken Radio compreso nell’ultimo, eccellente Glitter In The Gutter.
“Sono un triste romantico” dice a un certo punto. “New York, pur con tutti i cambiamenti che sta attraversando, è ancora un posto molto romantico, una città che mi dà dei brividi ogni volta che mi trovo per le sue strade, un grande posto dove vivere e dove ritornare. Qui respiri ancora le grandi canzoni di Cole Porter, capisci perché Shane MacGowan ha scritto un brano come Fairy Tales In New York. Era la città preferita dei Clash, dei Rolling Stones. Una volta Joe Strummer scrisse che New York proietta un’ombra per il delitto perfetto. Puoi dire qualcosa di meglio a proposito di New York? Non credo”.

Per incidere il suo terzo e nuovo disco solista (Glitter In The Gutter, vedi JAM 135) Jesse Malin è dovuto volare in California: “Il disco doveva essere prodotto da Rob Cavallo, il tipo che ha prodotto American Idiot dei Green Day, ma poi la casa discografica non si è messa d’accordo con lui per motivi di soldi. Così mi sono trovato a fare avanti e indietro tra Los Angeles e New York e poi ho finito per registrare tutto in California”.
Nonostante la diversa location, Glitter In The Gutter conserva la profonda anima poetica di Malin, quella capacità unica (oggi, ma non una volta) di unire melodie fortemente pop a un rock’n’roll grezzo e diretto: “Sono cresciuto ascoltando gruppi come i Cheap Trick e i Ramones, ma i migliori a mischiare la musica pop con l’attitudine rock sono stati i Nirvana. E anche Joan Jett. Mi piace mettere insieme immagini liriche con belle melodie, scrivere storie che ritraggono la vita reale, piene di dettagli cinematografici. Una mistica positiva, la chiamerei”.
C’è una parola che ricorre quasi in ogni sua canzone, una parola che oggi viene pronunciata quasi con fastidio, in un’epoca in cui molte band amano definirsi con certo snobismo post rock. È la parola rock’n’roll. “Oggi la parola rock’n’roll è certamente meno pericolosa di una volta, è più commerciale, è un luogo comune, come vedere i ragazzini indossare le t-shirt del CBGB. Per me rock’n’roll vuol dire semplicemente buona musica. Cerco la musica che viene dal cuore, anche se mi rendo conto che è alquanto inquietante pensare che oggi il rock’n’roll è la musica dei tuoi genitori. Ci sono ancora in giro buoni gruppi e artisti rock, anche se sono sempre meno. Mi piacciono band come Hold Steady, Flaming Lips, Wilco, autori come Joseph Arthur”.

“È un giorno meraviglioso, non lasciare che ti buttino giù”, canta Jesse in Don’t Let Them Take You Down (Beautiful Day), il brano che apre con una scoppiettante dose di buon umore il nuovo disco. Gli chiedo, in un mondo come quello in cui ci troviamo a vivere, dove trova il coraggio di dire una frase del genere: “A me piace cantare del lato oscuro della vita, ma sempre con una dose di speranza, con la fiducia di ottenere liberazione e redenzione. Questo disco parla del passare attraverso momenti bui per uscirne fuori: la crisi della benzina, i negozi di dischi che chiudono, Bush, la paura del riscaldamento globale, gli uragani, il tuo lavoro quotidiano, i genitori. Per me una canzone significa una via di fuga da tutto ciò, offrire una possibilità di redenzione, lasciar perdere il sogno americano e tutto quello che ti dicono e trovare la tua strada. Da quando nasci ti dicono di sposarti, fare dei figli, andare a lavorare, è tutto scritto nel libro, ma come disse Robert Frost (poeta americano dei primi del Novecento, nda), se hai davanti due strade scegli quella più difficile e meno battuta. La vita è un affare politico non appena esci dalla porta di casa. La gente mi chiede di una canzone come Aftermath: certo parla dell’11 settembre ma anche di una relazione che si interrompe. Mi piace che le canzoni abbiano significati diversi. Non le canzoni nazifasciste da discoteca che ti spiattellano il trend che secondo loro dovresti seguire per essere cool.”.
Ci sono diversi ospiti di prestigio in questo disco, a cominciare da un certo Bruce Springsteen. Jesse osserva con fastidio il grosso sticker che la sua casa discografica ha applicato sul retro del cd che evidenzia la presenza del musicista del New Jersey: “Lui aveva ascoltato il mio primo disco, The Fine Art Of Self Destruction, ed evidentemente gli era piaciuto, tanto che mi ha invitato a prendere parte al concerto per l’associazione benefica Light Of Day (lo scorso Natale, questa associazione ha organizzato i suoi primi show anche qui in Europa, e Malin, insieme a un altro noto musicista newyorchese, Willie Nile, si è esibito a Roma, nda) che si tiene da alcuni anni ad Asbury Park. C’era gente come Sam Moore, Jon Bon Jovi. una figata. Da allora siamo diventati buoni amici, ci sentiamo spesso al telefono o ci vediamo nei backstage di qualche concerto. Avevo qualche dubbio a chiedergli di incidere un pezzo insieme (Broken Radio, nda), non ero sicuro se le nostre voci insieme avrebbero funzionato. È venuto in studio un giorno e abbiamo provato tutto un pomeriggio. Lui è un lavoratore con le palle, uno che ci dà dentro di brutto quando è in studio”.
E poi c’è Jakob Dylan, che presta la sua voce in Black Haired Girl: “Una volta Jakob volò fino a San Francisco per venire a vedere un concerto che stavo facendo insieme a Ryan Adams. Quando mi trovavo a Los Angeles a lavorare al disco, spesso finivo da solo ad aspettare che il bar chiudesse. Avevo un comune amico lì che un giorno mi disse: perché non lo chiami, voi due avete gli stessi gusti musicali, vi piacciono i Clash, Springsteen. Così mi trovai a fare dei piacevoli barbecue a casa di Jakob, gli unici momenti di vita familiare passati in quel periodo. È venuto in studio con me tanto per divertirsi un po’. Amo i Wallflowers. La musica è una bella cosa, ti permette di farti tanti amici, di suonare con loro e anche di ubriacarti con loro. Ad esempio Josh Homme dei Queens Of The Stone Age. Ai musicisti rock ogni tanto piace fare cose diverse dal solito, ecco perché tanti ospiti in questo disco”.
Non è un suo amico, ma un musicista che ammira molto. Di Paul Westerberg, Malin ha inciso l’unica cover presente nell’album: “Avevo una mezza idea di fare un disco interamente di cover, passando da Elton John ai Killers. Un giorno lo farò. Fare brani di altri artisti non è facile, devi trovare una via tutta tua, altrimenti è solo karaoke. I Replacements sono stati un gruppo fantastico, senza alcuna identità musicale: passavano dal country al punk. Ho inciso Bastards Of Young pensando di usarla per una b-side, poi ho ritenuto che liricamente si adattasse al resto del disco. Ho spedito una copia a Paul: sono sicuro che gli farà schifo”.

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