30/10/2013

Jherek Bischoff

Un trentenne di Seattle getta un ponte fra musica indie e classica, con la complicità di David Byrne e Caetano Veloso

Di questi tempi i compositori usano la bici per andare a caccia di note. Uno ha passato buona parte dell’estate del 2011 girando Seattle su due ruote. Nello zaino aveva un computer portatile, un microfono professionale, una serie di partiture e un progetto ambizioso: registrare un disco orchestrale uno strumento alla volta. Andava a casa della violinista, le mostrava lo spartito di una canzone, glielo faceva eseguire. E se in quel pezzo i violini erano venti, registrava venti performance differenti. Idem per i violoncelli, l’oboe, le chitarre, le voci, tutto. Il risultato si chiama Composed, un enorme collage sonoro scritto con talento, arrangiato con gusto raffinato e grande intelligenza musicale, suonato con passione. Un disco importante nella cosiddetta post classica o indie classica o come preferite chiamare la musica prodotta da musicisti che appartengono con naturalezza sia al mondo del rock, sia a quello della classica. È importante per lo spirito, per il metodo, per il cast, per la visione. Ma soprattutto la bellezza abbagliante delle musiche, delle canzoni.

Il compositore in bici si chiama Jherek Bischoff, ha poco più di trent’anni, ma ha già prodotto musica che basta e avanza per un cinquantenne. Ha fatto parte in pianta più o meno stabile di una mezza dozzina di gruppi underground, dai Parenthetical Girls al Degenerate Art Ensemble. Ma niente di tutto ciò lasciava presagire la riuscita di Composed, presentato in febbraio all’Ecstatic Music Festival di New York. Bischoff l’ha composto all’ukulele. Facendo tesoro del lavoro svolto su Entanglements dei Parenthetical Girls, si è trovato a espandere via via la tavolozza degli strumenti fino a ottenere un impressionante quadro d’insieme in cui gli strumenti classici sono usati in modo calzante in un contesto popular. Ha trovato la complicità di musicisti di grande talento, fra cui una serie di ospiti che si alternano alla voce. Il più importante è forse David Byrne, che ha aiutato il musicista di Seattle a mettere a fuoco il progetto oltre a cantare la romanticissima Eyes, una delizia che non avrebbe stonato infilata in Grown Backwards o in Look Into The Eyeball. Al posto di stendere un commento armonico prevedibile o assemblare stralci di melodie zuccherose, l’autore usa l’orchestra-su-due-ruote per rendere più taglienti, sfaccettate e imprevedibili le canzoni. Bischoff ha talento nella scrittura di frasi melodiche, nel preparare piccole sorprese armoniche, nell’architettare arrangiamenti complessi, intensi, mai pretenziosi, nel dipingere atmosfere sottilmente inquietanti.

E così i pizzicati di The Secret Of The Machines – ispirata a Rudyard Kipling e cantata da Caetano Veloso – s’intersecano a commenti fulminanti di archi e flauti, mentre le percussioni intonate evocano visioni d’Oriente. Il gusto è modernissimo. Sotto la voce di Mirah Zeitlyn (The Nest) s’agita un melodramma sonoro dai colori cangianti; Blossom, cantata dall’autore, sembra un allucinazione di Messiaen stuprata dalla chitarra di Nils Cline dei Wilco; l’introduzione di Your Ghost ha colori scuri e una grazia formidabile che si sposa alla perfezione con l’interpretazione di Craig Wedren (Shudder To Think). Tutto si tiene e così Young And Lovely può precedere Insomnia, Death And The Sea. La prima incarna l’anima intensamente pop del disco, con Zac Pennington dei Parenthetical Girls e la francese SoKo che portano la canzone dove non te l’aspetti, una specie di circo psichedelico. La seconda è un finale memorabile grazie alla voce di Dawn McCarthy (Faun Fables) e a una strepitosa marcia funebre mahleriana.

Trent’anni fa, mentre nascevano musicisti come Bischoff, si pensava che l’elettronica era la musica del futuro. I sintetizzatori erano la novità del momento e l’avvento dei personal computer sembrava preannunciare una nuova era tecnologica per la musica. Oggi i musicisti usano il digitale per registrare violini e violoncelli. La musica non va mai dove te l’aspetti.

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