20/03/2007

John Fogerty

Le radici e l’orgoglio

Dopo tanti anni di lavoro pensavo di essere svezzato all’emozione di trovarmi di fronte a una rockstar, invece ho provato un brivido che non sentivo da tempo – io che sono cresciuto a blues e Creedence Clearwater Revival – parlando anche solo per telefono con John Cameron Fogerty, il proletario del rock amato dal pubblico e odiato dai radical beat dell’epoca. Fu un grande atto di coraggio il suo; tornare al r’n’r basico, tre minuti secchi di canzoni (a parte cavalli di battaglia da concerto come Keep On Chooglin’ e Born On The Bayou) che opponevano a certe sbrodolate psichedeliche suoni legati a Big Boy Crudup e Duane Eddy, a Muddy Waters e Ricky Nelson passando per Chuck Berry. Una mosca bianca in mezzo agli hippie; alle tuniche colorate sostituisce camicioni a quadri, jeans, stivali da cowboy, canta l’America della gente (“Vedo con gli occhi del proletariato” dirà) e vende milioni di dischi con brani come Proud Mary, Bad Moon Rising, Who’ll Stop The Rain. La sua storia la conoscono tutti: dai fasti dei Creedence all’abbandono del fratello Tom; dallo scioglimento della band dopo il cd in trio Mardi Gras al lungo ritiro; dalle controversie legali ai dischi solisti. Lui oggi è un uomo sereno e in pace con se stesso. Ha finalmente fatto i conti col passato e ha ripreso a suonare il repertorio dei Creedence che aveva rinnegato. Lo fa con il nuovo, splendido dvd The Long Road Home In Concert e con la lunga tournée che in giugno toccherà l’Europa (partenza il 28 giugno da Parigi, replica il 29 all’Apollo Hammersmith di Londra) e poi via un po’ dappertutto tranne, naturalmente, l’Italia.

Consoliamoci leggendo le sue riflessioni e i suoi progetti.

Dopo i Creedence un lunghissimo ritiro, poi il ritorno folgorante con Centerfield, ora dici di essere tornato a tempo pieno alla musica.

Sì, perché le cose vanno finalmente come voglio. Io passo per un personaggio scontroso perché amo la musica, mentre il music business oggi come allora non ha alcun rispetto per la musica e gli artisti. L’ho provato sulla mia pelle; non voglio tornare su vecchie polemiche, ma ai Creedence sono stati rubati milioni di dollari.

E oggi cos’è cambiato?

Sono un uomo tranquillo che non ha perso lo spirito delle origini, mi sento giovane e pronto per tornare alla grande. Bisogna sapere quando stare fuori dal giro e quando rientrare. Non farei mai più dischi a macchinetta per contratto. Il rock è arte ed emozione.

Ci sarà stato un motivo scatenante per farti tornare al rock.

Beh, in realtà sì. Un giorno ho deciso di andare in Mississippi a cercare le radici del blues. Il blues mi ha sempre influenzato; ho amato Robert Johnson, Son House, Skip James, Muddy Waters e Howlin’ Wolf ma non sono mai andato a visitare i luoghi dove sono cresciuti. Il Delta è un posto unico, c’è un’atmosfera incredibile, un caldo infernale, ho visto i resti dei campi di cotone e sono arrivato alla tomba di Robert Johnson. Vicino c’è una piccola chiesa e lì ho avuto una specie di folgorazione. Ho pensato che i suoi blues sono stati sfruttati in mille modi, incisi da decine di artisti, ancora oggi ripubblicati da gente che ci guadagna sopra, eppure non hanno mai perso la loro forza e integrità. Così mi sono detto: anche le mie canzoni hanno una storia, un passato, uno spirito che rimane e che non può essere rovinato dall’industria. Robert Johnson mi ha insegnato, meglio tardi che mai, che non importa quanto siano disgustosi coloro che maneggiano le tue canzoni, tu ne sei il proprietario spirituale e hai il dovere di diffonderle.

Sei stato accusato di essere il capo assoluto dei Creedence.

Io ho scritto le canzoni, ma la band era unica proprio perché ognuno di noi quattro aveva uno stile. Ho sofferto molto quando mio fratello Tom se n’è andato, ma non ho mai pensato di sostituirlo. Abbiamo provato in tre ma non è stata la stessa cosa: ma i Creedence sono John, Tom, Doug Clifford e Stu Cook.

Torneresti con loro?

No, loro hanno tradito il nostro spirito; hanno svenduto il marchio Creedence e anche la loro parte di diritti delle canzoni. Solo io ho continuato a difendere i diritti dei miei brani, loro pensano solo ai soldi. Per questo non ho voluto suonare con loro quella sera alla Rock And Roll Hall Of Fame, ma i media mi hanno fatto passare per un ingrato, uno che si è montato la testa. Non è vero, ho le mie ragioni.

Senti la differenza tra i Creedence e la tua nuova band?

I Creedence erano una famiglia, c’era l’entusiasmo e la magia di quattro ragazzi cresciuti insieme. Oggi lavoro con grandi professionisti; questo non vuol dire che manchi il feeling.

Non hai nostalgia di quei tempi?

Nostalgia sì, ma non sono né triste né depresso quando penso al passato. Sono una persona molto attiva e guardo sempre avanti. Credo che brani recenti come Hot Road Heart non siano inferiori a Bad Moon Rising e considero I Saw It On Tv il seguito di Who’ll Stop The Rain. La mia musica segue un filo logico.

Come componevi i tuoi classici?

I brani mi uscivano dalla testa con grande facilità. A volte pensando ai problemi della società come nel caso di Fortunate Son o Someday Never Comes, a volte dalla lettura di un libro come Looking Out My Back Door, a volte dal mio passato come Green River che ricorda un campo estivo dove andavo da ragazzino.

Consideri Proud Mary il tuo capolavoro?

È una grande canzone, ma forse quella cui sono più affezionato è Lodi che è diventata l’inno delle bar band.

Qualcuno negli anni d’oro ti accusava di disimpegno, invece molte tue canzoni avevano contenuto sociale…

Run Through The Jungle parlava del Vietnam e Fortunate Son, era contro la guerra. Ho sempre scritto con semplicità, usando le metafore della pioggia, della natura. Io ero all’interno del movimento hippie ma vedevo tante cose che non funzionavano nel movimento stesso. Erano una élite, mentre l’America è la gente comune.

Springsteen ti cita spesso, canta le tue canzoni e ora ha inciso un album in ricordo di Pete Seeger, proprio come tu, anni fa, hai registrato Blue Ridge Rangers riportando alla ribalta i classici del country e del gospel.

Bruce è un grande, vediamo le cose dallo stesso punto di vista, così come Willie Nelson, anche se siamo di generazioni differenti. Sono contento che Bruce abbia registrato i brani di Seeger, che è stato uno dei miei primi idoli: quando lo vidi dal vivo a Berkeley, da ragazzino, cominciai a tornare a personaggi come Woody Guthrie e Leadbelly. Così con i Creedence ho inciso pezzi tradizionali come Cotton Fields e The Midnight Special. Quando ho inciso Blue Ridge Rangers ero un po’ imbarazzato ad affrontare la tradizione. Volevo che il suono fosse antico ma assolutamente personale, per questo ho suonato io tutti gli strumenti, dal banjo al violino alla batteria.

A proposito, è vero che nei dischi dei Creedence al piano, organo, sax e chitarre c’era il bluesman J.J. Malone?

Sì, a quei tempi non si metteva il nome degli altri artisti sui dischi. Lui era un genio anche se da solista non si è mai affermato.

Sei soddisfatto del nuovo dvd?

Sì, è il simbolo di un mio concerto standard, credo sia un bel regalo per i vecchi fan ma anche una sorpresa per il pubblico giovane. Credo sia carico di energia e metta in risalto l’anima della mia carriera attraverso una carrellata di brani che parte dall’inizio dei Creedence e arriva ad oggi. Tutti riarrangiati ma con vero spirito rock.

Che cos’è per te il rock and roll?

La libertà creativa. Quello che faccio da non so quanti anni. È la musica più libera che esista, che ha abbattuto qualunque barriera, ed è anche il più moderno mezzo di comunicazione tra i popoli.

Non si è mai troppo vecchi per il rock?

Non è una questione anagrafica. Ci sono giovani band che non hanno nulla da dire. Io vado in tour caricatissimo, forse mi pesa un po’ prendere l’aereo, passare da un aeroporto all’altro, ma quando salgo sul palco è tutta un’altra storia.

In Italia le tue migliaia di fan non ti vedranno proprio mai.

Non ci sono mai stato, eppure sono attirato dalla vostra cultura, dal Rinascimento, dalle opere d’arte, un mondo così lontano dal mio che un giorno mi piacerebbe scoprire.

 

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